Sex and the City, l’autrice si pente: «Non ho figli, mi sento sola»

L’autrice della fortunata serie “Sex in the City”, Candace Bushnell, si confessa: “Siamo tutte donne single, senza figli. Prima non ci pensavo, ora mi sento sola”. Un’altra femminista pentita.

 
 
 

C’è una vera donna dietro al fortunato programma televisivo Sex in the City, che dalla fine degli anni ’90 ebbe un’enorme influenza sulle giovani donne.

La serie femminista racconta in modo glamour le avventure sessuali di un gruppo di donne trentacinquenni con uomini facoltosi. Rapporti fugaci, senza impegno e responsabilità, puro edonismo.

Sex in the City si basò sul romanzo omonimo del 1997 di Candace Bushnell. Oggi 60 anni, è divorziata dal 2012 e ha parlato al Sunday Times della sua vita, rimpiangendo di non aver mai pensato alla famiglia e ammettendo di sentirsi «veramente sola».

 

«Solo ora capisco l’impatto del non aver avuto figli».

«Quando avevo 30 e 40 anni, non ci pensavo», ha ricordato. «Poi, quando ho divorziato avevo 50 anni, ho iniziato a riconoscere l’impatto del non avere figli e dell’essere veramente sola. Vedo che le persone con figli hanno un’àncora speciale che invece manca a chi non ne ha».

La donna salì per la prima volta alla ribalta raccontando la sua vita libertina sul New York Observer, quei testi vennero poi antologizzati nel suo romanzo Sex and the City. Il personaggio principale della serie, Carrie Bradshaw (interpretata da Sarah Jessica Parker), è la versione romanzata della stessa Candace Bushnell.

«Siamo tutte donne single, senza figli», ha detto ancora. «E tu pensi, cosa farai quando invecchierai? Chi si prenderà cura di me?». Forse gli amici, spera.

Un’intervista molto triste che ricorda quanto sia importante non riporre troppa fiducia nella fiction televisiva.

 

I dati Istat: altro record negativo per la denatalità.

Gli ultimi dati Istat, presentati il 14 marzo scorso, mostrano un altro record negativo della natalità.

Da dieci anni la diminuzione delle nascite è costante ma ancora il numero non era sceso sotto le 400mila ed anche il numero dei figli degli immigrati subiscono lo stesso declino.

Il presidente Giancarlo Blangiardo invita a curare questa malattia, ad esempio regalando più tempo alle mamme per aiutarle a conciliare maggiormente il lavoro con la famiglia. «Basta con le chiacchiere, dobbiamo affrontare i problemi uno alla volta».

 

Femministe pentite, da Emma Bonino a Rossana Rossanda.

Certamente la “malattia” della denatalità, come la definisce il presidente dell’Istat, ha una delle cause nel femminismo radicale.

Ancora oggi, ad esempio, Lea Melandri, denuncia la «sopravvalutazione della relazione materna» ed il «mito della maternità».

Eppure, testimonianze come quella di Bushnell si aggiungono semplicemente alle tante femministe pentite che un tempo la pensavano esattamente così, leonesse contro l’innaturalità della maternità (cit. Chiara Lalli) e nemiche della fantomatica “famiglia del Mulino Bianco”. Oggi spesso sole, tristi e pentite.

Ne parlò nel 2017 Samantha Johnson: «Quando sono diventata madre, il femminismo mi ha deluso. Predichiamo alle ragazze che possono – e dovrebbero – fare qualsiasi cosa un ragazzo può fare, così però stiamo fallendo nel prepararle ad una delle più grandi sfide con cui dovranno confrontarsi: la maternità».

La scrittrice ha proseguito: «Stiamo insegnando alle giovani che non c’è alcun valore nella maternità e che essere casalinga è un concetto obsoleto, misogino. Promuoviamo la carriera professionale indicandola come simbolo di successo, svalutando completamente il contributo dei genitori a casa. Dobbiamo dire alle donne quanto è importante è essere madri».

In Italia l’esempio più lampante è quello di Emma Bonito, oggi senatrice. «Non sono mai stata moglie, mai madre. Sola lo sono sempre. Sola intimamente, politicamente», si confessò nel 2006. «Piango moltissimo, da sola. Su questo divano. Mi appallottolo qui e piango».

E’ duro anche il lamento della fondatrice de Il Manifesto, Rossana Rossanda, scomparsa nel 2020: «Aver avuto figli? Adesso mi sentirei meno sola e soprattutto avrei la percezione di avere tramandato qualcosa di me».

Leggendo queste testimonianze risuonano nella mente le parole di Alda Merini, quando osservò: «Il vero diritto di una donna è quello alla maternità: il figlio è il più grande atto d’amore e il suo mistero resta intatto. L’occasione che la madre dà al suo bambino è ogni volta un miracolo, ed è una bestemmia negare tutto questo in nome di un femminismo che è l’opposto dell’essere femmina, nel senso più alto del termine».

La redazione

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3 commenti a Sex and the City, l’autrice si pente: «Non ho figli, mi sento sola»

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  1. giuliano ha detto

    I figli sono una cosa seria e le donne che fanno figli in genere sono guidate soprattutto dall’amore e da una certa “irragionevole consapevolezza” che le spinge a concepirli. Le donne citate nell’articolo probabilmente hanno poco da rammaricarsi… se hanno fatto quella scelta da giovinette vuol dire che erano fallaci proprio su queste caratteristiche. In buona sostanza non penso ci si possa rammaricare di aver perso potenziali “buone” madri per strada.

  2. Edoardo Secco ha detto

    Però scusate, se una donna anche dopo un percorso di discernimento vocazionale, non si riconoscesse né nel matrimonio né nella vita religiosa cosa dovrebbe fare?

    • Roan83 ha detto in risposta a Edoardo Secco

      Ovviamente una donna è libera di fare quello che desidera della sua vita, come ogni persona al mondo.
      Se vuole affrontare il tema vocazionale all’interno della Chiesa può rivolgersi al suo direttore spirituale e confrontarsi assieme a lui.

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