Pride in crisi, sempre più aziende si sfilano dagli sponsor

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Grandi e piccoli sponsor fuggono dal Gay Pride: un cambiamento culturale sta attraversando gli Stati Uniti, dove le aziende non vogliono più perdere fatturato schierandosi politicamente con l’agenda LGBTQ+.


 

Il mese di giugno per molti è sinonimo di Gay Pride.

Soprattutto all’estero, negli ultimi decenni le grandi aziende hanno sempre adottato strategie di marketing per celebrare il “Pride Month” e sostenere l’orgoglio LGBTQ+.

Ma siamo nel 2025 e le cose, come abbiamo già scritto, sono cambiate.

 

Le grandi aziende rifiutano lo sponsor al Pride

Decine di aziende infatti stanno declinando l’invito a partecipare alle celebrazioni a causa delle crescenti reazioni dei consumatori (detti anche boicottaggi!) e a un generale desiderio di evitare controversie, riconoscendo l’impopolarità dell’adesione.

Gli organizzatori della San Francisco Pride Parade hanno infatti confessato la difficoltà nel trovare sponsor aziendali. La direttrice dell’evento, Suzanne Ford, ha detto di essere “davvero delusa” dall’ondata di aziende che hanno rinunciato il supporto, numero che continua a crescere.

Secondo il Wall Street Journal, aziende come Mastercard, PepsiCo, Nissan, Citibank, PricewaterhouseCoopers, Booz Allen Hamilton, Darcars Automotive Group e altre hanno rinunciato del tutto alla sponsorizzazione del Gay Pride, addirittura anche dopo anni di generose partnership come nel caso di Anheuser-Busch.

Il New York Times riporta invece che l’azienda Target è quella che ha donato finora la cifra più alta (175.000 dollari) al NYC Pride, ma quest’anno lo ha fatto silenziosamente, senza alcuna attribuzione pubblica o cartellonistica. L’azienda americana, infatti, ha subito un calo delle azioni del 61% che l’hanno costretta a rinunciare alle politiche DEI.

La leader di United States Association of Prides ha riferito al quotidiano americano che l’ondata di reazioni negative è così forte che la maggior parte delle aziende chiede oggi che i propri nomi e loghi vengano addirittura rimossi «dagli allestimenti ufficiali e dall’abbigliamento». Solo a New York, un terzo degli sponsor aziendali del NYC Pride ha rifiutato lo sponsor, ha ridotto le donazioni o è “in trattative” per rinunciare.

Secondo un sondaggio di Gravity Research, il 39% dei leader aziendali prevede di ridurre la propria partecipazione al Pride da qui in avanti.

 

Licenziamenti in corso dei network LGBTQ+

Un riflesso di questo è quanto sta avvenendo anche all’interno dei grandi gruppi di pressione LGBTQ+.

Il “Gay, Lesbian & Straight Education Network” (GLSEN), ad esempio, fondato nel 1990 per promuovere l’ideologia arcobaleno nelle scuole pubbliche, ha annunciato il licenziamento del 60% del suo personale a causa della crescente mancanza di supporto finanziario

A sua volta, la principale lobby LGBTQIA+ americana, la Human Rights Campaign (HRC), ha annunciato il taglio del 20% dei suoi dipendenti dopo aver subito un calo di 10 milioni di dollari di donazioni rispetto al 2024.

 

Un cambiamento culturale nelle grandi aziende

I nomi delle aziende che si stanno sfilando dalla propaganda arcobaleno sono tanti.

Il caso che ha fatto deflagrare il sistema è quello di Bud Light, il più grande produttore di birra del mondo.

Dopo una campagna pubblicitaria con testimonial un transgender ha subito un calo del 10% delle entrate, pari a una perdita di 395 milioni di dollari.

Tra il 2024 e il 2025, da allora, centinaia di piccole, medie o grandi aziende hanno ritirato e annullato le politiche DEI basate sulla sponsorizzazione di eventi arcobaleno e politiche woke di inclusività ideologica.

Tra le tante citiamo Coca-Cola, PepsiCo, Goldman Sachs, Diseny, Accenture, Amazon, Google, Meta, McDonald’s, Walmart, Lowe’s, Ford Motor Co., Harley-Davidson, IBM, Victoria’s Secret, Warner Bros. Discovery, Paramount ecc. Un resoconto completo (aggiornato ad aprile 2025) è pubblicato su Forbes.

L’ex deputato americano Jody Hice ritiene che vi sia una crescente stanchezza dei consumatori nei confronti delle aziende che si colorano di arcobaleno e costringono ad accettare politiche e prodotti legati all’agenda LGBTQ+.

Tuttavia teme «ci vorrà molto tempo» prima di tornare a una situazione pre-ideologica e poter parlare di un cambiamento culturale.

Autore

La Redazione

1 commenti a Pride in crisi, sempre più aziende si sfilano dagli sponsor

  • Paolo Giosuè ha detto:

    Il calo delle sponsorizzazioni aziendali di eventi LGBT potrebbe riflettere, almeno in parte, una crescente consapevolezza della più profonda crisi antropologica in gioco. Come ha osservato Peter Kreeft, la ridefinizione del matrimonio non è semplicemente un cambiamento sociale, ma una rottura filosofica: segnala l’abbandono di un’idea di natura – di telos, progetto e scopo – a favore del volontarismo e dell’autocostruzione soggettiva. Questo cambiamento è al centro della postmodernità: la natura non detta più ciò che è buono o appropriato, in particolare in materia di sesso, famiglia e identità.

    Il matrimonio tradizionale è intrinsecamente orientato al figlio, fondato sulla complementarietà dei sessi, non come convenzione sociale, ma come struttura naturale ordinata alla nascita di una nuova vita e all’educazione dei figli attraverso modelli sia materni che paterni. In quest’ottica, privare un figlio di uno dei genitori non è neutrale: è una ferita. Non si tratta di un’argomentazione basata sul pregiudizio, ma sull’amore: un amore per i figli, per la famiglia e per l’ordine stesso della natura.

    La domanda, quindi, non è empirica, ma metafisica. Cos’è l’essere umano? Si può ignorare la natura umana senza conseguenze? Se rispondiamo in modo sbagliato, rischiamo di costruire una civiltà in cui la tecnologia sostituisce la natura e l’ideologia soppianta la verità.