Il desiderio di felicità guida la scelta religiosa

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Chi entra in un ordine religioso lo fa per il desiderio di felicità: è il risultato di un recente studio. Un dato sorprendentemente positivo che rispecchia il senso autentico del cristianesimo, la gioia sperimentabile già qui e ora.


 

Negli ultimi decenni, le motivazioni che spingono uomini e donne a entrare in un ordine religioso sono profondamente cambiate.

A evidenziarlo è la sociologa svizzera Isabelle Jonveaux, docente all’Università di Friburgo, che in un’intervista al settimanale austriaco Sonntagsblatt ha commentato i risultati di una sua recente ricerca.

 

Il desiderio di felicità muove chi entra in un ordine

Lo studio, condotto su 148 religiosi di Austria, Francia e Svizzera, ha messo in luce nuove tendenze nelle ragioni che portano alla vita monastica.

Un dato sorprendente emerso dall’indagine è che, tra le motivazioni dichiarate dai partecipanti, figura sempre più spesso il desiderio di essere felici.

Un cambiamento significativo, osserva Jonveaux, considerando che fino a trent’anni fa la ricerca della felicità non veniva menzionata come spinta principale.

In passato, la vocazione era spesso vissuta come una risposta a un dovere superiore, un sacrificio che trascendeva il desiderio personale di realizzazione. Ed invece la felicità non è affatto in contrasto con la vocazione, ma ne è parte essenziale.

 

La felicità nel cristianesimo è sperimentabile già ora

La felicità come obbiettivo per la scelta di fede e quella religiosa è davvero un segno che ci ha molto colpito, le vite dei Santi e le beatitudini evangeliche ci mostrano infatti il volto gioioso di chi ha trovato le ragioni profonde per le quali vale la pena vivere, lottare e sperare.

E l’unica ragione valida è un Padre che amorevolmente ci ha chiamato per nome e ci ha destinati all’eternità, tutto il resto sono surrogati di felicità che prima o poi deludono e lasciano tristi.

La felicità cristiana non è un’illusione futura, ma qualcosa di sperimentabile qui e ora. Gesù ha parlato di “centuplo quaggiù” per chiunque avrà creduto al Suo nome.

Se non è per vivere pienamente felici e lieti ora, in questa vita, se il regno di Dio non fosse sperimentabile anticipatamente tramite la pace nel cuore, cosa farcene del cristianesimo?

Poter giudicare con lucidità il senso dell’esistenza a partire da una Presenza inequivocabile, porta un’unità della coscienza che conduce ad una profonda pace. Questo perché si connettono i nessi di ogni cosa con il tutto, senza rinnegare nulla della realtà.

Non a caso gli altri fattori più ricorrenti citati dallo studio come motivazioni per la scelta religiosa, sono sinonimi del cosiddetto “centuplo” evangelico, ovvero la semplicità di vita, la ricerca di autenticità nella fede, il bisogno di un’esistenza dotata di senso e il desiderio di vivere in comunità.

Abbiamo parlato proprio di questo in una recente risposta al filosofo Riccardo Manzotti, per il quale invece chi spera nella vita nell’aldilà starebbe sprecando l’aldiquà. Con il professore il confronto è continuato per via privata ed è stato davvero piacevole.

 

La delusione di chi abbandona

La direttrice dell’Istituto di Sociologia Pastorale della Svizzera occidentale ha sottolineato anche che coloro che decidono di lasciare l’ordine manifestano spesso delusione rispetto alle aspettative iniziali.

Questo non scandalizza affatto, come di recente abbiamo visto l’ipotesi più probabile è che anche Giuda decise di tradire Gesù perché deluso da lui.

Spesso si tradisce perché le aspettative personali non coincidono con la realtà. Anche nella scelta religiosa, il desiderio di felicità deve essere accompagnato da una maturità interiore che accetti le difficoltà senza perdere di vista l’orizzonte ultimo.

Il vero nodo della questione non è se si cerca la felicità, ma quale felicità si cerca.

Una felicità effimera, legata a emozioni passeggere, non regge la prova del tempo. Chi entra in un ordine religioso pensando di trovare un’esperienza emozionale o il brivido di una vita controcorrente rischia fortemente di restare deluso.

Chi vi entra per donarsi completamente a Dio trova invece quella felicità vera che il mondo non può dare. Ed è proprio questa la felicità a cui punta la vita cristiana.

Autore

La Redazione

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