Darwin avviò la liberazione sessuale? Parla il prof. Facchini
- Interviste
- 06 Giu 2025
Sull’idea che Darwin sia il padre della liberazione sessuale verte la nostra intervista a Fiorenzo Facchini, antropologo dell’Università di Bologna. Gli abbiamo sottoposto le tesi di Yuval Noah Harari.
Charles Darwin è un profeta della liberazione sessuale?
E’ questa la tesi sostenuta da Yuval Noah Harari durante la recente Giornata Internazionale contro l’omofobia.
Harari e Darwin come padre della liberazione sessuale
Ma chi è Harari?
E’ un divulgatore scientifico e docente di Storia dell’Università Ebraica di Gerusalemme. E’ tra gli intellettuali più influenti al mondo, milionario, gay, vegano, ateo e con potenti amicizie, dalla Silicon Valley all’ex presidente Barack Obama.
Questo gli permette di occuparsi un po’ di tutto, dall’intelligenza artificiale alla biologia, dal futuro della religione al libero arbitrio.
Molto seguito dal pubblico per le indubbie capacità oratorie ma altrettanto criticato in ambito accademico per lo spiccato qualunquismo populista delle sue affermazioni.
Sembra essere proprio il caso del suo recente intervento, in cui, con solo poche parole, ha trasformato Darwin in un progenitore della liberazione (omo)sessuale e ha negato qualunque finalismo in biologia.
«Se pensiamo alla liberazione delle persone omosessuali», ha detto Harari, «sotto sotto puoi trovare Darwin».
Per secoli, spiega, si era creduto «all’idea mitologica» per cui «il sesso era creato da Dio come scopo per la riproduzione», e qualunque altro fine era considerato peccato. «Poi arrivò Darwin, il quale disse che in biologia non c’è nessuno scopo. Niente ha uno scopo in biologia. In biologia ci sono solo cause».
L’intervista a mons. Facchini, tra finalismo e Darwin
Abbiamo sottoposto questo pensiero a mons. Fiorenzo Facchini, professore emerito di Antropologia dell’Università di Bologna e stimato divulgatore scientifico, in particolare del campo evolutivo. Già gradito ospite di UCCR in passato.
A lui è dedicata l’odierna intervista del venerdì.
DOMANDA – Prof. Facchini, Harari sembra assolutamente convinto dell’assenza di scopo nella biologia. Lei cosa ne pensa?
RISPOSTA – La negazione di finalità nel mondo dei viventi appare ispirata a una ideologia costruita fuori dalla realtà.
Nessuno può negare che un principio finalistico sia alla base di molte relazioni fra i viventi. Altra cosa è un finalismo generale, messo in discussione da Darwin, che però non è dimostrabile con i mezzi della scienza.
DOMANDA – E davvero in ambito evolutivo si parla solo di cause?
RISPOSTA – L’affermazione che niente ha uno scopo in biologia e che essa considera solo le cause è limitante, non corrisponde alla esigenza di conoscere e spiegare la realtà nelle diverse relazioni, molte delle quali rivelano rapporti tra causa ed effetto.
In questo si possono cogliere aspetti o connessioni di carattere finalistico, al di là di come si siano formati. La scienza non può far conto di non vedere, attribuendo tutto al caso.
La realtà della natura appare ordinata. Quale senso possa avere ciò su un piano generale è la grande sfida lanciata alla intelligenza umana. Ma se non riusciamo a scoprirlo con i metodi della scienza non è detto che non esista e non sia raggiungibile con la logica.
DOMANDA – Harari usa Darwin per congelare e censurare qualunque giudizio etico sull’agire umano: ha ragione?
RISPOSTA – La scienza osserva, descrive le diverse realtà della natura, su cui può innestarsi il comportamento umano. In questo caso possono affacciarsi problemi o domande di ordine filosofico o etico.
La natura dei viventi ha le sue regole. Eventuali scostamenti hanno le loro cause, ma restano variazioni sulle quali, quando si innestano le scelte dell’uomo, può esserci una valutazione etica.
Quanto allo sdoganamento dell’omosessualità, dal punto di vista etico non c’è bisogno di scomodare Darwin piegandolo a una discutibile estensione della sua teoria in nome della casualità. Va tenuto presente in ogni caso che esiste una sessualità secondaria della specie umana, per cui tratti secondari del sesso opposto possono ritrovarsi in un sesso ben definito geneticamente.
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4 commenti a Darwin avviò la liberazione sessuale? Parla il prof. Facchini
Mi scuso per la mia ignoranza, ma cosa intende l’intervistato con la frase:
“_Va tenuto presente in ogni caso che esiste una sessualità secondaria della specie umana, per cui tratti secondari del sesso opposto possono ritrovarsi in un sesso ben definito geneticamente_” ?
Dove posso trovare chiarimenti e significato relativi a “sessualità secondaria” e “testi secondo del sesso opposto” ?
Vi ringrazio anticipatamente.
I tratti secondari sono ciò che differenzia i maschi dalle femmine al di fuori degli organi riproduttivi e ti dico, onestamente non ho chiaro nemmeno io il senso dell’ultima frase.
Enrico, rispondo nel contesto di un commento più ampio.
Facchini fa due operazioni fondamentali. Primo: ricorda che l’etica non si fonda sulla biologia. Secondo: riconosce la complessità del dato biologico umano, senza per questo annullare la distinzione sessuale o cedere a visioni ideologiche della sessualità. In altre parole, variazioni nei tratti secondari non alterano la realtà genetica del sesso, né bastano a ridefinire l’etica naturale.Con “sessualità secondaria” si riferisce, infatti, ai caratteri sessuali secondari (tratti che distinguono i sessi ma non sono direttamente coinvolti nella riproduzione, ad esempio il tono della voce, la peluria corporea, lo sviluppo del seno). La sua tesi è che il sesso biologico di una persona sia geneticamente determinato, ma tratti tipicamente associati al sesso opposto possono essere presenti senza alterare tale identità biologica.
Quindi, suggerisce che l’omosessualità o la non conformità di genere non neghino il sesso genetico di una persona e che la biologia abbia spazio per la variazione nell’espressione senza dover ridefinire l’etica sessuale o le categorie antropologiche.
Ma Harari non si limita a negare il fine della natura. In una chiave sempre più postumana, egli auspica il superamento dell’uomo attraverso tecnologie che riscrivano il codice genetico, manipolino la coscienza, estendano la vita oltre ogni limite. È qui che la sua posizione diventa ancora più radicale: non è solo Dio a essere espulso. Lo è anche la verità.
Il filosofo cattolico Peter Kreeft, il pensatore che amo di più, per la triplice associazione che trovo in lui, di genio, umiltà e humor,, ha commentato questo passaggio epocale con uno dei suoi paradossi folgoranti:
“Il postumanesimo è peggiore dell’ateismo: l’ateismo almeno cerca la verità; il postumanesimo la rifiuta.”
Una battuta? Forse. Ma estremamente seria. L’ateo può ancora voler ragionare, discutere, fondare l’etica su qualche principio razionale. Il postumano, invece, sospende il giudizio: conta solo ciò che si può fare, produrre, ottimizzare. La domanda su cosa sia vero, buono o giusto diventa irrilevante. E allora, parafrasando Kreeft con un sorriso amaro:
“Il postumanesimo è l’ateismo dopo una lobotomia: non solo nega Dio—si dimentica il motivo per cui lo si cercava.”
Contro questo oblio sistematico del senso, della verità e della responsabilità, la tradizione cristiana — e con essa una ragione filosofica ancora viva — ha il dovere di parlare. Non per restaurare un passato idealizzato, ma per difendere l’umano. Nella scienza che tace sull’etica, e nell’antropologia che riduce l’uomo a codice e statistica, è urgente ricordare che la verità non è un optional. È la sola bussola che salva l’uomo dalla deriva.
Intendevo “tratti secondari del sesso opposto”