Il cervello umano: il mistero più complesso dell’universo

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Quanto è complesso il cervello umano? E perché le neuroscienze riportano l’uomo al centro dell’universo? Una serie di studi scientifici legittimano l’antropocentrismo filosofico e la misteriosa discontinuità tra l’essere umano e il resto dell’Universo.


 

«Bisogna superare l’antropocentrismo», chiede il filosofo ecologista Timothy Morton.

L’uomo è solo un “nient’altro che”.

Ogni volta che sentiamo questa formula (“nient’altro che”!) si può star certi di essere di fronte ad un riduzionista, un individuo che per motivi filosofici-teologici si sforza di ridurre, di denigrare l’importanza dell’uomo nel cosmo.

Ma perché? Di cosa si ha paura?

 

Di cos’hanno paura i riduzionisti filosofici?

Il fatto che l’essere umano sia nient’altro che nulla fa molto comodo a chi, soprattutto, non ne tollera un’origine divina, perciò spinge nel sminuirne a tutti i costi l’importanza e l’unicità.

L’uomo è una «una schiuma chimica», diceva Stephen Hawking, «una muffa melmosa» ci convinceva il filosofo John Gray.

«Non siamo diversi o superiori rispetto agli altri componenti del pianeta», ci assicura invece Timothy Morton, filosofo ambientalista alla Rice University.

Il filosofo è comprensibilmente preoccupato dal rischio che l’uomo possa sfruttare la natura sentendosene il padrone assoluto ma non serve accodarsi all’ideologia riduzionista, è sufficiente riscoprire l’insegnamento biblico dell’uomo come custode, e non padrone, del creato.

 

Il cervello umano: più complesso dell’universo stesso

Nel 2011, avevamo già osservato che oggi sono in particolare le neuroscienze a definire la grandezza dell’uomo, riportandolo al centro dell’universo.

E’ stato sottolineato qualche tempo fa su NeuroTray, rispondendo alla domanda del perché il cervello umano sia considerato la cosa più complessa dell’Universo intero.

L’astronomo Carl Sagan disse che «il numero totale di stelle nell’Universo è maggiore di tutti i granelli di sabbia su tutte le spiagge del pianeta Terra». Si parla di dieci sestilioni di stelle, ovvero un 1 seguito da 22 zeri (1×10²²). In termini di dimensioni, l’Universo studiato varia, secondo le stime, tra 13 e 48 milioni di anni luce. Cifre davvero astronomiche!

Bene, il cervello umano ha circa 1×10¹¹ neuroni che si interconnettono tra loro 1×10¹⁵ volte (in modo mutevole e dinamico).

Ciò permette una potenza di calcolo di un quintilione di operazioni matematiche al secondo (un 1 seguito da 30 zeri) utilizzando solo 20 watt di potenza (contro i 20 megawatt necessari a uno dei supercomputer più avanzati che riesce a malapena a competere).

Tutto questo avviene in un piccolo volume di 1.300 cm cubi e con un peso di soli 1,5 kg. L’intero universo impallidisce di fronte a questo semplice confronto.

Questo ha portato celebri scienziati, come Christof Koch e Michio Kaku a sostenere che il cervello umano è «l’oggetto più complesso nell’universo conosciuto». Qualcuno ha obiettato che tecnicamente non è così: ad esempio, non ci sono più neuroni (circa 100 miliardi) che stelle nella Via Lattea (circa 200-400 miliardi) di stelle nella nostra galassia.

E’ vero, ma è fin troppo semplice far notare che sebbene stelle e galassie abbiano una forma di interazione, non possono in alcun modo competere con l’intricato intreccio di comunicazione e calcolo che avviene ogni secondo tra i neuroni del cervello umano.

 

Il cervello umano e la pre-cablatura al linguaggio

Un altro dato rilevante è la pre-cablatura, inspiegabile (al momento), per riconoscere la parola e il linguaggio.

Lo ha mostrato qualche anno fa su Scientific Reports la psicologa Zeynep Saygin (Ohio State University).

Gli esseri umani nascono infatti con una parte del cervello che è precablata per essere ricettiva alla vista di parole e lettere, ponendo le basi alla nascita affinché le persone imparino a leggere. «È una scoperta incredibilmente eccitante», ha riferito Saygin.

«Siamo preparati a vedere le parole anche prima di essere esposte ad esse.

E nonostante tutto ciò, il cervello umano è piuttosto ordinato e non presenta un insieme caotico come ci si potrebbe aspettare.

E’ sorprendentemente simile all’universo, è la conclusione di Franco Vazza, astrofisico dell’Università di Bologna e Alberto Felleti, neurochirurgo dell’Università di Verona, i quali hanno confrontato proprio la rete di cellule cerebrali umane con la rete di galassie nel nostro universo.

Anche se l’universo ha 27 ordini di grandezza in più di un singolo cervello umano, sono emerse notevoli somiglianze.

 

Differenze e discontinuità con il resto dell’Universo

Qualche anno fa riprendevamo le parole di Daniele Magazzeni, esperto di Intelligenza Artificiale al King’s College London: «Più procedo nella mia ricerca sull’intelligenza artificiale, più cresce in me lo stupore per l’intelligenza umana, per tutto ciò di cui la persona umana è dotata».

Un altro studioso italiano, il neuroscienziato Vittorio Gallese, ha dichiarato:

«Quello che noi neuroscienziati cerchiamo di fare, è ridurre la complessità ed il mistero a una serie di elementi che speriamo di essere in grado di misurare. Io rivendico di essere un riduzionista metodologico ma comincio ad arrabbiarmi quando al riduzionismo metodologico si sostituisce il riduzionismo ontologico cioè: “Io sono i miei neuroni”, “io sono le mie sinapsi”, “io sono il mio cervello”. Ecco, lì non ci sto più, perché noi siamo qualcosa di più complesso e differenziato della semplice attività dei neuroni contenuti nel nostro cervello o nel nostro cervelletto. I neuroni non amano, non si arrabbiano, non sperano, non si rammaricano, non promettono. Tutte queste sono caratteristiche che hanno un senso quando le attribuiamo al proprietario dei neuroni, ossia all’individuo, alla persona. Io non parlo di cervello, parlo sempre di cervello-corpo, se no rischiamo di cadere in quelle fallacie che ci fanno parlare del cervello come di un computer, di un elaboratore di dati, la scatola delle meraviglie algoritmiche e altre sciocchezze)».

Tornando quindi all’opinione citata inizialmente del filosofo riduzionista Timothy Morton, si comprende meglio quanto sia ormai scientificamente errato sostenere che l’essere umano non è diverso o superiore agli altri componenti del pianeta.

Su questo è intervenuto anche Michael Gazzaniga, neuroscienziato all’Università della California: «Su un punto Darwin aveva torto, noi non siamo in continuità con gli altri primati, la differenza tra noi e loro è qualitativa, non puramente quantitativa».

 

Non serve essere credenti per osservare e riconoscere tutto questo (e alcuni degli autori citati non lo sono infatti).

Ma certamente, dal nostro punto di vista, se l’Universo riflette la gloria di Dio nella sua immensità, l’essere umano la manifesta nella sua inedita, discontinua e straordinaria profondità, misteriosità e complessità.

Negare questo non impoverisce Dio, impoverisce noi stessi. Riducendoci a meri ingranaggi in un cosmo che, senza di noi, perderebbe il suo valore ed il suo scopo.

Autore

La Redazione

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