Tra aborto e suicidio, il Regno Unito cede al culto della morte

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Due storiche decisioni nel Regno Unito: l’aborto liberalizzato fino alla 24esima settimana e il suicidio assistito per i malati terminali. E’ la massima espressione della civiltà secolarizzata dove la morte diventa un culto da celebrare e invocare come diritto.


 

Il Regno Unito si lega a doppia mandata con la cultura della morte.

Nel giro di pochi giorni, la Camera dei Comuni ha approvato un disegno di legge per legalizzare il suicidio assistito, dall’altro si è depenalizzato l’aborto fino alla 24esima settimana, eliminandolo definitivamente dal codice penale.

Due volti di uno stesso inganno. Dietro parole come “autonomia”, “compassione”, “diritto”, si cela un vuoto etico profondo, scavato da decenni di secolarismo.

 

La morte come conquista delle civiltà secolarizzate

Nelle civiltà secolarizzate ad essere valorizzata e amata non è più la vita, è la morte a ricevere celebrazioni, incoraggiamento, normalizzazione. L’ossessione del morire si riveste di nobiltà, sovrasta tutto e si trasforma in atto di libertà.

I media all’unisono fanno il loro gioco, parlano di “passi avanti”, di “civiltà”, di “diritti”.

Ma dov’è la civiltà nel negare la vita a chi è stato già concepito, è già vivo nel grembo, ma semplicemente non ancora partorito? E dov’è il passo in avanti di una società che — incapace di trasmettere un senso al vivere — preferisce accelerare la fine?

Umberto Veronesi — oncologo, laico — ebbe il coraggio di dire che nessuno, se amato e curato fino alla fine, chiede di morire.

E oggi lo ha ribadito con lucidità un altro pensatore non credente, Alain Minc, secondo cui l’introduzione del diritto a morire porterà a una mutazione sottile ma radicale: la libertà di morire si trasformerà nel dovere di farlo. Per non essere un peso, per non gravare sulla famiglia, sui servizi pubblici, sul sistema.

Troppo comodo dare loro la pillola della morte sperando che si tolgano presto di torno, liberando spazio dalle coscienze e degli hospice. È troppo comodo evitare la fatica — umana, morale, spirituale — di accompagnare chi soffre, anche in stadio terminale.

 

Segnali inquietanti di una società esausta

L’aborto e il suicidio non sono conquiste civili, ma segnali di una civiltà esausta, esaurita, che non sa più dare significato alla vita. Non sa più accompagnare, né generare.

Il Regno Unito ha scelto: ha ceduto al fascino della cultura della morte, travestita da compassione.

Il resto dell’Occidente guarda e molti — come spesso accade — imiteranno. Il mondo farà le sue scelte, per quanto ci riguarda continueremo a ricordare che la vera libertà nasce sempre da un legame, non da una rottura.

E che laddove si perde il senso ultimo del vivere, prima o poi, l’unico valore a rimanere in gioco è quello del morire.

Autore

La Redazione

1 commenti a Tra aborto e suicidio, il Regno Unito cede al culto della morte

  • Paolo ha detto:

    «Dalla neutralità del Leviatano allo Stato contro natura. E l’ipocrisia del nuovo assolutismo»

    La deriva attuale dello Stato di diritto, che oggi legifera su eutanasia, aborto, autodeterminazione di genere, ecc., è il compimento di una traiettoria cominciata con Hobbes, per cui il potere politico, pur non dichiarandosi contro la natura umana, si presentava “neutrale” rispetto ad essa. Ma era già una neutralità viziata: la natura era ridotta a pura fisicità, e la verità a una minaccia per la pace civile.

    Con Kelsen e il giuspositivismo, questa neutralità si è trasformata in volontarismo legislativo: la legge non riflette più alcun ordine naturale o superiore, ma è solo il prodotto della volontà di chi ha il potere — magari della maggioranza.

    Oggi, però, si è andati oltre: lo Stato moderno non è più neutrale, ma legifera attivamente contro natura, contro l’uomo nella sua essenza, creato e ordinato da Dio al vero e al bene.
    Si pretende che il diritto sancisca non ciò che è giusto, ma ciò che piace. E ciò che “piace” diventa così norma, elevato a ideale: la morte volontaria viene chiamata “dignità”, la soppressione del debole “compassione”, la rinuncia alla verità “autonomia”.
    Siamo davanti a un paradosso tipico del nostro tempo: l’ideologia relativista, che si proclama “tollerante”, si comporta in realtà come un nuovo assolutismo.

    Con quale esito? Le minoranze più vulnerabili — i malati terminali, i concepiti, gli anziani fragili — sono le prime a subire le conseguenze di una legislazione che, in nome dell’autodeterminazione della maggioranza “sana”, impone la propria visione antropologica come se fosse “neutra”. È l’ipocrisia più grande: si accusa chi difende la legge naturale di essere intollerante o soggettivo, mentre si impone con violenza una concezione dell’uomo radicalmente autoreferenziale, gnostica, satanica, slegata dalla verità del corpo e della relazione.
    (non ho usato il termine “satanico” per sbaglio: quando vedete un bambino che sta per bere il flacone dalle medicine del nonno, usereste parole gentili per dissuaderlo?)

    Una società che nega Dio finisce inevitabilmente per negare anche l’uomo. Ma proprio da questo abisso, nel momento in cui tutto sembra perduto, la verità eucaristica, mariana e magisteriale papale — silenziosa, umile, concreta — saprà farsi sentire. Come sempre è accaduto.