La Pontificia Accademia tutela la libera ricerca, perché stupirsi?
- Ultimissime
- 02 Lug 2025
Il biologo Enrico Bucci osserva che la Pontificia Accademia delle Scienze difende la libertà di ricerca, sorprendendosi del silenzio delle istituzioni scientifiche laiche. Ma il rapporto tra Chiesa e scienziati è frutto di stereotipi storici.
Nei giorni scorsi, la Pontificia Accademia delle Scienze (PAS) si è distinta per aver pubblicato un documento a difesa dell’autonomia della scienza.
Ad accorgersene è stato solo Enrico Bucci, biochimico e biologo della Temple University di Philadelphia, sottolineando come il testo avvalori con forza principi come la libertà di indagine, la trasparenza nella peer review, la libertà accademica e il confronto tra pari.
La Pontificia Accademia della Scienza e la libertà di ricerca
È paradossale, scrive lo studioso su “Il Foglio”, che questa voce autorevole provenga da un’istituzione legata a un’autorità religiosa piuttosto che dall’universo secolare: un silenzio incomprensibile da parte di accademie e associazioni scientifiche laiche, nate proprio per difendere la scienza come bene comune
Bucci richiama l’InterAcademy Partnership (IAP), rete globale di oltre 140 accademie nazionali, ideata per tutelare la voce scientifica contro pressioni politiche ed economiche. Eppure, la IAP non si è mai espressa nei toni della Pontificia Accademia della Scienza, né ne hanno parlato le accademie nazionali, malgrado abbiano statuti orientati alla difesa del sapere.
«Il fatto che una presa di posizione netta provenga da un’istituzione diretta emanazione di un’autorità religiosa, e precisamente da un’accademia ospitata all’interno di uno Stato confessionale, assume un significato tutt’altro che paradossale», scrive Bucci.
È proprio la Pontificia Accademia, «la cui identità potrebbe far pensare a una subordinazione della scienza a fini teologici, a ribadire con maggiore chiarezza ciò che molte istituzioni laiche non osano più dire: che la scienza ha bisogno di libertà».
La Chiesa bruciava gli scienziati? Vecchi e falsi stereotipi
Peccato che Bucci, nel finale, cada nei soliti stereotipi storici: «Vogliamo davvero che l’unica voce che si leva con chiarezza in difesa della laicità, indipendenza e libertà della scienza sia quella di chi per secoli ha minacciato di portare gli scienziati sul rogo?».
Ma quando mai la Chiesa avrebbe “per secoli” minacciato gli scienziati con il rogo? Perché ripetere luoghi comuni e stereotipi senza preoccuparsi di verificare non dovrebbe essere l’abituale modus operandi di ogni ricercatore?
Ada Palmer, docente di Storia dell’Europa moderna presso l’Università di Chicago e autrice di “Reading Lucretius in the Renaissance” (Harvard University Press 2014) e del più recente “Inventing the Renaissance: Myths of a Golden Age” (University of Chicago Press 2025), ha affrontato proprio il tema del rapporto tra Inquisizione e scienziati.
«Se scorri i registri dell’Inquisizione romana», ha spiegato, «tra centinaia di migliaia di casi troverai 12 processi rivolti agli scienziati. E sono tutti nello stesso decennio». Oltretutto, «tutti assolti o con semplici multe».
Gli unici casi che vengono portati come esempio sono quelli dei processo a Galileo e Giordano Bruno, entrambi nello stesso decennio. Peccato che, spiega Palmer, «quei processi non rappresentavano l’attività usuale dell’Inquisizione».
Quindi, ha proseguito, «se scopri che tutti i processi agli scienziati sono nello stesso decennio, non stai scoprendo cosa faceva l’Inquisizione. Hai scoperto cosa faceva l’Inquisizione tra il 1590 e il 1600 perché c’era qualcosa che in quel momento la spingeva ad agire così».
Galileo e Giordano Bruno, la scienza non c’entrava
E, a ben vedere, la scienza in quanto tale non c’entrò nulla né con Galileo, né con Bruno.
Il tema è troppo vasto per analizzare dettagliatamente i due casi, basti sapere che -come spiega la storica americana- per Giordano Bruno il processo dipese interamente dal fatto che fu denunciato dal suo stesso patrono veneziano, Giovanni Mocenigo. Il quale si convinse, infatti, di essere stato truffato e che Bruno fosse un ciarlatano.
Bruno era già stato interrogato e “assolto” due volte dall’Inquisizione prima della denuncia di Mocenigo, la quale portò al noto epilogo in quanto il sistema giudiziario e politico rinascimentale era interamente basato sul patronato. Chi lo tradiva e lo violava subiva gravi pene.
Passando al caso Galileo, spiega Palmer, anche i quel caso «se si leggono i documenti reali del processo a Galileo la scienza quasi non viene menzionata, era marginale».
E anche in tale ambito marginale, la circostanza ha condotto il filosofo della scienza Paul Feyerabend addirittura a difendere la Chiesa!
Feyerabend argomentò infatti che le critiche dell’Inquisizione non erano affatto irrazionali o ingiustificate: le osservazioni dei primi telescopi, la reinterpretazione di fenomeni come le fasi di Venere o gli esperimenti di caduta libera presentavano lacune e richiedevano supplementi teorici non immediatamente disponibili.
La Chiesa quindi, di fronte a un radicale cambio di paradigma come quello proposto da Galileo, agì con la stessa prudenza con cui si muovono oggi le associazioni scientifiche. Pur avendo naturalmente torto, spiega Feyerabend, l’Inquisizione ebbe paradossalmente un approccio più prudente dello stesso Galileo.
Al contrario di Bucci non ci stupiamo affatto che proprio l’autorità ecclesiale, spesso accusata di oscurantismo, abbia ricordato quanto la libertà di ricerca sia vitale per il progresso scientifico.
E questo dovrebbe far riflettere con più onestà anche su certi stereotipi circa la Chiesa e la scienza, evitando giudizi sommari che non reggono all’esame della storia.
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