Eredità del cristianesimo, quando lo storico convince l’ateo

eredità cristianesimo

Qual è l’eredità del cristianesimo nella nostra visione etica? Un confronto serrato tra lo storico Tom Holland e il filosofo ateo Sam Harris sulle radici cristiane della morale anche laica. La conclusione è un’ammissione sorprendente.


 

Nel mondo contemporaneo, dove l’ateismo pretende di essere portabandiera della razionalità e della libertà, accade talvolta che proprio gli esponenti del pensiero secolare si trovino a fare i conti con le radici cristiane della loro stessa morale.

È il caso dell’interessante incontro tra Tom Holland, celebre storico inglese autore del fortunato libro “Dominion. The Making of the Western Mind” (Little 2020), e Sam Harris, noto filosofo e tra gli ultimi sopravvissuti del cosiddetto “nuovo ateismo”.

Di Holland abbiamo parlato più volte da quando nel 2016 ha sul settimanale della sinistra britannica, “New Statesman”, ha annunciato di essersi sbagliato: «Mi ci è voluto molto tempo per realizzare che i miei costumi non sono greci o romani, ma in fondo, e con orgoglio, cristiani».

Durante l’intervista che Harris ha condotto per il suo podcast, i due si sono confrontati proprio su questo importante tema: quanto della nostra visione etica del mondo, anche se dichiaratamente secolare, è in realtà ereditata dal cristianesimo?

 

Holland: la morale è frutto dell’eredità del cristianesimo

Tom Holland ha cominciato il dibattito partendo da un’osservazione storica scomoda: il mondo greco-romano è spesso celebrato senza conoscerlo. Ma non era né laico né umanista, bensì basato sulla forza, sul dominio e sulla gerarchia.

«La crocifissione», afferma Holland nel podcast, «era la sorte paradigmatica riservata agli schiavi, una punizione non solo dolorosa, ma pubblicamente umiliante». In questo contesto, l’idea che un Dio potesse essere crocifisso era, per l’uomo antico, semplicemente ripugnante.

Tuttavia, è proprio questo scandalo che dà al cristianesimo la sua forza dirompente: «La croce è probabilmente il simbolo più folle, strano e bizzarro mai concepito nell’antichità, e forse proprio per questo il più duraturo», afferma lo storico.

Da questo assunto (ci era arrivato anche Nietzsche!), Holland prosegue osservando che la sensibilità moderna verso i deboli, gli ultimi, i poveri, gli emarginati – che credenti e non danno per scontata – non è “naturale” né “razionale”, ma radicata profondamente nella visione cristiana della dignità umana, forgiata dalla croce.

 

Sam Harris e l’ammissione sull’eredità del cristianesimo

Sam Harris si mostra sorprendentemente sorpreso dalla forza dell’argomentazione di Holland.

In modo molto onesto, riconosce quanto sia difficile conciliare la morale secolare con l’indifferenza etica del mondo classico:

«Mi sono accorto che raramente giudico i Greci e i Romani con lo stesso rigore morale con cui giudico, ad esempio, i jihadisti. Eppure le loro etiche erano crudeli. Questo è un effetto di duemila anni di cristianesimo».

Nel corso del confronto, Harris si trova più volte ad ammettere che molte delle sue convinzioni morali, pur dichiarandosi autonome, risuonano profondamente con l’etica cristiana che ha permeato il pensiero occidentale per secoli.

«Gran parte di ciò che consideriamo naturale in termini morali secolari», afferma ad un certo punto il filosofo, «è in realtà un’eredità dell’etica cristiana».

E’ un passo inaspettato da uno che è diventato noto paragonando la religione al terrorismo nel suo “The End of Faith: Religion, Terror, and the Future of Reason” (W.W. Norton & Company 2004).

 

Quel che bisognerebbe portare a casa dal confronto è il concetto più volte espresso ottimamente da Holland e condiviso da Harris. Le nostre convinzioni etiche ci sembrano scontate soltanto perché siamo immersi in una cultura totalmente cristiana.

Anzi, per dirla con le parole conclusive di Tom Holland: «Il mondo antico era moralmente alieno, ma noi lo abbiamo dimenticato perché ci muoviamo in un paesaggio modellato da duemila anni di cristianesimo».

Autore

La Redazione

2 commenti a Eredità del cristianesimo, quando lo storico convince l’ateo

  • Paolo Giosuè ha detto:

    Rémi Brague ha fatto una riflessione, nel 2018, a Cracovia, particolarmente illuminante. Il cristianesimo non ha portato una nuova moralità. I ​​Dieci Comandamenti sono rimasti. Ciò che il cristianesimo ha portato, tuttavia, è stata la capacità di vedere a chi fosse destinata la legge morale. Se posso usare un termine tecnico, ha innalzato l’ “oggetto formale quo”, direbbero gli scolastici, ossia il punto di vista, il contesto, gli “occhiali”, il piano da cui osservare il traffico, la strada sottostante, ossia la prospettiva sotto la quale si giudicano le scienze e la storia. Ha reso visibili coloro che erano stati a lungo invisibili:lo zigote, il nascituro, il bambino malformato, lo schiavo, la donna, il povero, lo straniero. Ha rivelato che anche questi sono persone – prossimi – perché creati a immagine di Dio.

    Mentre il mondo antico spesso negava la piena umanità a certe classi di persone, il cristianesimo affermava una dignità universale fondata non sullo status sociale o sull’utilità (per Agostino il peccato, e specialmente la sua radice, la superbia, consiste proprio nello scambiare l’ordine ontologico, di realtà, con quello di utilità o di piacere), ma sull’essere creati e redenti. La rivoluzione sessuale o antropologica (l’ideologia gender non ne è che il frutto più amaro e ultimo), il più dirompente e, mi si lasci dire, sulla scia della scuola controrivoluzionaria, logica conseguenza delle “ribellioni” precedenti, luterana (1517), massonica (1717), economica(1729) e comunista(1917, al contrario, non ha “liberato” la persona umana, ma ha progressivamente smantellato l’idea stessa di persona. La sua logica tratta il corpo come materia prima da manipolare, il sesso come svago, i bambini come accessori o ostacoli per lo stile di vita e la verità come oppressiva. La “libertà” che promette è in definitiva parassitaria di una visione dell’umano che non può giustificare.

    Brague scrive che nessun microscopio può mostrarci la piena umanità dell’embrione; la scienza ci dice come si sviluppa la vita, ma non chi è presente. Solo la visione cristiana, che vede nel Cristo crocifisso la piena presenza di Dio nell’essere umano fragile, può insegnarci a vedere correttamente. Senza questa luce, ricadiamo nel tribalismo: le società diventano club privati ​​in cui la piena personalità è concessa o negata dal consenso sociale, proprio come accadeva nell’antichità pagana. Oggi i nostri criteri possono essere diversi, ma il meccanismo è lo stesso.

    Quindi, il fallimento della rivoluzione sessuale non è semplicemente una questione di crollo delle strutture familiari o di declino demografico, sebbene questi siano reali. Il suo fallimento più profondo è la sua cecità nei confronti della persona umana. Restituendoci la vista, il cristianesimo non impone una legge dall’esterno, ma ci permette di vedere la verità che è sempre stata presente: che ogni vita, per quanto piccola, debole o dipendente, porta l’immagine di Dio ed è degna di amore.