Nick Cave, la morte del figlio e la nostalgia di Cristo

La morte del figlio ha trasformato l’artista e cantautore americano Nick Cave, la pervasività del cristianesimo nella sua vita è diventata più forte, accompagnata da una ricerca di senso e di risposta al dolore. Un non cristiano nostalgico di Cristo.

 
 
 

Era il 2015 quanto Arthur Cave, adolescente, muore.

Cadde da una scogliera vicino a Brigthon, città sulla costa dell’East Sussex, a sud di Londra. Inutile il trasporto in elicottero al Royal Sussex County Hospital, dove perse la vita a causa delle ferite riportate.

A morire interiormente, quel giorno, fu anche il padre, Nick Cave, celebre musicista australiano diventato famoso con la band Nick Cave and the Bad Seeds, gruppo attivo dal 1983.

Nick Cave muore e rinasce lentamente, nel dolore. Arista già unico, la sua impronta verrà indelebilmente segnata da questa tragedia.

Nei suoi brani compaiono temi nuovi (o se non propriamente nuovi, vi si accenna con una frequenza maggiore), come la presenza indelebile della morte, la perdita ed il dolore. Ma da quell’album appare una nuova enfasi sulla religiosità, sulla preghiera, sul riconoscimento di quel Dio cristiano di cui il non cristiano Cave sente bisogno.

 

“Into my arms”: nei suoi testi un richiamo divino.

L’esperienza religiosa era già presente prima in Cave ma non in maniera così pervasiva, spesso le allusioni erano allegoriche.

Nonostante una vita di eccessi e di alcool, nel 1986 scrisse Jesus Met The Woman At The Well, musicando l’incontro evangelico di Gesù con la samaritana e nel 1990 arrangiò un tradizionale inno brasiliano Foi Na Cruz («Era sulla croce, era sulla croce. I miei peccati sono stati espiati da Gesù»).

Due anni dopo, nel 1988, comparve The Mercy Seat, la storia di un uomo che sta per sedersi sulla sedia elettrica che richiama ed unisce versi evangelici e anticotestamentari (in particolare il Libro del Levitico).

Dal 1998 con l’album The Boatman’s Call compaiono profonde canzoni d’amore, una musicalità più quieta ed anche il rapporto religioso di Cave cambia, diventa più intimo: «Io credo che la canzone d’amore debba essere una canzone triste», afferma.

E ancora: «E’ il rumore del dolore stesso, è il desiderio di essere trasportati dall’oscurità alla luce, di essere toccati dalla mano di Colui che non è di questo mondo. La canzone d’amore è la luce di Dio, giù nel profondo, che si fa largo tra le nostre ferite. Alla fine la canzone d’amore esiste per riempire, con il linguaggio, il silenzio tra noi stessi e Dio, per abbattere la distanza tra il temporale e il divino. Per parte mia, sono un acchiappa anime per conto di Dio».

Ed ecco apparire anche piccole poesie d’amore con un rimando divino.

Ad esempio Lime-Tree Arbour, dove dice: «Ovunque io vada c’è una mano che mi protegge, ed io la amo davvero tanto». Oppure Brompton Oratory: «Vorrei anche io esser fatto di pietra, così non dovrei vedere una bellezza impossibile da definire, una bellezza impossibile da credere».

Ed infine la bellissima Into My Arms, in cui canta: «Non credo in un Dio interventista, ma so, cara, che tu ci credi. Ma se ci credessi, mi inginocchierei e Gli chiederei di non intervenire quando si tratta di te, di non toccarti neanche un capello. Di lasciarti così come sei e se proprio Lui volesse condurti, allora che ti conduca fra le mie braccia. Fra le mie braccia, O Signore!».

 

Nel 2001 esce No More Shall We Part: «Signore, stammi vicino. Non sarò mai libero se non sono libero adesso».

Poi, come dicevamo, Cave venne investito dalla tragedia della morte di Arthur.

 

Cave e la morte del figlio, i brani si trasformano.

Skeleton Tree è il primo album segnato dal dramma vissuto, dalla vita effimera e dalla ricerca di un senso.

I need you (2016) è struggente: «Niente importa davvero, niente importa più davvero quando chi ami se ne è andato. Sei ancora in me, piccolo, ho bisogno di te. Nel mio cuore, ho bisogno di te. Mi mancherai quando te ne sarai andato, mi mancherai quando sarai andato via per sempre. Perché niente importa davvero. Non mi è mai sembrato giusto, mai».

Un tema ribadito anche in Anthrocene (2016): «Tutte le cose che amiamo, amiamo, amiamo, le perdiamo».

Ancor più drammatico, forse, l’ultimo album, Ghosteen (2019). Già nel titolo c’è il neologismo “fantasmadolescente” ed è tutto un dialogo tra lui e il figlio scomparso, tra la Vita e la Morte. Il dramma ha reso Nick Cave più empatico, nell’ultima tournée annuale ha invogliato i fan ad invadere il palco a fine concerto.

In seguito ha aperto un forum online, The Red Hand Files, in cui chiede che gli vengano poste domande e promette di rispondere.

Una recente ricerca, realizzata da Sarah K. Balstrup, docente di Studi religiosi all’Università di Sidney, ha analizzato proprio le risposte date da Cave ai suoi fan ed il suo rapporto con la metafisica.

«Sia il processo creativo di Cave che l’esperienza della performance diventano esperienze religiose che affermano il viaggio soggettivo in cui l’artista cerca la verità attraverso un incontro diretto con l’ignoto», scrive Balstrup.

«In “The Red Hand Files”, Cave mostra un alto grado di riflessività e consapevolezza di sé in termini di natura costruita della sua posizione religiosa», prosegue la studiosa. «La morte del figlio di Cave sembra sacralizzare questo spazio online, dando il tono per una comunicazione rispettosa e risposte sincere e sincere».

In queste voci, continua Balstrup, «c’è un peso etico concesso all’altro che raramente si trova nella corrispondenza di estranei. Cave parla del proprio dolore e pubblica lunghe domande dei fan che raccontano sofferenza e perdita personale. La fede religiosa è fortemente presente e Cave fornisce risposte specifiche riguardo ai suoi pensieri su Dio, Bibbia, l’aldilà, l’esistenza del male e la preghiera».

 

Nick Cave, un non cristiano nostalgico di Cristo.

Quella dell’artista australiano viene così definita “spiritualità alternativa”, ovvero una fede soggettiva ed individuale.

Mentre prende le distanze dalle affermazioni della verità metafisica o da specifiche convinzioni religiose, Nick Cave dice che a Natale «si “inginocchierà comunque davanti alle vestigia sbiadite di un’idea superata chiamata trascendenza spirituale e al nostro bellissimo e commovente tentativo di umanizzare l’estatico dramma cosmico, e pregherò”», ha scritto Balstrup.

Nelle sue dichiarazioni pubbliche, l’artista si è sempre definito affascinato e avido lettore della Bibbia, ma la sua posizione personale è altalenante.

«Credere in Dio è illogico, è assurdo. Non c’è dibattito», disse nel 2010. «Lo sento intuitivamente, viene dal cuore, un luogo magico. Ma continuo a fluttuare di giorno in giorno. A volte mi sento molto vicino alla nozione di Dio, altre volte no. Lo vedevo come un fallimento. Ora lo vedo come una forza»1citato in M. Snow, Nick Cave: Sinner Saint: The True Confessions, Plexus Pub 2010.

L’ideale cristiano, tuttavia, è da sempre un tema persistente nella sua vita e nelle sue canzoni. Certamente maggiore dopo la morte del figlio.

«Questi atti di devozione e di partecipazione dell’inconoscibile», confessa ad un certo punto Cave, «definiscono la mia vita».

E sempre Sarah K. Balstrup sottolinea in Cave il carico di nostalgia per Cristo, pur rinunciando a definirsi cristiano. Ma dal cristianesimo è attratto, scrive l’artista, «personalmente, nostalgicamente e sentimentalmente».

Alcuni mesi fa, nel giugno 2021, Cave ha risposto ad un fan che lo hai interrogato sul senso dello scorrere del tempo.

L’artista ha concluso la sua ironica ma profonda risposta spiegando che l’invecchiamento dell’uomo è anche l’occasione per riscoprire «la fede nella compassione universale, nel perdono e nella misericordia, nelle sfumature e nelle ombre, nella neutralità e nell’umanità -ah, bella umanità- e anche in Dio, che ringrazia per averlo lasciato, in questi tempi dementi, essere vecchio».

La redazione

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Anastasio, il senso religioso del giovane rapper di X-Factor

Vincitore di X-Factor nel 2018, il rapper Anastasio ha qualcosa di interessante da dire. Una profondità inedita nel panorama musicale giovanile. Scettico fino ai 20 anni oggi porta nelle radio temi evangelici, la salvezza e la necessità della fede, per non piegarsi agli idoli.

    

C’è una diversità in questo giovane rapper, vincitore della 12° edizione di X-Factor (2018).

Al contrario del classico “artista unico” prodotto da questo tipo di talent, Anastasio ha qualcosa di interessante da dire.

Campano, 24 anni, laureato al liceo classico a pieni voti ed amante di De André, della filosofia e della poesia. Basterebbe già questo.

Nel 2019 lo ricordiamo in una piccola polemica con il trapper Sfera Ebbasta, quando disse: «Me la prendo con i genitori che non si accorgono che i loro figli non hanno più modelli positivi con cui confrontarsi», disse. «Dovrebbero fare i genitori, non gli amici, discutendo con loro della totale mancanza di spessore di Sfera Ebbasta: dimostrarsi complici, condividendo questa passione giovanile, non produce nulla di buono. Gli eroi di un tempo non esistono più, oggi sono diventati di carta, e con i figli bisognerebbe parlare anche di questo».

Come dargli torto? Pochi mesi prima, dopo la tragedia di Corinaldo, anche su questo sito web avevamo osservato che le strofe urlate alla radio dagli “artisti” contemporanei nutrono ed innaffiano solo il vuoto esistenziale in cui già vive gran parte dei giovani.

 

Il cantante Anastasio e i temi biblici: “Affascinato”

Esistono però modelli positivi, Anastasio per l’appunto. Dopo quasi due anni di silenzio musicale (complice anche il Covid), il 14 gennaio scorso ha presentato il singolo Assurdo, anticipando il suo secondo album, intitolato Mielemedicina.

«Questo disco è più cantaurato che rap», dice in un’intervista ad Avvenire. Tutto l’album è ricco di riferimenti biblici, dalla torre di Babele, in cui descrive il paradosso di un’era tecnologica babilonica in cui siamo sempre più soli («Babele non è stata mai così alta / siamo stati più vicini al cielo / Ed insieme così soli / lontani da tutti», ad Adamo ed Eva fino alla passione di Cristo.

«A me interessa il linguaggio religioso, vi sono simboli antichi molto evocativi», spiega l’artista 24enne, «molto radicati in noi, di cui percepisco il fascino e la solennità».

 

Il brano-preghiera inspirato ascoltando il card. Ravasi.

Nel 2020 si inspirò all’Apocalisse di Giovanni per il suo brano-preghiera Quando tutto questo finirà, in cui canta: «Oh mio Signore / quale grande azione d’amore compimmo noi uomini / perché un Dio si scomodi a darci il mare / Oh mio Signore, / quale enorme dolore cadrà sui tuoi figli / perché tu ci consoli spargendo nel cielo manciate di soli».

Una canzone meno nota, scritta dopo aver partecipato ad un dibattito assieme al card. Gianfranco Ravasi, che ritiene «una persona che quando parla non puoi che pendere dalle sue labbra, un pozzo di cultura».

Lo stesso rapper spiegò il significato del brano: «Il mio è un invito all’umiltà: lascia stare la truffa della tua identità, le tue velleità, perché prima o poi verrà l’Apocalisse e verremo tutti giudicati come uguali. Che tu creda o no. Ma è anche peggio se tu non credi all’Aldilà perché dietro ti lasci il nulla».

Tematiche inedite nel panorama musicale giovanile ed è lui stesso a credere che «il rap si debba rinnovare. Quando sono arrivati i trapper, con le solite tematiche banali, pensavo fossero ironici. Invece si prendono sul serio. Io dico però che non è artistico, non ti arricchisce».

 

Dallo scetticismo alla necessità della fede, in cammino.

Ateo borioso fino ai vent’anni, «ad un certo punto mi sono fatto un bagno di umiltà, ascoltando chi ne sa più di me e che mi mostrava che c’è una prospettiva cristiana interessante», ha confessato il rapper.

«Spiritualmente non ho trovato Dio, non mi definisco cristiano, non dico le preghiere, non vado a messa», precisa Anastasio. «Ma ci sono molte cose della cristianità che mi piacciono, a partire dalla promessa della salvezza, il fatto che verrà l’Apocalisse e dopo si rinascerà. Credo che l’uomo abbia bisogno di fede. “Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo” scriveva Dostoevskij. Le idolatrie di oggi sono il denaro e venerare se stessi: tutti gli idoli sono falsi e le tue energie le butti su qualcosa di inutile. La fede, invece, è la cosa più alta davanti alla quale ti puoi inginocchiare».

Gli auguriamo di proseguire in questo cammino, ma soprattutto di continuare ad essere in controtendenza, testimone di una diversità nel rap. Il vero artista non è mai banale, sfida il conformismo, non ne diviene complice. Anastasio è tutto questo.

La redazione

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Cristicchi: «nei monasteri sono cambiato, siamo parte di un disegno»

abbi cura di me cristicchiSimone Cristicchi a Sanremo 2019. Tra i favoriti il suo brano “Abbi cura di me”, una laude francescana che l’artista ha scritto ispirato dalla frequentazione di monasteri e conventi, un’esperienza che lo ha cambiato, richiamandolo alle grandi domande e alle priorità della vita.

 

Certamente è musicalmente cresciuto negli anni, ma non solo. Ha iniziato con brani leggeri come Studentessa universitaria (2003) e Vorrei cantare come Biagio (2005), il cantautore romano Simone Cristicchi ha fatto un percorso personale. Già nel 2017 ha portato a Sanremo, vincendolo, la bella canzone Ti regalerò una rosa, scritta alla fine di un suo viaggio tra gli ospedali psichiatrici d’Italia.

 

“Abbi cura di me”, la laude francescana presentata a Sanremo 2019.

Secondo i pronostici, Cristicchi è tra i favoriti per vincere anche il Festival di Sanremo in corso in questi giorni, stasera ci sarà la finale. Il singolo che ha presentato si chiama Abbi cura di me, incluso nel nuovo album pubblicato il 6 febbraio scorso. «Non cercare un senso a tutto. Perché tutto ha senso, anche in un chicco di grano si nasconde l’universo. Perché la natura è un libro di parole misteriose, dove niente è più grande delle piccole cose. La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere, perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi».

Qualcuno l’ha già definita non a torto una “laude francescana” o un Cantico delle creature 2.0, dove la bellezza del creato diventa segno del Mistero, del miracolo, della «scintilla divina». In un altro brano, intitolato Gli Alberi, Cristicchi è ancora più profondo: «Per gioire di questo incanto, senza desiderare tanto, solo quello, quello che abbiamo, ci basterà. Ad accorgersi in un momento di essere parte dell’immenso, di un disegno, molto più grande, della realtà».

 

L’amicizia nei monasteri con frati e monache: “Sono le persone più felici”.

Le parole dell’artista sono però la miglior spiegazione: «Una suora clausura mi ha dato l’interpretazione più bella. È una preghiera di Dio all’uomo, perché anche Dio ha le sue fragilità», ha detto Cristicchi in un’intervista. Il cantautore ha frequentato in questi anni molti monasteri e conventi, come l’eremo di Monte Giove a Fano e la Fraternità di Romena guidata da don Luigi Verdi, con cui ha registrato il nuovo programma per Tv2000, Le poche cose che contano. Ha così creato un legame speciale con suore e monaci, scoprendo che «le persone più gioiose e felici che ho incontrato, sono quelle appartate dal mondo, ma non per una questione di fuga o di snobismo. Nel silenzio ci si connette a qualcosa. Ed è proprio soggiornando in un eremo quest’estate che ho scritto “Lo chiederemo agli alberi”, secondo inedito dell’album. Parlo dell’allodola, che è come le monache, l’uccellino prediletto da San Francesco e rappresenta l’umiltà, perché si ciba delle piccole briciole, del poco che ha, e canta dall’alba alla notte».

Nell’intervista Simone Cristicchi dice di essersi accorto che «la spiritualità va toccata con mano, la devi toccare e farne esperienza. E l’esperienza più forte è vedere persone rapite da qualcosa di superiore, che hanno abbandonato la vita precedente per un desiderio di infinito che appartiene a tutti». Mercoledì scorso, al termine dell’Udienza, il cantautore è riuscito ad incontrare anche Papa Francesco.

 

Un tempo era critico verso la Chiesa.

Un tempo era critico verso la Chiesa, come molti artisti provenienti dalla “sinistra impegnata”. Poi è accaduto qualcosa, «un mio amico monaco mi ha detto che sono un cristiano inconsapevole. Credo che occorra ritornare alle priorità della vita. Siamo invasi ogni giorno da mille progetti, da mille informazioni, mille immagini, siamo continuamente collegati e connessi con la realtà virtuale. Così si perde interesse per le grandi domande dell’esistenza. Siamo noi stessi che ci dobbiamo risvegliare e capire l’importanza della vita. In realtà c’è tanta bellezza che ci circonda, la meraviglia di esserci e di partecipare».

 

Nel video qui sotto, Cristicchi interpreta Gli alberi, spiegando come l’ispirazione sia venuta conoscendo le sorelle francescane di Campello. Più in basso, il brano Abbi cura di me.

 

 
La redazione

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Switchfoot, la rock band ispirata da Kierkegaard e Sant’Agostino

rock band La rock band statunitense, gli Switchfoot, pubblica il nuovo album “Native Tongue”. Un gruppo che esprime in musica il senso religioso dell’uomo, con una profondità non comune. Ecco i loro brani più belli e intensi, quasi una preghiera.

 

Conoscete gli Switchfoot? No? Peccato, ne vale la pena. Il nuovo album intitolato Native Tongue porta la data del 16 gennaio, a produrlo la rock band di San Diego (California), chiamata appunto Switchfoot, guidata dal suo frontman Jon Foreman. Un gruppo affermato, vincitrice dei Grammy Award nel 2011.

«Abbiamo una spinta comune per il bene, per la grandezza, e per vedere gli ideali su cui è stato fondato il nostro paese», ha detto recentemente Foreman a The Christian Post. «Iniziamo da lì, iniziamo da questa comunanza tra gli uomini, con questa identità comune piuttosto che dalla rabbia, dalla paura: una volgare abitudine se penso a Twitter e Facebook».

Più volte nei loro brani, come d’altra parte ammettono, fa capolino l’inspirazione ricevuta dai brani di Soren Kierkegaard, profondo autore danese nonché padre della filosofia esistenziale. Da lui, percepiscono «una chiamata a puntare in alto, ad essere onesti. Lo vedo nei Salmi e lo vedo in tutte le Scritture», spiega Foreman, figlio di un pastore protestante. «E’ la stessa cosa che senti nel blues, è la stessa cosa che sentivo ascoltando alcune band punk locali, è quell’onestà. Questo è il modo in cui voglio cantare, il modo in cui voglio suonare, e sento che questo è il mio ruolo».

Più che il nuovo Native Tongue, preferiamo un album più datato chiamato New Way to Be Human (2002), che contribuì al loro successo negli Stati Uniti. I testi sono profondi e la musica -specialmente quando è in versione acustica- coinvolge l’ascoltatore nell’atmosfera di domanda, di richiesta di perdono, di bisogno di redenzione, di preghiera che caratterizza l’album.

 

Il brano è una preghiera: “Nulla mi rende felice, lasciami conoscere il Tuo tocco”

Pensiamo ad esempio a Only Hope (“Soltanto speranza”), brano che è stato parte della colonna sonora del film A Walk to Remember (2002) ma, sopratutto, a Let That Be Enough. «Mi sento così sconfitto, così solo. Sembra tutto così impotente e non ho progetti. Sono un aereo al tramonto con nessun posto dove atterrare. E posso vedere tutto, ma nulla di questo mi rende felice e tutti i miei castelli di sabbia passano il tempo crollando». E’ una significativa auto-coscienza della posizione dell’uomo, desideroso di felicità ma impossibilitato a darsela e, quando ci prova, fallisce. «E’ il mio compleanno domani, nessuno qui sa che sono nato questo giovedì di 22 anni fa. E mi sento bloccato guardando la storia ripetendo: “Si, ma chi sono io?”. Solo un bambino che sa di essere bisognoso». E’ soltanto partendo dall’evidenza di questo bisogno che, di fronte all’impotenza umana, non ci si arrende al nichilismo disperato e neppure si reagisce con violenza verso il mondo. Ma, ed ecco l’opzione cristiana, ci si consegna alla domanda verso Colui senza il quale la realtà non ha senso. «Fammi sapere che Tu mi senti», dice la canzone, aprendosi alla preghiera. «Lasciami conoscere il tuo tocco, fammi sapere che mi ami e fai che sia abbastanza».

 

La canzone “New Way To Be Human” è l’annuncio cristiano al mondo.

Un altro brano che proponiamo è New Way To Be Human (Un nuovo modo di essere umani), da cui prende il nome l’album stesso. Ascoltando le parole, cantate su un ritmo incalzante, porta alla mente il discorso di San Paolo all’areopago di Atene, quando annunciò l’incarnazione di Dio in mezzo ai pagani e ai loro dei. «Ogni giorno è la stessa cosa, un’altra tendenza è iniziata. Ehi, ragazzi, potrebbe essere quello!», canta Jon Foreman con ironia, sottolineando come tanti ripongano negli idoli moderni -la moda, le tendenze- la loro speranza, ciò che finalmente renderà felici. Ed invece no, «con tutta la nostra moda, siamo ancora incompleti»: ecco l’amara verità. Ed ancora: «Perché nessuno è famoso, e nessuno sta bene. Abbiamo tutti bisogno del perdono». Così, come Paolo disse: “Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio” (At 17,15.22-18), il brano annuncia la grande novità: «Il Dio della redenzione potrebbe rompere la nostra routine. C’è un nuovo modo di essere umano, niente di come siamo mai stati».

 

La conversione di Agostino: “Muoio dalla voglia di essere incontrato, oggi cerco la grazia di Dio”.

Ed infine suggeriamo un ultima canzone, ispirata esplicitamente alle Confessioni di Sant’Agostino. E, di fatti, si intitola: Something More (Augustine’s Confession). Il brano racconta l’uomo Agostino prima e durante la conversione, una metafora dell’uomo qualunque: «Si è appena svegliato con il cuore spezzato, in tutto questo tempo non è mai stato sveglio. A trentun anni il suo intero mondo è un punto interrogativo. Guarda i sogni che aveva, alimenta la fiamma nella sua testa. Nella silenziosa disperazione del vuoto dice: “Dev’esserci qualcosa di più di quello che sto vivendo, Ti sto implorando!“. Le sue paure, il tempo che scorre, i sogni che si infrangono: «Ma è arrabbiato di essere vivo e sta morendo dalla voglia di essere incontrato. Nella tranquilla disperazione del vuoto dice: “Hey, io mando all’aria tutto, niente mi è rimasto a trattenermi. Hey, io do via tutto, oggi cerco la grazia di Dio“».

Vale la pena conoscere i Switchfoot. Al contrario di tanti artisti moderni, hanno qualcosa di interessante da dire all’uomo. Qui sotto il brano Let That Be Enough.

 

La redazione

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De Andrè e la fede: «Non credo, ma non posso prescindere da Gesù»

fabrizio de andré cristianoAnniversario della morte di Fabrizio de André. Alcune frasi inedite nella sua vita privata rivelate in un’intervista un anno prima di morire e l’incontro con un sacerdote. I suoi testi e la stima per Gesù Cristo.

 
 
 

Vent’anni fa ci lasciava Fabrizio De André, un poeta più che un cantautore.

Pacifista, forse anarchico, certamente ha segnato la storia della musica italiana. Un anno prima di morire, per carcinoma polmonare, affidò alcune parole a Giampaolo Mattei, vaticanista e critico musicale, che riassumono la sua visione esistenziale: «Non ho il dono della fede ma nella mia vita non posso prescindere da Cristo».

Bello constatare che, nell’edizione odierna, l’Osservatore Romano è tornato a produrre cultura, pubblicando proprio una commemorazione di De Andé da parte di Mattei.

Il giornalista riscopre alcuni brani “evangelici” di Faber, dove la figura di Cristo è centrale, l’attenzione è in particolare rivolta al suo ultimo album Anime salve (1996).

In Ho visto Nina volare si domanda «quale sarà la mano che accende le stelle», e descrive quella «estatica contemplazione del mistero della creazione, in quella solitudine che ti mette a contatto con l’Assoluto» e l’ultimo brano del suo ultimo disco è Smisurata preghiera: «Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti alle leggi del branco».

 

De André ai sessantottini: “Cristo arrivò prima di voi”.

Non certo vicino ai cattolici, anzi. Sostenne la campagna sul divorzio ma fu spesso criticato dalla sinistra extraparlamentare.

Eppure, De André riconobbe che il cristianesimo, ben prima del marxismo comunista, introdusse nel mondo quell’attenzione speciale per gli ultimi, per i poveri, per i perdenti.

«Con il disco “La buona novella”», disse De André nel 1998, «scritto in pieno 1968, ho voluto dire ai miei coetanei: guardate che le nostre stesse lotte sono già state sostenute da un grande rivoluzionario, il più grande rivoluzionario della storia. Molti ritennero il mio disco anacronistico perché parlavo di Gesù Cristo nel pieno della rivolta studentesca. Ma tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni devono guardare all’insegnamento di Cristo, lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono» (in G. Mattei, Anima mia, Piemme 1998, p. 109).

 

Quell’incontro tra De André ed un sacerdote.

De André non considerava Gesù come il figlio di Dio, nel 1967 gli dedicò “Si chiamava Gesù”, in cui canta: «Non intendo cantare la gloria né invocare la Grazia o il perdono di chi fu come altri che un uomo».

Tuttavia un sacerdote milanese nel 2012, confessò ad Affari italiani di aver incontrato in modo fortuito il cantautore nel 1998, un anno prima della morte.

«Era periodo di Pasqua e stavo facendo il giro di un condominio per la benedizione delle case, a Milano», ha raccontato il sacerdote. «Suono ad una porta e mi apre Dori Ghezzi: “Padre, grazie ma non siamo cattolici”, mi dice. Mi scuso, faccio per andarmene, ma una voce mi chiama: “Ma no, padre, entri pure”. Era Fabrizio De André».

I due parlarono per circa un’ora, Faber non si confessò e nemmeno si convertì, però il sacerdote accenna al contenuto del colloquio: «Era curioso. Abbiamo parlato della morte, dell’aldilà e di Cristo, della sua predicazione. Ho sentito nelle sue parole molto rispetto e molta attenzione per la figura di Gesù. Altro non posso dire».

La redazione

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Christina Grimmie, la giovane cantante è stata uccisa per la sua fede cristiana?

GrimmieNon conoscevamo Christina Grimmie, abbiamo saputo di lei soltanto il giorno della sua morte. E’ stata uccisa pochi giorni fa da un suo fan, Kevin James Lobi, mentre firmava autografi fuori da un teatro di Orlando (Florida), dove si era appena esibita. Lo stesso giorno e la stessa città in cui è avvenuto il massacro alla discoteca gay Pulse. 

Grimmie era una giovanissima cantante, di talento, uscita dal programma televisivo The Voice of America. L’uomo le ha sparato davanti alla sua famiglia e poi si è ucciso a sua volta. Un gesto folle, che in tanti stanno riconducendo alla fede cristiana di Christina. La polizia avrebbe infatti trovato nel computer del killer diverse email di odio verso i cristiani. Breve parentesi: stesso odio che ha motivato il bullismo verso uno studente cattolico in Inghilterra, legato ad una croce appesa al muro e umiliato con scritte blasfeme sul corpo. In Cile, invece, dei giovani manifestanti hanno preso e distrutto una grande crocifisso dalla chiesa della “Gratitud Nacional” di Santiago. In Spagna, infine, sempre pochi giorni fa, degli studenti atei hanno fatto irruzione nella cappella dell’Università Autonoma di Madrid, vandalizzando le pareti con scritte inneggianti all’aborto, al femminismo e all’educazione laica.

Tornando a Christina, il Santa Monica Observer scrive che la giovane cantante aveva una fede forte e convinta, testimoniata pubblicamente senza imbarazzi o vergogne, e che effettivamente fa capolino in molte sue canzoni. Nel brano In Christ Alone (video qui sotto), Christina canta: «Solo in Cristo si trova la mia speranza. Lui è la mia luce, la mia forza, la mia canzone, questa pietra angolare, questa terra ferma. Il mio Consolatore, il mio Tutto in tutto, qui nell’amore di Cristo, io sto». T.J. Wilkins, un concorrente che aveva gareggiato con Christina a The Voice ha ricordato che «la cosa di cui amava parlare maggiormente era la sua fede e il suo amore per Gesù». Quando la Island Records ha offerto a Grimmie un contratto, lei è stata irremovibile nel rimanere attaccata alle sue radici, si legge.

Il giornalista musicale Paolo Vites ha riportato alcune frasi scritte dalla 22enne Christina sul suo sito: «Credo che difficilmente le persone che ci sono vicine riescano a percepire che siamo cristiani, in America abbiamo dimenticato del tutto cosa significa essere “seguaci di Cristo». E ancora: «C’è da ricordare che la fede cristiana è l’unica religione al mondo incentrata non su una serie di regole, ma su una relazione personale. Mentre le altre religioni dicono ‘fa’ questo’, ‘obbedisci a quello’, ‘sacrifica quello’ in modo da trovare la verità e la luce, Gesù dice soltanto: io sono la via, la verità e la luce. Il cristianesimo si basa una persona. Il cristianesimo è una relazione, non una lista di cose da fare».

Il suo scritto pubblicato nel suo sito web conclude in modo profetico: «Anche se dovessimo perdere la nostra vita, non c’è nulla di più importante che seguire Gesù come siamo capaci». Nonostante la giovane età e il grande successo ottenuto, Christina aveva colto la radicalità della fede cristiana. Con la sua morte, tale testimonianza, ha fatto il giro del mondo, arrivando a milioni di persone.

 

Qui sotto Christina canta il brano “In Christ Alone”

La redazione

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Il percorso religioso dei Beatles: quattro piccole “conversioni”

The BeatlesQualcuno non conosce i Beatles? E come è possibile? Chi scrive nasce oltre vent’anni dopo la loro comparsa pubblica, tuttavia la melodia di moltissimi loro brani è più familiare di tantissimi pezzi mandati in onda oggi dalle stazioni radiofoniche.

John Lennon, il leader del gruppo,  è stato velocemente etichettato come “non cristiano” quando ha scritto la famosissima canzone “Imagine”, in cui si dice: «Immagina non ci sia il Paradiso, prova, è facile. Nessun inferno sotto i piedi. Sopra di noi solo il Cielo [..]. Niente per cui uccidere e morire e nessuna religione». Preso dall’euforia del successo un giorno disse che la sua band era diventata «più popolare di Gesù».

Benissimo, attenzione però –come ha scritto Ray Comfort nel suo nuovo libro “The Beatles, God & the Bible” – a non cadere nella «tentazione di abbracciare i Beatles come campioni di anti-cristianesimo, sarebbe un po’ troppo zelante e tradirebbe i percorsi personali di fede dei membri della band».  Ha quindi proseguito: «E’ vero che nel loro periodo di massimo splendore, nel 1964 o ’65, qualcuno chiese loro se credevano in Dio e John Lennon rispose negativamente, ma il loro pensiero è poi maturato ed ogni componente dei Beatles ha riconosciuto l’esistenza di Dio in un suo modo particolare». In particolare è stato Paul Mccarthy a sostenere: «probabilmente sembriamo anti-religiosa per il fatto che nessuno di noi crede in Dio … siamo tutti agnostici».

Durante gli anni del successo, John Lennon invitava alla rivoluzione sessuale, all’amore disinibito e libertino, il figlio Julian oggi dice«Un cattivo padre. Ed io non riesco a diventarlo per colpa sua. Mio padre cantava d’amore, parlava d’amore, ma non ne ha mai dato, almeno a me che ero suo figlio». Nel 1980, in una intervista per Playboy -qualche mese prima di venire ucciso- Lennon ha rivelato la sua piccola conversione: «La gente ha sempre avuto l’immagine che io fossi un anti-Cristo o un antireligioso. Ma io non lo sono. Oggi sono un uomo più religiosoSono cresciuto cristiano e solo ora capisco alcune delle cose che Cristo diceva attraverso le parabole».

Il chitarrista dei Beatles, George Harrison, ha composto nel 1969 la bellissima canzone-preghiera My Sweet Lord, mentre in una lettera a sua madre ha scritto: «Voglio trovare Dio. Io non sono interessato a cose materiali, questo mondo, la fama…voglio raggiungere il vero obiettivo». Harrison venne affascinato particolarmente dal misticismo indiano, dopo la sua morte nel 2001 la famiglia ha lasciato un comunicato in cui c’era scritto: «Ha lasciato questo mondo come lo ha vissuto, consapevole di Dio, senza paura della morte e in pace».

Anche Paul McCartney ha cambiato la sua posizione, seppur più superficialmente rispetto agli altri, arrivando ad affermare nel 1990: «Io non sono religioso, ma sono molto spirituale». pregando per la moglie quando ha avuto problemi nel dare alla luce la loro figlia. Ha aggiunto: «Dio non ci avrebbe dato le lacrime se Egli non avesse voluto che piangessimo». McCartney ha fatto riferimento Dio anche in una canzone dal titolo “Freedom”, in onore delle vittime del 9/11, dicendo: «Questo è il mio diritto, un diritto dato da Dio. Per viver vivere una vita libera, per vivere in libertà»

Il batterista Ringo Starr nel 2010 ha affermato di aver trovato Dio, ha riconosciuto di aver perso la strada quando -sia da giovane che da membro dei Beatles- ha fatto uso di marijuana e l’LSD e poi, verso la fine del 1970, ha sofferto problemi di alcol e cocaina. Oggi il musicista è diventato astemio e al Grammy Museum di Los Angeles ha detto che la religione gioca un ruolo importante nella sua vita: «Per me, Dio è nella mia vita. Non vi nascondo questo. Penso che la ricerca sia iniziata dal 1960. Ho fatto un passo fuori dal sentiero per molti anni e ho ritrovato la strada, grazie a Dio».

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Bono Vox in Vaticano: ringrazia la Chiesa per l’impegno umanitario

Il cantante Bono Vox (al secolo Paul Hewson), leader degli U2, una delle rock band più importanti degli ultimi 30 anni, è tornato in Vaticano per ringraziare la Chiesa del ruolo svolto nella campagna mondiale per la riduzione del debito estero dei Paesi poveri.

Venerdì 16 novembre ha incontrato il cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e in un’intervista per Radio Vaticana ha spiegato: «La Chiesa è stata capofila di questo movimento e questo le deve essere altamente riconosciuto; è stata all’avanguardia di un movimento che è anche interreligioso e inter-disciplinare, perché si sono impegnati sacerdoti e suore, musicisti, gente dello sport, calciatori…una folta rappresentanza di categorie. La Chiesa c’era; ma credo che quello che la Chieesa debba fare adesso è comunicare i risultati ottenuti: ecco, siamo venuti per studiare insieme il modo migliore per farlo». Infatti, «secondo i dati della Banca Mondiale, ci sono altri 52 milioni di bambini che vanno a scuola e che senza questa campagna non avrebbero potuto farlo».

Ricordando il suo incontro nel 1999 con Giovanni Paolo II, Bono ha rivelato: «ancora indosso quello che Papa Giovanni Paolo II mi donò, all’epoca: un piccolo crocifisso d’argento». In quell’occasione il leader degli U2 offrì a Wojtyla i suoi occhiali da rock star e il Pontefice li indossò. «Il Papa è la più grande rock star», commentò Bono.

Il noto cantante non ha mai nascosto la sua fede cattolica, la quale traspare anche da diverse sue canzoni. Lui stesso ha affermato: «Nella musica degli U2 ci sono cattedrali e strade. Le strade conducono alle cattedrali e mentre ci cammini ti senti nervoso, come se qualcuno ti seguisse. Se ti volti non c’è nessuno. Poi finalmente entri nelle cattedrali e solo allora capisci che c’era davvero qualcuno che ti seguiva: Dio». Un interessante libro di Andrea Morandi, U2. The Name Of Love (Arcana, 2009), ha analizzato tutto il repertorio degli U2, scovando i numerosi richiami alla Bibbia, dalle semplici allusioni a vere e proprie citazioni (in questo sito un lungo elenco dei testi “biblici” degli U2).

Interessante questa riflessione conclusiva di Bono: «la risposta laica alla storia di Cristo è sempre questa: è stato un grande profeta, ovviamente un ragazzo molto interessante, ha avuto molto da dire sulla falsariga di altri grandi profeti, siano essi Elia, Muhammad, Buddha o Confucio. Ma in realtà Cristo non permette di dire questo di lui. Cristo dice: “No, non sono un insegnante, non chiamarmi maestro. Non dico che sono un profeta: Io sono il Messia. Sto dicendo: Io sono Dio incarnato”. O Cristo era quel che ha detto, il Messia, oppure era pazzo completo. Ma l’idea che l’intero corso della civiltà per oltre la metà del globo potrebbe avere il suo destino cambiato e capovolto da un pazzo, per me è inverosimile».

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E’ morto Lucio Dalla, cattolico senza riserve

Lucio Dalla era cattolico. La sua morte lascia un vuoto enorme, non solo nella musica italiana. Ecco alcuni degli aspetti poco conosciuto del cantautore bolognese, come la sua profonda fede, la messa a San Domenico (Bologna), l’amore al Papa e le sue idee etiche.




La notizia gira da qualche ora: il cantautore Lucio Dalla è morto.

Sarebbe stato stroncato per un infarto a Montreaux, in Svizzera, dove si trovava per una serie di concerti. Tra tre giorni avrebbe compiuto 69 anni.

Tra i suoi migliori lavori ricordiamo il brano “I.N.R.I.”, l’espressione dell’incontro con il Crocifisso risorto, di un’etica conosciuta e vissuta dal Lucio nazionale, testimoniata senza imbarazzo.

Nel 2007 fu tra i protagonisti de “La Notte dell’Agorà” in occasione del grande raduno di Benedetto XVI con i giovani delle diocesi italiane a Loreto. Cantò “Se io fossi un angelo”, datata 1986.


La messa a San Domenico e i suoi brani più belli.

Cattolico da sempre, si avvicinò particolarmente alla Chiesa negli ultimi anni. Non la chiamava conversione: «Non sono un convertito perché credo in Dio da quando ero bambino». Frequentava la messa a San Domenico a Bologna, a pochi metri dalle Due Torri.

L’album “Il Contrario di Me” (2007) fu visto come l’epilogo di questo cammino cristiano, comparve il brano “Come il vento”, costellato di metafore eucaristiche, guglie e campanili, chiese aperte e candele che nonostante tutto non si spengono.

Anche “Liam”, la storia di una crocifissione, non di Cristo ma di un povero cristo. Fin dal suo primo grande successo comunque, “4 marzo 1943”, il protagonista si chiamava Gesù Bambino.

In un’intervista nel 2007, spiegò che vi sono molti artisti cattolici (bolognesi) praticanti, come Luca Carboni, Biagio Antonacci, Paolo Cevoli e «credo che abbia a che fare con la creatività. Non ho mai pensato che dall’uomo potessero uscire risorse e fantasie che non dipendessero da un’apertura dell’anima verso le cose che non sono visibili».

Disse anche di aver apprezzato molto l’ultimo libro del Papa, Gesù di Nazareth: «Mi ha colpito più di quanto immaginassi. È un libro potente anche se non mi trova d’accordo quando affronta le parabole cercando di dare una logica storica e teologica alle storie del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo. Io sento il bisogno di interpretazioni più semplici. Invece mi è piaciuto quando parla del Discorso della Montagna, che assieme alla Crocifissione è il momento più straordinario del Vangelo».


“Non sono comunista, cattolico ed a favore della vita”.

Per anni Dalla si esibì ai Festival dell’Unità e ai raduni comunisti-marxisti. Sempre nel 2007 volle chiarire la questione:

«Non sono mai stato né marxista, né comunista. Se mi sono esibito alle manifestazioni di sinistra è perché sono un professionista: gli organizzatori mi hanno pagato ed io ho cantato. Punto. Non credo che un cattolico – perché io tale sono – debba rifiutare le offerte che gli vengono fatte solo per una questione ideologica. Detto ciò, reputo che il marxismo, come ha sottolineato il Papa nella sua ultima Enciclica, contenga alcuni elementi in comune con il cristianesimo, anche se ha fatto, sbagliando, un mito dell’economia».


Apprezzò anche il messaggio del fondatore dell’Opus Dei, San Josemaria. Qualcuno interpretò male e lui rettificò dicendo che apprezzava il messaggio ma non era iscritto al noto movimento ecclesiale.

Rispose anche a domande su tematiche bioetiche: «Reputo l’aborto, ad esempio, una cosa negativa. La vita va difesa sempre e comunque, dal suo momento inziale sino alla fine naturale».

Ancora, sul Papa: «Benedetto XVI ha dimostrato ancora una volta di essere un grande e fine intellettuale. Qualche ‘bello spirito’ vuol farlo passare per nemico della ragione, ma il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto. Il Papa afferma, saggiamente, che fede e ragione devono e possono essere amiche e che non sono affatto categorie contrapposte. Io la penso come lui».

Se dovesse dedicargli una canzone avrebbe scelto «senza dubbio la mia ‘Inri’». L’esibizione del 1997 davanti a Giovanni Paolo II la definì invece: «uno dei più grandi momenti della mia vita».

In un articolo di Repubblica del 1994 si citano altre frasi di Lucio Dalla:

«Sono cristiano, sono cattolico, credo fermamente in Dio e professo la mia fede sempre. La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho. La fede è una grande certezza in una società come la nostra che diviene ogni giorno più complessa, più enigmatica. La nostra società moderna ha un grande bisogno di fede. Nelle mie canzoni ci sono molti valori cristiani. Metterei l’accento sulla parte umanistica della vita, quello che cerco attraverso le mie canzoni è invitare ad aumentare la propria coscienza. Ho trovato una grande forza nelle parole dei Salmi, non lasciano indifferenti».


Arrivederci Lucio, e grazie.

 

Qui sotto il video del brano I.N.R.I che avrebbe voluto dedicare al Papa


La redazione

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Jovanotti sposta due concerti, coincidevano con il Venerdì Santo

Un gesto di rispetto da parte di Jovanotti verso i credenti. In un’intervista racconta anche della sua fede, molto sentita seppur balbettante e critica verso la Chiesa.



Il cantautore toscano Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è da mesi ai primi posti nelle classifiche di vendita con l’album “Ora”.

Recentemente ha deciso di spostare due date del suo tour perché coincidevano con il venerdì e il sabato santo: «Quando hanno fatto il calendario ho detto subito che non andava bene. Non ho mai suonato il venerdì e il sabato santo, neanche quando facevo il dj», ha detto.

«Il venerdì santo è il giorno della Passione, non si festeggia. Nella mia vita sono tutto meno che fondamentalista. Ma anche se non sono praticante mi sembra una forma di rispetto dovuta». Così, i due concerti in Umbria sono stati posticipati a sabato 28 e domenica 29 maggio.

«È una questione di rispetto», dice al quotidiano Avvenire. Un bel gesto, decisamente inusuale nel mondo dello spettacolo.


In un’intervista del 1998, pubblicata nel libro Anima mia. Rock, Pop e Dio di Giampaolo Mattei (Piemme 1998), Jovanotti aveva parlato della sua fede, seppur con alcune critiche alla Chiesa: 

«Credo in Dio, del resto basta ascoltare le mie canzoni per capirlo no? Sono una persona, come si dice, in ricerca. Faccio fatica ad accettare alcune regole imposte dalla Chiesa. Ma credo in Dio. Mi capita di rivolgermi a Lui soprattutto quando sto bene. Sono veramente convinto che la mia ricerca spirituale sia il cammino più importante che possa fare anche se non corro su binari ben delineati. La mia è certo una fede che balbetta, che non ha certezze assolute. […]. Il Vangelo è una forza tremenda, ma la Chiesa lo propone in maniera terribile e spesso incomprensibile per i giovani. Ci sono tanti sacerdoti che già da anni si occupano anche di musica, ma anche qui in generale c’è poca attenzione. Non ho mai aderito a concerti come Natale in Vaticano…mi troverei fuori posto, mi vergognerei a cantare per una Chiesa che non capisco. Mio padre ha lavorato in Vaticano, è vero. Mi diceva che era un’esperienza bellissima. Lui ci tiene molto. La mia famiglia abita a cento metri dal Vaticano e io sono cresciuto un po’ all’ombra di San Pietro. Pensi che ero presente sulla piazza quando c’è stata la fumata bianca per l’elezione degli ultimi due Papi..».


La redazione

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