Sindone, prove storiche nel 1204: ne parlò Innocenzo III?

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Papa Innocenzo III parlava della Sindone già nel XIII secolo? Una inedita pista d’indagine porta la storia del telo sindonico a Costantinopoli, anticipando di oltre un secolo le prime testimonianze certe. La nostra intervista con Alessandro Piana.


 

La Sindone di Torino è una delle reliquie più studiate della storia.

Dal punto di vista storico una delle questioni più discusse è il suo arrivo in Europa occidentale: comparve per la prima volta a Lirey, in Francia, nel 1353? O esistono tracce anteriori che ne provano la presenza altrove?

Nel libro Nuova luce sulla Sindone (Ares 2024) si accenna a una lettera di papa Innocenzo III del 1204 che potrebbe testimoniare la conoscenza della Sindone a Costantinopoli.

L’importanza della missiva è evidente, anticiperebbe la prima testimonianza certa della Sindone di oltre un secolo e supporterebbe l’ipotesi che la Sacra Sindone, venerata oggi a Torino, possa essere la stessa custodita a Costantinopoli nel XIII secolo, e forse prima ancora a Gerusalemme.

Di questo e delle prove storiche della Sindone parliamo con Alessandro Piana, già ospite di UCCR nel 2022 e tra i maggiori esperti italiani sulla Sacra Sindone, membro del Comitato Scientifico dell’International Workshop on the Scientific Approach to the Acheiropoietos Images, tenutosi presso il centro ricerche ENEA di Frascati.

 

La Sindone, la lettera di Innocenzo III del 1204

DOMANDA – Professore, ci spieghi qualcosa in più della lettera di papa Innocenzo III che sembra suggerire una conoscenza della Sindone a Costantinopoli all’inizio del XIII secolo.

RISPOSTA – La lettera è la Legimus in Daniele, composta da Innocenzo III il 13 novembre 1204.

La missiva1Episcopis, abbatibus ceterisque clericis in exercitu crucesignatorum apud Constantinopolim existentibus, inviata al clero latino facente parte della spedizione crociata e redatta al fine di riassumere e spiegare quali dovessero essere i fondamenti dottrinali per l’unione tra la Chiesa latina e la Chiesa greca, è stata riletta grazie al contributo del teologo Antonio Fatigati.

Nell’estate del 1198, a pochi mesi dalla sua elezione, Innocenzo III chiama il mondo cristiano di Occidente a una nuova crociata per la ripresa di Gerusalemme con l’obiettivo di ribadire la supremazia del Soglio di Pietro su tutta la cristianità e ricondurre a ragione gli scismatici greci.

Nel novembre del 1199 ricorderà al patriarca di Costantinopoli che vi è un primato della Sede apostolica romana che Cristo stesso ha istituito, così come si legge in Gv. 1,42: “Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: ‘Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa’ – che significa Pietro”.

Innocenzo richiama però l’assonanza greca di Cefa con “testa” ed è per questo, continua nella sua lettera, che l’identificazione in Pietro indica la volontà di riconoscerlo come capo della Sua Chiesa e a lui furono affidate le pecore da pascere.

Non può dunque stupire se nella missiva da noi analizzata, il Pontefice riflette sulla nascita del nuovo impero latino e dice che a Roma è custodita la reliquia del volto di Cristo, ovverossia dell’immagine della testa del Figlio di Dio. Cefa, “testa”, era per Innocenzo III il vero senso del nome di Pietro.

 

DOMANDA – Quindi la prima notizia che sembra emergere dalla lettera è che a Roma sarebbe custodita una reliquia dedicata al volto di Cristo?

Sì, l’immagine della testa di Cristo e non quella del corpo, è in possesso del Pontefice romano.

Ma ecco uno dei passi della lettera di maggiore interesse per noi: “I misteri dell’umanità di Cristo sono rappresentati dal lino con cui era stato avvolto il corpo ferito mentre si ritiene che il sudario che era sopra la sua testa fosse il mistero della divinità. Infatti, secondo l’Apostolo: ‘Il capo degli uomini è Cristo, il capo di Cristo è Dio'”2“Per linteamina enim, quibus corpus lesu fuerat involutum, humanitatis Christi misteria designantur, per sudarium, quod fuerat super caput ipsius, intelligitur misterium deitatis. Nam secundum Apostolum: «Caput viri Christus, caput Christi Deus”.

Il cerchio, dunque, si chiude: la supremazia spirituale di Pietro, e quindi quella del suo successore, è definitivamente confermata da quella reliquia così preziosa, di conseguenza tutto il mondo cristiano deve obbedienza a Roma.

A Costantinopoli, nelle mani dell’imperatore latino – è la conclusione del papa – è giusto invece che vi sia il lenzuolo che avvolse il corpo di Cristo perché, come già ebbe modo di scrivere qualche tempo prima, all’imperatore spetta il compito di avere cura dei corpi.

 

La distinzione tra il sudario della testa e quello del corpo

DOMANDA – A cosa allude Innocenzo III quando riferisce di questo sudario “sopra la testa” di Cristo?

RISPOSTA – Se quindi è ipotizzabile che a conoscenza del papa vi fosse la presenza della Sindone a Costantinopoli, la reliquia del volto di Cristo a cui fa riferimento è quella Veronica (il panno utilizzato per detergere il Volto di Gesù durante la salita al Calvario) a cui lui stesso, a partire dal 1208 con l’istituzione di una processione cittadina a Lei dedicata, attribuirà una grande importanza.

Benché la processione e l’Ostensione della Veronica restino inizialmente un rituale localizzato a Roma, la venerazione di questa reliquia si estende presto anche al di fuori dell’Urbe, come dimostrato dallo sviluppo della devozione nei decenni a venire. Sono numerosissimi, infatti, i pellegrini che – nel corso del XIII e XIV secolo – si recano a Roma per venerarla.

 

DOMANDA – Veniamo alla Sindone ora, se effettivamente si trovava a Costantinopoli nel 1204, secondo la testimonianza di Innocenzo III, quale potrebbe essere stato il suo destino dopo la caduta della città? Esistono ipotesi fondate sul percorso che avrebbe seguito nei decenni successivi?

RISPOSTA – Il destino della Sindone è stato ben sintetizzato da Robert de Clari, cronista della Quarta Crociata: “Nessuno, né greco né latino, conosce cosa avvenne della sindone dopo il saccheggio della città”.

Riguardo alle modalità del passaggio in Occidente, esistono alcune ipotesi storiografiche il cui interesse si riflette in una serie di spunti di ricerca che meritano opportuni approfondimenti per tentare di verificare la compatibilità storica con la tradizione della conservazione e venerazione dei panni sepolcrali del Cristo nella capitale bizantina, a partire dalla metà del X secolo.

 

La prima testimonianza certa della Sindone

DOMANDA – Ed invece la prima testimonianza storica certa di identificazione della Sindone attualmente conservata a Torino?

RISPOSTA – Le prime testimonianze documentarie risalgono alla fine del XIV secolo – precisamente tra l’estate del 1389 e quella del 1390 – ed in particolare in uno di questi documenti è raccontato come circa 34 anni prima si sono tenute le prime ostensioni del Sacro Telo a Lirey, facente capo alla diocesi di Troyes, nella regione della Champagne.

Sulla base dei documenti scritti è dunque possibile far risalire la comparsa della Sindone nella Storia in un periodo compreso tra il 1355 e il 1356.

Di questo periodo ci sono pervenuti una serie di documenti che vedono contrapposti i famigliari del primo proprietario ad oggi conosciuto, Geoffroy I de Charny (c.1305-1356), e il vescovo di Troyes Pierre d’Arcis. Dei dettagli riguardanti questi documenti abbiamo già parlato in un’intervista precedentemente pubblicata.

 

Le prove archeologiche della Sindone

DOAMNDA – Esistono solo documenti scritti?

RISPOSTA – No, sono giunti sino a noi due oggetti che rappresentano le più antiche documentazioni figurate della Sindone a oggi conosciute, e che ci proiettano direttamente nel periodo delle ostensioni appena descritto.

Il primo oggetto è un’insegna di pellegrinaggio in piombo ritrovata nella Senna, all’altezza di Pont-au-Change, nel 1855.

Questa riporta, nella parte superiore, l’immagine frontale e dorsale della Sindone – disposta secondo la consueta modalità ostensiva con la parte frontale a sinistra – retta da due religiosi collocati all’interno di una architettura gotica. Addirittura è raffigurato il particolare della tessitura a spina di pesce della stoffa.

Il secondo è uno stampo in pietra, usato per realizzare oggetti simili all’insegna appena descritta. E’ stato trovato a Machy, vicino a Lirey, nel 2009.

Anche in questo caso, la Sindone è contrassegnata dalla tipica tessitura a spina di pesce. A differenza di quanto è visibile sul medaglione descritto sopra, gli scudi araldici, sono separati tra loro dal volto di Cristo sotto al quale si trova la scritta SVAIRE IhV (Sudario di Gesù).

 

Perché il silenzio storico sulla Sindone?

DOMANDA – Quindi possiamo dire che la storia della Sindone è documentata con certezza dal XIV secolo e ci sono valide ragioni, grazie alla lettera di Innocenzo III, per attestare la sua presenza a Costantinopoli ad inizio XIII secolo. Sappiamo qualcosa del periodo intermedio?

RISPOSTA – Dalla metà del XIV secolo non esistono lacune storiche riguardo alle vicende cui è andata incontro la Sindone. Un problema aperto rimane, invece, come il Sacro Lino sia arrivato in Europa.

Purtroppo, non esistendo una tradizione precisa riguardo all’acquisizione da parte di Geoffroy I de Charny, occorre muoversi nel campo delle ipotesi.

Tale incertezza, secondo alcuni autori, è un punto che potrebbe far pensare ad una mistificazione da parte della famiglia de Charny, che li costrinse ad un imbarazzante silenzio.

In realtà, i più recenti approfondimenti biografici hanno dimostrato l’elevata integrità morale di Geoffroy I e, dunque, appare molto più corretto pensare che i suoi discendenti avessero delle valide ragioni per non indicare l’origine della Sindone, forse correlate alle norme stringenti da parte della Chiesa in merito alla recente scoperta di reliquie, alla loro autenticità e circolazione.

Questo silenzio rappresenta la base di alcune ipotesi relative al percorso compiuto per giungere in Europa.

 

DOMANDA – A quali norme ecclesiali si riferisce?

RISPOSTA – Alle sanzioni papali in merito al traffico di reliquie trafugate a Costantinopoli nel 1204.

Tra le decisioni prese durante il dodicesimo Concilio Ecumenico, Lateranense IV, iniziato l’11 novembre 1215, vi è anche quella in base alla quale le sante reliquie devono essere poste all’interno dei reliquiari e non possono essere ostense alla venerazione dei fedeli senza l’autorizzazione di Santa Romana Chiesa.

Provvedimento, questo, resosi necessario per fermare l’esodo di sacre spoglie verso Occidente e ben chiarito dalla Constitutio LXII.

Sulla base di tali considerazioni sarebbe stato infatti difficile da parte dei proprietari giustificare alle autorità ecclesiastiche la presenza in famiglia di questa importante reliquia trafugata a Costantinopoli. Le suddette disposizioni saranno valide anche 150 anni dopo, quando la Sindone nella segretezza più assoluta fa la sua comparsa a Lirey.

 

Le prove iconografiche della Sindone

DOMANDA – Abbiamo parlato di documenti scritti e fonti archeologiche, per quanto riguarda invece le tracce iconografiche? C’è qualcosa che può aiutare a stabilire la presenza della Sindone prima del XIV secolo?

RISPOSTA – Si ci sono anche fonti iconografiche che suggerirebbero l’esistenza del telo sindonico anche in un periodo storico precedente alla comparsa ufficiale a Lirey.

Bisogna concentrarsi sul periodo immediatamente a ridosso della caduta di Costantinopoli nel 1204, sotto la spinta dell’armata crociata. Questo perché dalla metà del X secolo, abbiamo notizia dell’esistenza di una tradizione relativa alla conservazione, e alla venerazione, dei panni sepolcrali di Gesù nella capitale bizantina.

Uno degli esempi iconografici più noti riguarda alcune miniature facenti parte del Codex Pray, la cui stesura risale agli anni 1192-95, attualmente conservato presso la Biblioteca Nazionale di Budapest. L’illustrazione più interessante è raffigurata in un folio in cui nella parte superiore è riprodotta la deposizione di Gesù nel sepolcro: il Cristo appare completamente nudo (nemmeno coperto dal perizoma, sempre presente nell’iconografia) e con le mani sovrapposte, come possiamo vedere nell’impronta sindonica.

Mani che presentano – proprio come nella Sindone – solo quattro dita anziché cinque!

Nella parte inferiore c’è la scena dell’arrivo delle pie donne al sepolcro, caratterizzata dalla presenza dell’angelo che indica loro il lenzuolo ormai spoglio del corpo del Risorto. Lenzuolo che presenterebbe addirittura una caratteristica tessitura a spina di pesce e i ben noti “poker holes” (tracce di bruciatura, o di corrosione) precedenti all’incendio di Chambéry del 1532.

 

DOMANDA – Come si spiegano questi dettagli così simili a quelli presenti sulla Sindone, la cui presenza è altrimenti inspiegabile e ingiustificabile se attribuita alla sola fantasia dell’autore di queste miniature?

RISPOSTA – Nel caso del Codex Pray appare innegabile che vi sia stato un oggetto che ha influenzato la raffigurazione della sepoltura di Gesù coincidente con la possibile presenza della Sindone a Costantinopoli.

Nello stesso periodo, la supposta presenza del prezioso Lino a Bisanzio potrebbe aver ispirato l’imago pietatis, dove il Cristo morto sporge verticalmente dal sepolcro fino alla vita, con le mani, anche questa volta, incrociate davanti.

Solo l’osservazione diretta della Sindone può spiegare questa particolare raffigurazione: non sarebbe altrimenti comprensibile la presenza di un defunto in posizione eretta.

Altra testimonianza iconografica, è quella che compare sugli epitaphioi, veli utilizzati nella liturgia del Venerdì Santo. In queste riproduzioni si vede l’intero corpo di Gesù, rigido e spesso con le braccia incrociate, deposto su un lenzuolo.

Non è dunque scorretto supporre l’esistenza di un oggetto che ha influenzato le raffigurazioni del Christus patiens temporalmente coincidenti con la supposta presenza della Sindone a Costantinopoli.

È fondamentale sottolineare come tutte queste testimonianze, prese singolarmente, non hanno la stessa rilevanza che possono avere se connesse l’una all’altra, e integrate con due attestazioni documentarie che provengono tanto dal contesto bizantino del tempo, quanto da quello Latino.

 

DOMANDA – A cosa si riferisce?

RISPOSTA – Alla fine di luglio del 1201 è Nicola Mesarites (c.1163-1216), custode del sacro tesoro conservato presso la cappella del Faro, a confermare che tra i cimeli della Passione lì conservati ci sono anche i teli sepolcrali di Gesù: “[…] sono di lino, una materia di poco prezzo, facilmente reperibile, essi sanno ancora del profumo, sfidano la corruzione, perché hanno avvolto l’ineffabile morto, nudo e cosparso di unguenti dopo la Passione”.

Dobbiamo attendere ancora qualche anno, invece, per avere la prima testimonianza dell’esistenza di una sindone figurata, la cui descrizione sembrerebbe identificarla con quella oggi conservata a Torino.

Robert de Clari (1170-1216), cronista della Quarta Crociata, così descrive ciò che è conservato nella chiesa delle Blacherne: “Tra le meraviglie che sono là, c’era un’altra chiesa chiamata Santa Maria delle Blacherne dove c’era la sindone in cui Nostro Signore era stato avvolto e che ogni venerdì veniva alzata verticalmente affinché si potesse vedere bene la figura di Nostro Signore”.

La testimonianza del de Clari è interessante perché indica l’esistenza di una sindone figurata, arricchita dal riferimento all’avvolgimento dell’intero corpo di Gesù.

 

L’indagine storica e scientifica sulla Sindone

DOMANDA – Nello studio della Sindone, quale ruolo ricopre la ricerca storica rispetto a quella scientifica? Possiamo davvero sperare di avvicinarci alla verità senza un’indagine rigorosa sulle fonti del passato?

RISPOSTA – La ricerca storica ricopre un ruolo importante tanto quello rivestito dalla ricerca scientifica.

Come visto nel corso di questa piacevole chiacchierata, non esiste un completo silenzio per quanto concerne le fonti storiche anteriori al XIV secolo; una serie di riferimenti incoraggiano la prosecuzione delle ricerche e suggeriscono ulteriori opportuni approfondimenti.

Tale periodizzazione è importante perché la Sacra Sindone, in quanto reperto archeologico, deve essere studiata nella sua interezza: sia dal punto di vista scientifico sia da quello storico.

Le ricerche scientifiche hanno dimostrato, in maniera inequivocabile, che il Lenzuolo di Torino non può essere un falso medievale, in netto contrasto con una datazione radiocarbonica tutt’altro che affidabile. Nonostante i continui, e talvolta maldestri, tentativi di negarne l’autenticità, la Sindone si presenta misteriosa anche per l’uomo del XXI secolo e per le sue tecnologie sempre più evolute.

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