Colombia: oggi un riferimento dal punto di vista bioetico

ColombiaAltro che Francia, il Paese da imitare dal punto di vista bioetico (stiamo parlando solo di questo) si chiama Colombia, oltre al Cile e all’Irlanda. Nel giro di tre mesi ha compiuto una tripletta davvero niente male.

Il 31 marzo 2013 il Consiglio di Stato ha annullato il decreto 4444 del 2006, rilasciato dalla Presidenza della Colombia, che disciplina l’aborto. Nel frattempo sono state raccolte le prime 325.619 firme, più del doppio del necessario, per chiedere che la decisione se proibire o legalizzare l’aborto sia presa dai cittadini tramite referendum.

Il 25 aprile 2013 il Senato della Colombia ha respinto e affossato, con 17 voti a favore e 51 contro, un disegno di legge che cercava di equiparare il matrimonio tra persone dello stesso sesso a quello tradizionale.

Il 9 maggio 2013 è fallito anche il tentativo di legalizzare l’eutanasia.

Certo, probabilmente è solo questione di tempo così come in Italia, tuttavia è bene sapere che esistono tanti altri Paesi nel mondo in cui sta vincendo l’amore e il rispetto verso la vita e la dignità umana. Se le cose dovessero cambiare sarà momento di grande amarezza ma mai di sconfitta. A perdere è chi combatte contro la vita, a noi cristiani spetta il compito di ricordare, invitare e spronare il più possibile gli uomini a difenderla e custodirla, ma rimanendo sempre liberi dall’esito, senza far dipendere la nostra felicità dal risultato. Siamo tutti consapevoli infatti della rassicurazione del Cristo: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).

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Il matrimonio protegge le donne dalla violenza domestica

FemminicidioQuella delle Isole Baleari è la comunità con il maggior numero di denunce di violenza contro le donne: tenendo ben presente questo, l’Istituto di Politica Familiare delle Isole Baleari (IPFB) chiede al governo di “curarsi di proteggere la famiglia ed il matrimonio in qualità di agenti protettivi”.

È emerso, infatti, che il 67% circa delle denunce si riscontri tra persone che hanno intrattenuto una relazione (presente o passata) al di fuori del matrimonio.

L’istituto fa inoltre notare come il matrimonio tende a ridurre non solo le aggressioni da parte dei partner, ma in generale la possibilità di essere vittime di delitti violenti: “le single e le divorziate – afferma il leader Agustin Buadescadono vittima di delitti violenti con una probabilità quattro o cinque volte superiore rispetto alle donne sposate”. Buades auspica, quindi, che “le donne giovani siano consapevoli del fatto che, sebbene il matrimonio non costituisca una buona strategia per cambiare un uomo violento, molti studi (questo, ad esempio) dimostrano che il fatto di non essere sposate, e specialmente di vivere con un uomo al di fuori del matrimonio, è associato ad un elevato rischio di abuso.

Segnaliamo infine il nostro dossier sull’argomento. 

Michele Silvi

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Il fallimento del “divorzio breve” e la sua pericolosità

DivorzioSi leggeva quasi del compiacimento nelle parole del giornalista di “Repubblica” che, registrando l’avanzata del secolarismo, alcune settimane fa annotava che – dopo «i primi anni del pontificato di Ratzinger», anni «di recupero, o almeno di freno» dello sgretolamento della società con «divorzi pressoché stabili» e «matrimoni religiosi meno rovinosamente in crisi (anzi, in lieve ripresa fra 2009 e 2010)» – le cose, per la stabilità della famiglia in Italia, sono tornate a peggiorare.

Dispiace che siffatta tendenza non solo non venga riconosciuta e commentata con la dovuta gravità, quasi si trattasse di un fenomeno non negativo, ma addirittura sia alle porte, ad opera dei soliti Radicali, una raccolta di firme per l’introduzione del cosiddetto “divorzio breve”. E dire che il divorzio è uno degli eventi peggiori, specie per quei bambini che ne sono spettatori e che accusano per questo pesanti conseguenze; conseguenze che – attesta la letteratura scientifica – incidono sul loro stato di salute, sulla loro crescita e sui loro comportamenti devianti e correlate difficoltà di inserimento sociale (si veda qui, qui, qui, qui e qui), fino a renderli più esposti, a loro volta, al rischio di divorziare una volta adulti.

Non solo: l’evento del divorzio, com’è stato accertato da accurate ricerche, triplica per i figli il rischio di rimanere vittima di abusi – rischio che sale dal 3,4% al 10,7% – , espone costoro a maggiori tentazioni suicidarie, concorrendo a determinare più alti tassi di mortalità prematura. Come se non bastasse il divorzio appare correlato anche al rischio di povertà dei figli: secondo rilevazioni effettuate negli Stati Uniti, infatti, i bambini che vivono con un solo genitore hanno più possibilità, rispetto agli altri, di vivere in una famiglia al di sotto della soglia di povertà – 28% rispetto alla media del 19% – e di vivere in una casa in affitto, 53% rispetto al 36% (Cfr. Elliott D.B. – Simmons T. (2011) Marital Events of Americans: 2009 U.S. Department of Commerce Economics and Statistics Administration – «U.S. Census Bureau», p. 12).

Quanto sarebbe bello sapere che ne pensano di questi “benefici” del divorzio gli amici Radicali. I quali però, astuti come sono, risponderebbero che col “divorzio breve” le cose migliorerebbero rispetto ad oggi: tempi più rapidi per lasciarsi e meno stress e conseguenze negative. Ma sicuro, come no. Lo vadano pure a raccontare agli spagnoli, che questo innovativo istituto lo conoscono dal 2005 ed hanno già potuto apprezzarne i frutti: 1.343.760 rotture coniugali fra il 2003 ed il 2012 (la quasi totalità determinate dal “divorzio breve”) con l’aumento vertiginoso di quelle conflittuali – furono il 35,52% del totale nel 2004, sono state il 40,74% nel 2012. Nel frattempo i divorzi, nel loro insieme, continuano a crescere: furono 124.702 nel 2011, sono stati 127.362 nel 2012 (+2,13%). Morale: in Spagna oggi finisce un matrimonio ogni 4 minuti.

Un dato che certifica non solo, evidentemente, il fallimento del “divorzio breve”, ma dello stesso divorzio come istituto idealmente filantropico e liberatorio ma in realtà generatore di violenze e sofferenza. Il che è perfettamente in linea con le evidenze che da molti anni a questa parte attestano per coloro che divorziano, per esempio, maggiori tassi di morbilità cronica per disturbi nervosi (Elaborazione da: Istat, Indagine Multiscopo sulle famiglie italiane, vol. 10, Roma 1994) nonché, come conseguenza alla solitudine e alla sofferenza vissute, più alti tassi di malattie coronariche, ictus, polmonite, cancro, cirrosi epatiche, incidenti automobilistici e suicidi (vedi qui, qui, qui e qui). Del resto, se pensiamo che già Émile Durkheim (1858 – 1917), sociologo non certo cattolico, riscontrava «l’alto numero dei suicidi nei paesi a divorzio diffuso» (Opere, Utet, Novara 2013), non ci vuole molto a capire quanto questo istituto rappresenti una vera e propria piaga sociale.

Alla luce di così tanti riscontri della pericolosità della rottura coniugale per l’equilibrio della società, urge – pur nella consapevolezza che la vera medicina è rappresentata dalla necessità di un lavoro educativo – correre ai ripari. Per esempio seguendo le indicazioni di organizzazioni come Family Watch, che ritiene di poter incidere in una riduzione dei divorzi fino al 40% attraverso quattro percorsi strategici: 1) l’istituzione di un periodo di riflessione prima del divorzio; 2) la promozione della mediazione e consulenza familiare durante questo periodo di riflessione; 3) un rilancio della mediazione familiare; 4) la promozione, per le coppie, di meccanismi che possano prevenire il divorzio.

Gli scettici risponderanno che, anche se attuate, queste misure servirebbero a poco. Può anche darsi, ma perché almeno non provare? Perché le Istituzioni, anziché introdurre quel “divorzio breve” – che poi tanto “breve” non è, visti i drammatici effetti che produce e che abbiamo in parte ricordato – che in Spagna sta letteralmente mandando al macero la famiglia, non investono finalmente nella tutela e nella promozione del matrimonio? Se solo ci fosse la volontà di procedere in questo senso, forse si potrebbe realmente invertire la rotta di una tendenza al precariato effettivo che sta facendo a pezzi la società. Nessuna illusione: purtroppo la situazione è assai grave e pure in continuo peggioramento, ma forse non tutto è perduto se si torna a scommettere con convinzione sul matrimonio. Basta però che lo si faccia, cessando di assecondare le voglie di quel relativismo culturale che non ammette l’esistenza di alcun bene al di fuori di quello individuale.

Giuliano Guzzo

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Contrari ad aborto e contraccezione: non è contraddittorio

Donna incintaFrequentemente i pro-life vengono accusati in modo retorico di criticare l’aborto ma anche la contraccezione. Secondo chi avanza queste accuse, essi dovrebbero invece cercare di prevenirlo favorendo e contribuendo a diffondere contraccettivi e metodi anticoncezionali, magari in modo gratuito.

Ci sono due motivi per cui questa obiezione è errata, il primo di natura etica e il secondo di natura tecnica.

 

Motivo di natura etica: innanzitutto occorre dire che società non ha evidentemente la stessa concezione di “amore” e di “sessualità” di cui invece parla la Chiesa cattolica. Non può esistere alcuna scissione tra i due e la sessualità non è un bene di consumo o una fonte di gratificazione fine a se stessa. Il Magistero della Chiesa individua giustamente nella contraccezione un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità: ne deriva non soltanto il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale. Solo un amore vissuto come dono totale, anche dal punto di vista fisico, è rispettoso per il coniuge in quanto considerato come termine del proprio dono e non semplicemente come oggetto di godimento. Allo stesso modo il Magistero sconsiglia fortemente i rapporti prematrimoniali perché una unione sessuale, spiega bene padre Maurizio Faggioni ordinario di Bioetica presso la Accademia Alfonsiana, è vera quando l’unione dei corpi simboleggia e compie l’unione delle esistenze e, quindi, esprime una relazione di totale coinvolgimento, di reciproca conoscenza, di corresponsabilità, di condivisione. Il contesto migliore perché ciò avvenga è soltanto nel matrimonio perché solo in esso, inteso come progetto globale di vita, la sessualità può esprimere le due dimensioni fondamentali dell’amore coniugale, la comunione e la fecondità (ovviamente bisogna distinguere i rapporti occasionali da quelli tra fidanzati onestamente impegnati nel loro itinerario verso il matrimonio).

In secondo luogo occorre comunque ricordare che la Chiesa sostiene e aiuta le coppie sposate all’uso dei metodi naturali per la regolamentazione della fertilità, è sbagliato pensare che la Chiesa inviti ad «un’ideologia della fecondità ad oltranza, spingendo i coniugi a procreare senza alcun discernimento e alcuna progettualità. Ma basta un’attenta lettura dei pronunciamenti del Magistero per constatare che non è così» come spiegava Giovanni Paolo II nel 1994. E’ evidente che i metodi naturali non sono intesi come contraccettivi, come viene spiegato qui.

 

Motivo di natura tecnica: come più volte abbiamo mostrato l’uso di contraccettivi non diminuisce affatto il numero di aborti, anzi in parecchi casi lo aumenta. Lo hanno mostrato proprio recentemente i dati diffusi dal Ministero della Salute della Spagna: il 43% (contro il 32%) delle 119mila donne che hanno abortito nel 2011 avevano usato un metodo contraccettivo. Secondo la Fundación Española de Contracepción (FEC) il motivo sarebbe il “cattivo uso” del preservativo ma la spiegazione non risulta esplicativa per cifre così alte e oltretutto proviene da chi ha un’oggettivo conflitto di interesse in gioco.

La causa è molto probabilmente quella riscontrata in tanti altri studi che rilevano esattamente la stessa problematicità. Il dott. Renzo Puccetti proprio su UCCR spiegava che un’ampia offerta di contraccettivi porta facilmente ad assumere il modello comportamentale conosciuto come rational choice model, ovvero la convenienza verso una vita sessuale liberata dalla paura della gravidanza. E’ quello che Edward C. Green, direttore dell’AIDS Prevention Research Project al centro Harvard per gli Studi su Popolazione Sviluppo definisce “compensazione di rischio” parlando dell’HIV: «C’è un’associazione costante, dimostrata dai nostri migliori studi, inclusi i “Demographic Health Surveys” finanziati dagli Stati Uniti, fra una maggior disponibilità e uso dei condoms e tassi di infezioni HIV più alti, non più bassi. Questo può essere dovuto in parte a un fenomeno conosciuto come “compensazione di rischio”, che significa che quando si usa una “tecnologia” a riduzione di rischio come i condoms, spesso si perde il beneficio (riduzione di rischio) “compensando” o prendendo chances maggiori di quelle che uno prenderebbe senza la tecnologia di riduzione del rischio».

 

Abbiamo dunque visto due motivi, che non pretendono certo di essere esaustivi, per cui è fallace la retorica accusa verso chi è contrario sia all’aborto sia all’uso della contraccezione ma è invece aperto alla vita e ad un amore inteso come dono totale di sé, anche nella sessualità.

La redazione

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Le nozze gay spiegate ai miei figli (età media nove anni)

Costanza Miriano 
 
di Costanza Miriano*
*giornalista e scrittrice
 
da Il blog di Costanza Miriano, 26/04/13
 

Cari ragazzi, come sapete nella nostra casa è vietato parlare male delle persone, o almeno ci proviamo, a non farlo. Se qualcuno sbaglia sono affari suoi, tra lui e Dio. A meno che non ci sia un compagno, che so, che si sporge troppo dalla finestra, o che attraversa la strada con gli occhi sull’iPod mentre passa un motorino. In quel caso, visto che rischia di farsi male, potete dirgli qualcosa, direttamente a lui, e possibilmente senza frantumarvi nessun osso.

C’è un solo caso in cui del male degli altri bisogna proprio per forza parlare, anche a costo di prendere un palo in testa, ed è quando rischia di andarci di mezzo qualcuno più debole, che non può difendersi da solo.

È proprio per questo motivo che il babbo e io ce la prendiamo tanto per i cosiddetti matrimoni omosessuali, che poi matrimoni è una parola che in questo caso non si può dire perché viene da munus e mater, cioè il dono che si fa alla madre, e tra due uomini o due donne non può comunque esserci una mamma.

Quindi di cosa facciano gli omosessuali nel privato non ci occupiamo proprio, non è una cosa che ci riguarda, e tra l’altro pensiamo che anche loro non la dovrebbero sbandierare troppo, come facevano quei signori che avete visto a Parigi l’estate scorsa, con le piume e i sederi di fuori. Tra l’altro, avete mai visto me e il babbo andare in giro in mutande? Comunque, se loro lo vogliono fare noi ci limiteremo a passare da un’altra parte, visto che non erano proprio eleganti i signori con le banane gonfiabili e le signore senza reggiseno. Capiamo anche che se sentono il bisogno di farsi vedere vestiti in quel modo forse non sono tanto felici, e quindi se ci capiterà di averne uno vicino, che ne so, al lavoro o in vacanza, cercheremo, se lui o lei vuole, di farci amicizia.

Il problema che ci preoccupa tanto però è quello dei bambini e delle famiglie. Noi crediamo che le leggi, come vietano alle persone di ammazzare, rubare, ma anche di parcheggiare sulle strisce pedonali o mettere la musica altissima alle tre di notte, cioè di fare quello che può danneggiare gli altri, debbano impedire assolutamente di confondere la famiglia con tutti gli altri modi di stare insieme. Modi liberi e magari bellissimi, per chi vuole, ma diversi dalla famiglia. La famiglia è il luogo in cui devono crescere i bambini, e infatti in Italia sono stati chiusi gli orfanotrofi, e si cerca di far vivere i bambini senza genitori in case famiglia, che non saranno il massimo, ma è meglio di prima.

Un babbo e una mamma sono la condizione minima per i bambini per crescere bene. Certo, ci sono anche tanti genitori che non sono sempre bravi, infatti abbiamo detto minima: non basta che ci siano, devono anche impegnarsi un pochino per essere buoni genitori. Ma se non ci sono, per un bambino è impossibile crescere in modo sano, equilibrato, felice. Vi immaginate se il babbo non ci fosse più, e io mi fidanzassi con una signora? Non fate quelle facce terrorizzate, sto dicendo per dire. O se invece di me ci fosse un amico del babbo? (Siete meno terrorizzati? Già vi figurate pomeriggi senza ripasso di grammatica e niente crisi isteriche per i fumetti scaraventati a terra?)

Comunque, tanti dottori che studiano le teste delle persone dicono che è normale che la cosa vi sembri tanto strana, perché è giusto che voi vogliate un babbo maschio e una mamma femmina, anche se a scuola cercano di dirvi il contrario (va di moda, ma non vi preoccupate).

Vi diranno che non siete d’accordo perché andate in chiesa, ma noi pensiamo che sia solo buon senso. Sono le regole di funzionamento delle persone (è vero, le ha fatte Dio, ma funzionano comunque tutte allo stesso modo, non è questione di credere: se non credi nella benzina e metti la Fanta nel serbatoio la macchina si rompe). Noi non siamo contro nessuno, ma come diciamo al compagno di non sporgersi dalla finestra siccome siamo cristiani dobbiamo continuare a dire, quando ci è possibile, senza offendere o attaccare nessuno, qual è il modo per non farsi male, nella vita. Il progetto di Dio sul mondo è la famiglia, un meccanismo faticoso ma affascinante, in cui si mettono insieme le differenze, prima di tutto quelle tra maschi e femmine, e si cerca di funzionare tutti al meglio. Questo è l’uomo a denominazione di origine controllata. Poi ci sono gli ogm, ma i loro semi sono sterili (i semi delle piante create in laboratorio vanno ricomprati ogni anno): allo stesso modo due maschi e due femmine non possono riprodursi. Quando cercano di ottenere dei bambini, non per dare una famiglia a dei bambini, ma perché li desiderano loro, devono fare delle cose che fanno stare male tante persone: le mamme che prestano la pancia, quelle che danno l’ovetto, i babbi che danno il seme da mettere dentro, e soprattutto i bambini che non sapranno mai da quale storia vengono, non sapranno che facce avessero i nonni e che lavoro facessero i bisnonni, e poi avranno due mamme, due babbi, insomma una gran confusione, dove a rimetterci sono i bambini.

A noi dispiace tanto se le persone dello stesso sesso che si vogliono bene non possono avere bambini, e rispettiamo e capiamo la loro tristezza, ma è la natura, e noi abbiamo il dovere di difendere quei bambini che non possono farlo da soli. Ci sarebbe da dire poi che lo stato dovrebbe aiutare le famiglie, che sono moltissime moltissime di più (e forse per questo non ci aiutano, è più difficile risolvere qualche problema alla maggioranza), ma questo è un discorso che abbiamo fatto tante volte… (intanto si sono già alzati tutti da tavola, e sto parlando da sola come al solito).

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Chiara Saraceno non sa che cos’è il matrimonio

Chiara SaracenoIncredibilmente arriva da Chiara Saraceno il motivo per cui è sbagliato sostenere la legittimità del matrimonio omosessuale.

In un recente articolo ha scritto: «Ci sono molte buone ragioni per argomentare la legittimità della richiesta delle persone omosessuali di accedere al matrimonio. Se il fondamento contemporaneo del matrimonio, nelle società occidentali sviluppate, è la scelta libera di due persone di mettere in atto un progetto di vita comune, basato sulla solidarietà reciproca e sull’affetto, non c`è nulla nella relazione omosessuale che sia in contrasto con questo fondamento».

Chi è attento e preparato si sarà certamente accorto che la sociologa dell’Università di Torino ha realizzato un autogol clamoroso: la definizione di “matrimonio” che fornisce è ovviamente sbagliata e dunque risulta errata la sua conseguente applicazione sulle nozze gay, che si confuta automaticamente da sola. Il matrimonio, infatti, non è una semplice scelta libera basata su solidarietà e affetto, come afferma la Saraceno. Se fosse davvero così allora perché dovremmo vietare un matrimonio incestuoso? Ma anche un poliamore risponde a questa definizione e, addirittura, anche il rapporto tra nonna e nipoteuna semplice amicizia può essere basata su una scelta libera, su un progetto di vita comune costruito su solidarietà e affetto, secondo le caratteristiche espresse dalla sociologa. La stessa Saraceno in realtà capisce bene quanto sia forte quest’ultima obiezione riguardo all’amicizia, infatti in un’altra occasione ha affermato: «Si è in presenza di una famiglia quando in un determinato luogo fatto di persone ci si impegna verso gli altri in modo continuativo, in modo stabile, non casualmente. Tutto questo lo si fa anche tra amici, qualcuno potrebbe osservare. Sono d’accordo. Ma nella famiglia ci si impegna verso degli “altri”, che dipendono, almeno in parte, da noi stessi». Come si può osservare anche lei si è accorta di arrampicare dei vetri scivolosissimi e ha per questo cercato di anticipare una possibile obiezione, peccato che non ci sia riuscita: anche due amici, infatti, possono impegnarsi l’uno per l’altro e dipendere l’uno dall’altro. Insomma, quelle della Saraceno sono poche idee e molto confuse.

La sociologa, vincitrice nel 2012 del Premio Laico dell’anno dopo i comunisti Zagrebelsky e Rodotà (il povero Odifreddi non merita nemmeno premi del genere!) dimentica che per la nostra Costituzione il matrimonio è legato in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, come spiegato da Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Lo ha ribadito di recente anche Anne-Marie Le Pourhiet, docente di diritto pubblico presso l’Università di Rennes: «il matrimonio è definito come l’unione di un uomo e di una donna, e lo scopo della istituzione legale è quello di garantire la stabilità della coppia e la tutela della loro prole. Questo è sancito dall’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

Il criterio perché sussista il matrimonio è dunque ben altro rispetto all’ambiguo desiderio di affettività e solidarietà reciproca, come insistono a dire i militanti omosessualisti. Il prestigioso psichiatra Eugenio Borgna, ordinario presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, lo ha spiegato in termini medici: «Il matrimonio nasce dall’integrazione delle due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile. Legami che prescindano da questa integrazione femminile/maschile si muovono su un campo diverso dal matrimonio e dall’istituto della famiglia, senza con questo discriminare nessuno: sono realtà profondamente differenti». Se per la Saraceno il matrimonio ha soltanto un valore strettamente volontaristico, sull’“Harvard Journal of Law and Public Policy” è stato invece mostrato che per parlare di matrimonio occorrono due persone sessualmente complementari che consumano la loro relazione in un atto che è di per sé generativo. Per questo l’oscuramento del valore della differenza sessuale dei partner mette a serio rischio la stabilità dello stesso fondamento del matrimonio.

Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Universita degli Studi di Roma La Sapienza, ha riassunto tutto in termini cristallini: «Il matrimonio non è solo un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni. Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa. L’utopia dell’uguaglianza, che ha già portato tanti danni nel Novecento, si presenta così sotto nuove vesti, chiedendo di dichiarare uguali legami che non lo sono, e ricominciando, in questo modo, a illudere l’umanità come ha fatto in passato il socialismo reale. Dire che il matrimonio fra una donna e un uomo è uguale a quello fra due omosessuali costituisce, infatti, una negazione della verità che intacca una delle strutture base della società umana, la famiglia».

Torniamo dunque all’affermazione iniziale di Chiara Saraceno e correggiamola: «Non c’è alcuna buona ragione per argomentare la legittimità della richiesta delle persone omosessuali di accedere al matrimonio. Visto che il fondamento contemporaneo del matrimonio, nelle società occidentali sviluppate, non è soltanto la scelta libera di due persone di mettere in atto un progetto di vita comune, basato sulla solidarietà reciproca e sull’affetto, esiste un netto contrasto di tale fondamento con quel che è la relazione omosessuale». Brava Chiara, adesso si che può vantarsi di essere un’esperta di tematiche familiari.

La redazione

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Ma l’omofobia non c’entra nulla con le nozze gay

After the ballCi uniamo alla dichiarazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, che ha espresso «vicinanza a quanti sono stati vittime di intollerabili aggressioni e a quanti subiscono episodi di discriminazione che hanno per oggetto l’omosessualità».

Per quanto ci riguarda però, la discriminazione che vogliamo combattere non è solo quella rivolta agli omosessuali, ma anche verso tutte le minoranze, altrimenti anche tali dichiarazioni specifiche diventano una forma di discriminazione (per questo una legge specifica contro l’omofobia è una discriminazione verso le altre minoranze discriminate). Secondo gli studi i più discriminati non sono gli omosessuali ma le persone obese, sopratutto donne.

Rimaniamo perplessi però dal constatare che i messaggi contro l’omofobia si accompagnano sempre alla richiesta di matrimoni omosessuali. Perché questa strumentalizzazione? Perché non si può essere contro la violenza verso gli omosessuali senza voler violentare l’antropologia del matrimonio, istituto previsto unicamente come garante per la filiazione come dice la parola stessa (matrimonio, matris, madre), la Costituzione italiana e l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo?

Secondo il presidente del Senato Pietro Grasso, il «dilagare della discriminazione sessuale o legata all’identità di genere è inversamente proporzionale al livello di tutela giuridica riconosciuto alle coppie omosessuali». Bisognerebbe dunque istituire il matrimonio omosessuale per combattere l’omofobia? La tesi è alquanto bizzarra, anche le famiglie poligamiche o le coppie che praticano incesto sono una minoranza e frequentemente vittime di bullismo e denigrazione pubblica, perché allora non sistemare le cose equiparando anche il loro rapporto al matrimonio tradizionale? E’ evidente che la tesi di Grasso non ha la forza per valere come principio generale, e dunque risulta scorretta e discriminatrice verso le altre minoranze.

In ogni caso non sappiamo quali siano le fonti del presidente del Senato, ma in realtà è sufficiente andare ad osservare la situazione nei Paesi in cui i matrimoni omosessuali sono legge da anni per verificare che l’omofobia resta all’ordine del giorno. Nei Paesi Bassi, ad esempio, l’omomatrimonio è legale dal 2001 eppure ancora oggi si deve celebrare la Giornata contro l’omofobia, la quale addirittura risulta in aumento in alcune aree del Paese, vi sono frequenti episodi omofobi, anche a livello mediatico. Il cantante olandese e omosessuale Gordon ha affermato: «L’omosessualità è sempre meno accettata e negli ultimi anni va sempre peggio».

In Belgio le cose non cambiano: le nozze gay sono legali dal 2003 eppure il 30% degli impiegati pubblici ritiene oggi il coming out un rischio per la propria carriera ed è alta la percentuale degli intervistati che, in ufficio, hanno sentito almeno una volta insulti contro gay e lesbiche. Potremmo citare tanti altri Paesi, ci interessa però sottolineare che l’Inghilterra, ad esempio, nonostante non abbia legalizzato il matrimonio omosessuale si è confermata anche nel 2013 il Paese più tollerante verso le minoranze sessuali. Tutto questo cosa significa? Significa che l’omofobia e le nozze gay sono due cose separate, si può (e si deve) combattere la prima e si può (e si deve) essere contrari anche verso la seconda.

Chi vuole invece unire le due richieste a tutti i costi lo fa in modo pretestuoso e si allinea alla perfetta tattica di indottrinamento (“propaganda”, la chiamavano) nata nel 1989 da due intellettuali gay, Marshall Kirk (ricercatore in neuropsichiatria) e Hunter Madsen (esperto di tattiche di persuasione pubblica e social marketing), i quali furono incaricati di redigere un Manifesto gay: il risultato fu il libro After the ball (Plume 1990),  definito il più autorevole manuale di pubbliche relazioni per l’agenda omosessuale.

Tra i loro “consigli” alle comunità omosessuali c’è anche questa: è opportuno non chiedere appoggio “per l’omosessualità”, ma “contro la discriminazione”. I gay devono essere presentati come vittime della società omofoba e del pregiudizio, che deve essere presentato come la causa di ogni loro sofferenza. E ancora: «Per quanto cinico possa sembrare l’Aids ci dà una possibilità, benché piccola, di affermarci come una minoranza vittimizzata che merita legittimamente l’attenzione e la protezione dell’America» (p. XXVII). Qui e qui un approfondimento. Ecco dunque cosa c’è dietro alla enorme attenzione verso l’omofobia e al costante abbinamento con la richiesta del matrimonio omosessuale come presunta panacea di tutti i mali, ora si spiegano i tantissimi episodi di finta omofobia orchestrati appositamente da soggetti omosessuali con lo scopo di apparire sui media più discriminati di quanto già siano, usando il tutto come grimaldello per il riconoscimento giuridico delle unioni gay. Ne abbiamo segnalato qualcuno, si veda: 8/03/13; 28/11/12; 26/09/12, 21/08/12.

La redazione

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Le brutte conseguenze del matrimonio gay

Omosessualista aggredisce manifestantiQual è l’impatto calcolabile della modificazione antropologica del matrimonio, se quello naturale (citato dalla nostra Costituzione) dovesse essere equiparato ad altre e diverse forme di relazioni, come quelle cosiddette “di fatto”, quelle incestuose, omosessuali o poligamiche?

Per una veloce risposta è possibile andare ad osservare la situazione nei Paesi in cui questi passi indietro sono stati realizzati, ad esempio il Canada, dove 10 anni fa è stato legalizzato il matrimonio per persone dello stesso sesso. Ne ha parlato Bradley W. Miller, docente di Legge presso l’University of Western Ontario e visiting fellow alla Princeton University.

Miller, appoggiandosi ad una chiara bibliografia, ha suddiviso la problematica in tre parti: l’impatto negativo sui diritti umani, sulla concezione pubblica del matrimonio e sul matrimonio naturale uomo e donna. Partendo dai diritti umani, ha affermato: «ogni dichiarazione di disaccordo con il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso è considerata una manifestazione diretta di odio nei confronti di un gruppo di minoranza sessuale». Ogni opinione contraria è definita “fanatismo” e “odio”, perciò non è nemmeno tollerata l’obiezione di coscienza dei sindaci che non vogliono legittimare un’unione tra omosessuali, come non è tollerato il rifiuto di concedere strutture private per celebrare le nozze gay (accaduto ai Cavalieri di Colombo), e così via. In poche parole è stata violata la libertà di coscienza e libertà d’espressione: chi ha ripetutamente espresso il proprio dissenso, ha proseguito il docente universitario, è stato sottoposto ad indagini da commissioni dei diritti dell’uomo e (in alcuni casi) procedimenti dinanzi ai tribunali dei diritti umani. Ad alcuni è stato perfino ordinato di non parlare più pubblicamente di questa tematica (si veda Lund v Boissoin 2012), e chi non ha soldi per fare appello deve «accettare l’ammonimento della commissione, pagare una (relativamente) piccola multa, e quindi osservare la direttiva di rimanere per sempre in silenzio».

Il vescovo cattolico, mons. Fred Henry, è stato invece denunciato per aver sostenuto il matrimonio naturale in una lettera pastorale sul matrimonio (ha speso 20mila dollari per difendersi prima che la denuncia fosse respinta). A subire questa sorta di terrorismo LGBT sono anche i professionisti in vari settori della società (come i giornalisti, qui un esempio), ogni espressione di disaccordo con l’istituzionalizzazione del matrimonio omosessuale è concepita come atto di discriminazione illegale, con conseguente censura professionale (si veda ad esempio Kempling v. British Columbia College of Teachers, 2005). Gli insegnanti, in particolare, sono minacciati di azioni disciplinari se osano anche solo fare dichiarazioni pubbliche di critica al matrimonio omosessuale al di fuori della classe, vengono immediatamente considerati fautori di un ambiente ostile per gli studenti gay e lesbiche. Anche lo studioso Ryan T. Anderson, della The Heritage Foundation ha rilevato che, oltre a vari fattori, «ridefinire il matrimonio è anche una minaccia diretta e dimostrabile della libertà religiosa, perché emargina coloro che affermano il matrimonio come l’unione di un uomo e una donna», e ovviamente tutti quelli che sostengono la stessa cosa al di fuori di una appartenenza religiosa. Interessante, a questo proposito, l’intervista a Lionel Lumbroso, non credente francese e portavoce della grande “Manifestazione per tutti” che continua a portare nelle strade francesi milioni di persone contro il matrimonio omosessuale.

Le relazioni omosessuali devono essere obbligatoriamente trattate anche a scuola (come ha osato far notare in modo critico nel Regno Unito anche la giornalista Melanie Philipps, ricevendo immediatamente pericolose minacce di morte), costringendo i bambini sono costretti a parteciparvi e ai genitori viene impedito di esercitare il loro veto su tali insegnamenti, il tutto fatto passare sotto il pretestuoso principio del “prevenire il bullismo”. L’unica soluzione è rimuovere i propri figli dal sistema scolastico pubblico. In Ontario, ad esempio, la nuova legge costringe le scuole cattoliche ad ospitare club come “Gay-Straight Alliance”, vietando anche alle scuole pubbliche di rifiutarsi di affittare le loro strutture ad organizzazioni omosessuali per motivi che si basano su questioni morali.

Per quanto riguarda la pratica del matrimonio, è troppo presto per pronunciarsi. Tuttavia i dati del censimento 2011 stabiliscono che, in primo luogo, il matrimonio è in declino in Canada, come in gran parte dell’Occidente, in secondo luogo, il matrimonio omosessuale è un fenomeno statisticamente piccolo (21.000 coppie dello stesso sesso sposate su su 6.290.000 di coppie sposate, lo 0.8%), e in terzo luogo, ci sono fortunatamente pochissime coppie dello stesso sesso (sposate e non) con bambini in casa (il 9% delle coppie omosessuali).

Questo è il rischio che si corre in tutti gli stati nei quali la politica intende piegarsi all’ideologia totalitarista del 21° secolo. Nonostante tutto numerose rimangono le voci dissidenti, veri e propri eroi moderni. Un esempio sono John Corvino e Maggie Gallagher, autori di “Debating Same-Sex Marriage” (Oxford University Press, 2012), che hanno sintetizzato tutta la tematica con una frase: «Il sesso porta i bambini, la società ha bisogno di bambini, e i bambini hanno bisogno di madri e padri», arrivando poi ad una definizione ottimale: «Il matrimonio è fondato sulla verità antropologica che uomini e donne sono complementari, sul fatto che la riproduzione biologica dipende da un uomo e una donna, e sulla realtà sociale che i bambini hanno bisogno di un padre e una madre».

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No ad un mondo senza sessi, il bimbo ha diritto a padre e madre

happy family 
di Monette Vacquin*,
*psicoanalista

e Jean-Pierre Winter*,
*psicoanalista

da Le Monde, 5/12/2012

 

Le parole padre e madre saranno soppresse dal codice civile. Queste due parole che condensano tutte le differenze, poiché portatrici sia della differenza dei sessi che di quella delle generazioni, scompariranno da ciò che codifica la nostra identità. Bisognerebbe essere sordi per non sentire il soffio giovanilistico che percorre tutto questo.

Il colpo di scopa ideologico capace di rovesciare secoli di uso e di sopprimere le parole alle quali dobbiamo la trasmissione della vita evidentemente si basa su ambivalenze inconsce molto arcaiche, e ampiamente condivise, per avere la minima possibilità di imporsi e… ben presto di fare la legge. Questa violenza, deflagratrice, non è certo solo il fatto di una minoranza di omosessuali che richiedono il matrimonio. Senza eco collettiva del problema della perdita o del rifiuto di qualsiasi punto di riferimento trasmesso, questa violenza avrebbe suscitato nel migliore dei casi la risata o il disagio, non la soddisfazione pura e semplice. Questo avvenimento è tuttavia portato avanti da una ultra-minoranza, con il ricorso indispensabile di un linguaggio che è la rovina del pensiero: il politicamente corretto.

Questo diniego della differenza, “una donna è un uomo”, Freud lo chiamava diniego della castrazione. Ciò significa, nel gergo psicanalitico, che la castrazione non esiste, basta che io la neghi mentalmente perché la sua esistenza reale sia rifiutata. Quando un licenziamento diventa un “piano sociale”, ci sentiamo a disagio. Quando un “pallone” diventa un “referente rimbalzante” ci chiediamo se stiamo sognando. Quando il “matrimonio” diventa “una discriminazione legale contro i cittadini fondata sul loro orientamento sessuale”, cominciamo ad aver paura.

Politicamente corretto: il discorso deve essere cortese, senza alcun taglio drastico. La “levigatura” della forma, oggetto di una sorveglianza ideologica puntigliosa, maschera il terrorismo che fa regnare e che porta ad un’ “etica” dell’odio e della confusione, in nome del bene liberato da ogni negatività… cosa che l’umanità non è. La rivendicazione del matrimonio omosessuale non costituisce una richiesta da soddisfare, ma un sintomo da decifrare. Che cosa significa che il matrimonio disertato sia reinvestito sotto forma di parodia? Si tratta di dargli il colpo di grazia? O che questo posto non sia lasciato vuoto? Che cosa significa infine l’identificazione dei politici e dei media a tali sfide, quando ci sono tanti problemi che richiedono la nostra vigilanza?

Da un lato, secoli e secoli di uso, che fanno sì che matrimonio e alleanza di un uomo e di una donna siano una cosa sola. Dall’altro, la rivendicazione di una minoranza di attivisti che sanno parlare il linguaggio che si desidera sentire oggi: quello dell’egualitarismo ideologico, sinonimo di indifferenziazione. E maneggia efficacemente il ricatto dell’omofobia, che impedisce di pensare. Non spetta agli Stati adeguarsi alle provocazioni di alcuni ideologi che parlano una lingua confusa, ma con violenza, sbalordendo o terrorizzando i loro obiettori con dei sofismi. Ancor meno dare a queste provocazioni una forma istituzionale.

La lotta contro l’omofobia, indispensabile, è una cosa. L’organizzazione giuridica dei rapporti tra gli omosessuali che lo desiderano è un’altra. Ma la destituzione delle istituzioni da parte di quegli stessi che sono incaricati di elaborarle è ancora un’altra cosa. Lì sta la difficoltà di pensare il problema del “matrimonio omosessuale”: una difficoltà che mescola una problematica legittima ad un attacco istituzionale selvaggio che mobilita le forze più arcaiche. Che i governi sappiano ciò che fanno: non ci si impone al linguaggio altrimenti si vendica. Devono scomparire anche le parole uomo e donna? Dobbiamo smettere di tener conto del sesso in diritto, se non per abolirlo, almeno per “cacciarlo” in nome dell’uguaglianza, ritenendo che il linguaggio usato sia testimonianza di antichi furori? La nostra generazione continua a superare dei limiti, o a distruggere tutto ciò che li incarna, piuttosto che trasmetterli con la loro parte di insondabilità.

Omosessuali ed eterosessuali non rientrano nella divisione rigida che sembra essere accettata oggi. Tutti condividono lo stesso mondo ed è insieme che sono tenuti ad occuparsi delle istituzioni che strutturano i rapporti tra gli uomini e tra le generazioni. Le distruzioni simboliche sono riconoscibili per la sofferenza che causano ad alcuni, immersi nell’impotenza, consapevoli dell’odio e della distruttività, e che sentono che non si sta argomentando contro una perversione. Si riconoscono anche per la gioia che procurano ad altri, immersi nel trionfo dell’ “onnipotenza” e del diniego della legge. È probabile che il mondo assorbirà questo con indifferenza, che è l’altro nome dell’odio. È perfino a questo che cominciamo ad assomigliare: non più ad un’umanità conosciuta, ma ad un mondo indifferente. Neutro. Neutralizzato.

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Omosessuali, incestuosi e poligamici chiedono il matrimonio

PoligamiaUna volta che si abbandona l’attuale concezione del matrimonio sostituendola con un contratto che legittima solamente una relazione tra persone adulte e consenzienti legate da un rapporto sentimentale, non esiste più una base di principio per negare o resistere all’estensione della licenza di matrimonio a tutte le possibili forme di relazioni tra individui adulti. Il discorso è stato riaperto da Robert P. George, giurista presso la Harvard Law School e l’università di Princeton, Girgis Sherif, ricercatore di filosofia a Princeton e alla Yale Law School e Ryan T. Anderson ricercatore della Heritage Foundation.

In altre parole, se il matrimonio non è più il garante dell’ordine delle generazioni (matrimonio deriva da matris munia, doveri della madre verso i figli) basato sulla complementarietà e sulla fecondità, istituzionalizzando tra l’uomo e la donna quelle relazioni pubbliche di particolare intensità e responsabilità che consentono la nascita della famiglia, come struttura di socializzazione primaria, ma serve solo a soddisfare il desiderio di compagnia tra adulti, risulta una negazione di uguaglianza negare un riconoscimento e un’equiparazione al matrimonio naturale anche alla poligamia, all’incesto e a tutte le possibili e fantasiose forme di relazione tra gli uomini. Rifiutarle sarà possibile, ma violeremo il principio di uguaglianza e non avremo più un fondamento giuridico stabile e coerente.

«Per troppo tempo l’Australia ha negato ad alcune persone il diritto di sposarsi. Troviamo questo aberrante. Noi crediamo che tutti dovrebbero essere autorizzati a sposare i loro partner, e che la legge non dovrebbe mai essere un ostacolo all’amore». Pensate che la frase sia stata detta dal leader omosessuale Franco Grillini? Assolutamente no, proviene dall’associazione di poligamici australiana Polyamory Action Lobby, che ha approfittato del dibattito sulle nozze gay per intervenire con le sue richieste: «Chiediamo niente di meno che il pieno riconoscimento delle famiglie poligame. Il poliamore spesso non è una scelta, molta gente ama più di una persona e non può farne a meno». L’uguaglianza del matrimonio la chiedono anche loro, perché -si legge sui siti poligamici (e certamente anche tra gli incestuosi)-, «una famiglia dovrebbe basarsi sulla sicurezza, la stabilità e l’amore, non sulla sua struttura». Come si vede, lo stesso linguaggio e le stesse richieste degli omosessuali arrivano anche dai poligamici…ma con quale argomento dire di “no” a loro, una volta che la relazione omosessuale è stata equiparata al matrimonio naturale? Come difendere costituzionalmente il matrimonio monogamico? Risponde in questo ottimo lavoro lo studioso Ryan T. Anderson, della The Heritage Foundation: «Se la complementarità sessuale viene eliminata come una caratteristica essenziale del matrimonio, allora nessun principio limita il matrimonio civile alle coppie monogame»

Su un portale anglosassone si è affrontata la stessa tematica, chiedendosi provocatoriamente: «se due lesbiche, perché non due sorelle?», ovvero se il matrimonio diventerà semplicemente l’unione di due persone che si amano, indipendentemente dal loro sesso, perché non si può sposarsi tra fratelli? Qual è la differenza tra due sorelle e due lesbiche che desiderano sposarsi? Entrambe le coppie non possono procreare, entrambe si amano e sono disposte a prendesi cura del partner. Se il matrimonio è associato al romanticismo e ad una rivendicazione sentimentale, non c’è alcun motivo per discriminare l’amore tra due sorelle. In realtà potremmo spingerci oltre e domandarci con quale autorità lo Stato deve permettere il matrimonio solo a persone che si amano e non riconoscere anche la relazione tra due amici legati soltanto da un grande affetto? Cosa potrà mai importare allo Stato della qualità del sentimento che provo per un’altra persona, sono entrambi consenzienti e vogliono beneficiare entrambi del loro affetto, anche se non è amore. Perché dunque negare il matrimonio anche a due amici? Chi osa dire che l’amicizia vale meno dell’amore? E’ evidente che lo stravolgimento antropologico del senso del matrimonio genera una serie di reazioni a catena totalmente incontrollabili.

L’unica soluzione per mantenere una coerenza e una stabilità dei fondamenti giuridici, evitando di modificare la Carta costituzionale, snaturando il senso del matrimonio, è quella ribadita dal prof. Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata: «In quanto costitutivamente sterile, il rapporto omosessuale (come peraltro qualsiasi altra forma di rapporto affettivo o amicale) non ha alcun bisogno di un riconoscimento legale, o almeno non ha bisogno di un riconoscimento diverso da quello che l’ordinamento giuridico potrebbe, se volesse, offrire, ma solo sul piano patrimoniale, ad altre forme di convivenza “non sessuate” , che venissero ritenute meritevoli di attenzione sociale (come quelle tra fratelli conviventi o tra anziani genitori e un figlio)». Usare la stessa parola “matrimonio” per designare due o più realtà fondamentalmente diverse, non rispetta queste realtà e introduce, per di più, un’enorme grado di confusione. Inoltre, come ha fatto notare la prestigiosa filosofa francese Sylviane Agacinski, «È molto difficile separare il problema del matrimonio “omosessuale” da quello della “omogenitorialità”, perché nessuno può ignorare che un “matrimonio omosessuale” instaurerebbe simbolicamente come coppia genitoriale due persone dello stesso sesso e metterebbe in discussione la filiazione bilaterale dei figli (un lato materno e un lato paterno)», dunque è una posizione errata quella di chi afferma di essere favorevole alle nozze gay ma senza aprire all’adozione.

Certo, negare le nozze gay significa negare la felicità di molti omosessuali, così come negare un riconoscimento giuridico dell’incesto o della poligamia significa negare la felicità di molti incestuosi, poligamici o semplici amici (secondo l’esempio di sopra). Molte sono le battaglie in nome della felicità, ma -ha spiegato ancora il giurista D’Agostino- sono «una battaglia molto ingenua, perché, comunque essa vada a concludersi, non è dal diritto e dai suoi eventuali (e impropri) riconoscimenti simbolici che deriva la nostra felicità, ma dalla coerenza tra il bene, nella sua oggettività, e il nostro personale stile di vita». Il punto chiave del discorso è invece «la deformazione oggettiva del matrimonio come istituto giuridico che è conseguenza inevitabile del riconoscimento del matrimonio tra omosessuali. Su questo punto e su questo soltanto dobbiamo discutere, senza cedere a suggestioni che hanno un notevole rilievo ideologico, ma una limitata forza argomentativa». Il tutto sintetizzato bene da un titolo di Avvenire: la legge promuove i diritti non appaga i desideri.

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