Hanno appena dedicato un asteroide a un prete

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Don Luca Peyron è sacerdote, scrittore e astrofilo a cui l’Unione Astronomica ha dedicato l’intitolazione di un asteroide. E’ lui il nostro ospite per l’intervista del venerdì.


 

L’asteroide 114772(2002NM5) scoperto nel 2002 ha da poco assunto una nuova denominazione ufficiale: Luca Peyron.

Ma chi è Luca Peyron? O, meglio, don Luca Peyron?

Sì, perché si tratta di un solare sacerdote italiano, scrittore e cofondatore del Servizio per l’Apostolato digitale dell’arcidiocesi di Torino.

Il merito, si legge sul comunicato dell’Unione Astronomica, è aver «saputo collegare l’astronomia alla coscienza collettiva, utilizzando il cielo profondo non solo a fini scientifici, ma anche per la crescita culturale ed educativa».

Don Luca è oggi ospite di UCCR, a lui abbiamo dedicato la nostra intervista del venerdì.

 

L’intervista a don Luca Peyron

DOMANDA – Don Luca, cosa ha provato quando ha saputo che un asteroide avrebbe portato il suo nome? Se lo aspettava?

RISPOSTA – Gli astronomi Maura Tombelli e Fabrizio Bernardi si sono fatti parte attiva del processo che ha portato all’intitolazione.

Innanzitutto ho provato tanta riconoscenza nei loro confronti e della loro apertura e generosità per me che sono un modesto astrofilo. Non mi aspettavo che fosse possibile, ma sono davvero felice.

Non tanto, o non solo, perché è il mio di nome, ma perché è il nome di un prete e per di più che non fa ricerca scientifica diretta, ma tenta di far dialogare scienza, fede e tecnica nella pastorale ordinaria. Che questa attività possa essere riconosciuta di interesse comune, uno strumento di coesione, di pace, di crescita culturale per chiunque mi fa davvero felice!

 

DOMANDA – Infatti l’Unione Astronomica ha motivato questa scelta proprio riconoscendo il suo impegno nell’avvicinare l’astronomia alla coscienza collettiva. Ma come è nata la passione per l’astronomia e com’è riuscito a coltivarla, prima e dopo l’ordinazione sacerdotale?

RISPOSTA – La passione per il cielo e l’avventura spaziale ha in me radici antiche, nell’infanzia. Ma è un seme che non è stato mai coltivato per mille ragioni.

Tolto la saga di Star Trek o Star Wars, qualche libro di astronomia alle elementari ed un binocolo, il cielo è rimasto per tutti questi anni lassù. La passione si è accesa solo nel 2021, ben dopo l’ordinazione sacerdotale.

Lo racconto nel primo dei due libri che ho avuto desiderio di scrivere per rendere ragione della grande bellezza che ho incontrato, Cieli Sereni (San Paolo 2023).

Oggi il cielo profondo, nebulose, galassie e meteoriti fanno parte degli strumenti pastorali con cui provo ad annunciare il Vangelo e tessere un dialogo tra saperi diversi. Una passione privata infatti è diventata presto uno strumento pastorale, è questione di deformazione vocazionale temo.

 

DOMANDA – In questa sua attività pastorale con i giovani universitari, quanto incide questa passione? E’ possibile, secondo la sua esperienza, “intercettarli” sui punti di dialogo tra scienza e fede?

RISPOSTA – Gli anni trascorsi nei corridoi del Politecnico e dell’Università di Torino mi hanno portato ad essere persuaso che il dialogo sia imprescindibile.

Una delle grandi questioni di questo tempo credo sia mostrare la pertinenza della fede con la vita e questo passa per una vita, oggi, profondamente segnata dalla cultura scientifica e tecnica. “I Parti, gli Elamiti, gli abitanti del Ponto e dell’Asia” (Atti 2,9), oggi, sono questi ed in questi linguaggi è necessario che sentano l’annuncio di Cristo che è prima di tutto un annuncio di pienezza di vita, nel tempo e nell’eternità.

Rendere ragione delle fede oggi, così come confermare chi la fede la vive, passa non tanto dalle prove scientifiche dell’esistenza o dell’inesistenza di Dio. Passa attraverso la via dei Magi che fanno della scienza una strada che porta alle domande di senso, ad incontrare Colui che è il senso di ogni domanda.

 

DOMANDA – Il suo sguardo è molto profondo, ma quali sono i suoi maestri o i riferimenti principali, nella Chiesa e nel mondo scientifico, che l’hanno ispirata?

RISPOSTA – Ho scoperto Enrico Medi, figura meravigliosa di credente e di fisico, e poi via via tutti i grandi che in un modo o nell’altro si sono confrontati con la propria coscienza. Da Galileo e Copernico.

Il magistero di Paolo VI e di Benedetto XVI continuo a viverli come nutrimento straordinario, e poi la Scrittura. Rileggere le pagine della Bibbia con gli occhi rivolti al cielo è fonte di sempre nuove scoperte, di visioni e suggestioni spirituali straordinarie.

A partire dalle due più semplici. Il Padre nostro è nei cieli ed il Dio in cui credo, Padre creatore del cielo. É un complemento di luogo o una rivelazione di una connessione tra la paternità di Dio e la bellezza di quanto colora la notte?

 

DOMANDA Molti sostengono che nella storia è frequente trovare scienziati sacerdoti e credenti nel campo della fisica e dell’astronomia piuttosto che nel campo della biologia e della chimica. C’è un motivo particolare? Che idea si è fatto?

RISPOSTA – Sono restio ad associare le due questioni, mi pare una apologia di corto respiro, soprattutto con i giovani.

Il credente autentico è una persona che non smette di farsi domande e non si accontenta di frasi fatte. Ha bisogno di un incontro concreto e reale, una intellezione esistenziale. Ogni essere umano che ha percorso questa strada ci può essere da guida. Che sia un Nobel per la fisica o un semplice contadino russo dell’800.

Il Cielo, qualunque sia la ragione per cui lo si guarda – scienza, poesia o un blackout di internet – è certamente una delle migliori piste di decollo per l’avventura del senso e della fede. Ecco perché riscoprirlo, e ridonarlo alle persone spegnendo un po’ di luci inutili è una buona idea ed una buona sfida.

 

DOMANDA – Nel suo recente libro “Sconfinato. Nuove cronache di cieli sereni” (San Paolo 2025) riflette su come la meraviglia del cielo spinge a farci vivere diversamente la fede, ripensando alla nostra esistenza. Carl Sagan scriveva invece che la vastità dell’Universo dimostra l’illusione del nostro sentirsi privilegiati e sancisce la nostra irrilevanza cosmica. Perché “non c’è traccia di un aiuto che possa arrivare da altrove per salvarci da noi stessi”1C. Sagan, “Pale blu dot”, 1994. Se avesse la possibilità di un incontro con lui, cosa gli direbbe?

RISPOSTA – Innanzitutto grazie, perché ci ha donato molta scienza fatta bene, grazie perché ha convinto la Nasa a fare il ritratto di famiglia – una foto del nostro sistema solare dai nostri confini -, grazie perché ha saputo raccontare il cielo in modo straordinario.

E poi gli direi che ha ragione: io non mi sento privilegiato a scapito di altri. Mi sento investito da una bellezza che mi rende felice, mi fa sentire amato e voluto e che spero non essere solo mia o solo per me. Ha ragione a dire che siamo irrilevanti, vermiciattoli di Giacobbe. Non credo che Sagan dicesse qualcosa di diverso da quanto io scrivo.

Forse manca solo un pezzo: il senso ultimo di quello che scrive. Sconfinato significa questo per me, non è un aggettivo, è un participio. Io sono grato che il Sole sconfini sulla Terra e la riscaldi. Sono grato che Cristo abbia sconfinato nella mia natura umana e l’abbia redenta. Sì questo aiuto è arrivato, non da altrove, ma dal per sempre.

 


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Autore

La Redazione

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