Nick Cave, la morte del figlio e la nostalgia di Cristo
La morte del figlio ha trasformato l’artista e cantautore americano Nick Cave, la pervasività del cristianesimo nella sua vita è diventata più forte, accompagnata da una ricerca di senso e di risposta al dolore. Un non cristiano nostalgico di Cristo.
Era il 2015 quanto Arthur Cave, adolescente, muore.
Cadde da una scogliera vicino a Brigthon, città sulla costa dell’East Sussex, a sud di Londra. Inutile il trasporto in elicottero al Royal Sussex County Hospital, dove perse la vita a causa delle ferite riportate.
A morire interiormente, quel giorno, fu anche il padre, Nick Cave, celebre musicista australiano diventato famoso con la band Nick Cave and the Bad Seeds, gruppo attivo dal 1983.
Nick Cave muore e rinasce lentamente, nel dolore. Arista già unico, la sua impronta verrà indelebilmente segnata da questa tragedia.
Nei suoi brani compaiono temi nuovi (o se non propriamente nuovi, vi si accenna con una frequenza maggiore), come la presenza indelebile della morte, la perdita ed il dolore. Ma da quell’album appare una nuova enfasi sulla religiosità, sulla preghiera, sul riconoscimento di quel Dio cristiano di cui il non cristiano Cave sente bisogno.
“Into my arms”: nei suoi testi un richiamo divino.
L’esperienza religiosa era già presente prima in Cave ma non in maniera così pervasiva, spesso le allusioni erano allegoriche.
Nonostante una vita di eccessi e di alcool, nel 1986 scrisse Jesus Met The Woman At The Well, musicando l’incontro evangelico di Gesù con la samaritana e nel 1990 arrangiò un tradizionale inno brasiliano Foi Na Cruz («Era sulla croce, era sulla croce. I miei peccati sono stati espiati da Gesù»).
Due anni dopo, nel 1988, comparve The Mercy Seat, la storia di un uomo che sta per sedersi sulla sedia elettrica che richiama ed unisce versi evangelici e anticotestamentari (in particolare il Libro del Levitico).
Dal 1998 con l’album The Boatman’s Call compaiono profonde canzoni d’amore, una musicalità più quieta ed anche il rapporto religioso di Cave cambia, diventa più intimo: «Io credo che la canzone d’amore debba essere una canzone triste», afferma.
E ancora: «E’ il rumore del dolore stesso, è il desiderio di essere trasportati dall’oscurità alla luce, di essere toccati dalla mano di Colui che non è di questo mondo. La canzone d’amore è la luce di Dio, giù nel profondo, che si fa largo tra le nostre ferite. Alla fine la canzone d’amore esiste per riempire, con il linguaggio, il silenzio tra noi stessi e Dio, per abbattere la distanza tra il temporale e il divino. Per parte mia, sono un acchiappa anime per conto di Dio».
Ed ecco apparire anche piccole poesie d’amore con un rimando divino.
Ad esempio Lime-Tree Arbour, dove dice: «Ovunque io vada c’è una mano che mi protegge, ed io la amo davvero tanto». Oppure Brompton Oratory: «Vorrei anche io esser fatto di pietra, così non dovrei vedere una bellezza impossibile da definire, una bellezza impossibile da credere».
Ed infine la bellissima Into My Arms, in cui canta: «Non credo in un Dio interventista, ma so, cara, che tu ci credi. Ma se ci credessi, mi inginocchierei e Gli chiederei di non intervenire quando si tratta di te, di non toccarti neanche un capello. Di lasciarti così come sei e se proprio Lui volesse condurti, allora che ti conduca fra le mie braccia. Fra le mie braccia, O Signore!».
Nel 2001 esce No More Shall We Part: «Signore, stammi vicino. Non sarò mai libero se non sono libero adesso».
Poi, come dicevamo, Cave venne investito dalla tragedia della morte di Arthur.
Cave e la morte del figlio, i brani si trasformano.
Skeleton Tree è il primo album segnato dal dramma vissuto, dalla vita effimera e dalla ricerca di un senso.
I need you (2016) è struggente: «Niente importa davvero, niente importa più davvero quando chi ami se ne è andato. Sei ancora in me, piccolo, ho bisogno di te. Nel mio cuore, ho bisogno di te. Mi mancherai quando te ne sarai andato, mi mancherai quando sarai andato via per sempre. Perché niente importa davvero. Non mi è mai sembrato giusto, mai».
Un tema ribadito anche in Anthrocene (2016): «Tutte le cose che amiamo, amiamo, amiamo, le perdiamo».
Ancor più drammatico, forse, l’ultimo album, Ghosteen (2019). Già nel titolo c’è il neologismo “fantasmadolescente” ed è tutto un dialogo tra lui e il figlio scomparso, tra la Vita e la Morte. Il dramma ha reso Nick Cave più empatico, nell’ultima tournée annuale ha invogliato i fan ad invadere il palco a fine concerto.
In seguito ha aperto un forum online, The Red Hand Files, in cui chiede che gli vengano poste domande e promette di rispondere.
Una recente ricerca, realizzata da Sarah K. Balstrup, docente di Studi religiosi all’Università di Sidney, ha analizzato proprio le risposte date da Cave ai suoi fan ed il suo rapporto con la metafisica.
«Sia il processo creativo di Cave che l’esperienza della performance diventano esperienze religiose che affermano il viaggio soggettivo in cui l’artista cerca la verità attraverso un incontro diretto con l’ignoto», scrive Balstrup.
«In “The Red Hand Files”, Cave mostra un alto grado di riflessività e consapevolezza di sé in termini di natura costruita della sua posizione religiosa», prosegue la studiosa. «La morte del figlio di Cave sembra sacralizzare questo spazio online, dando il tono per una comunicazione rispettosa e risposte sincere e sincere».
In queste voci, continua Balstrup, «c’è un peso etico concesso all’altro che raramente si trova nella corrispondenza di estranei. Cave parla del proprio dolore e pubblica lunghe domande dei fan che raccontano sofferenza e perdita personale. La fede religiosa è fortemente presente e Cave fornisce risposte specifiche riguardo ai suoi pensieri su Dio, Bibbia, l’aldilà, l’esistenza del male e la preghiera».
Nick Cave, un non cristiano nostalgico di Cristo.
Quella dell’artista australiano viene così definita “spiritualità alternativa”, ovvero una fede soggettiva ed individuale.
Mentre prende le distanze dalle affermazioni della verità metafisica o da specifiche convinzioni religiose, Nick Cave dice che a Natale «si “inginocchierà comunque davanti alle vestigia sbiadite di un’idea superata chiamata trascendenza spirituale e al nostro bellissimo e commovente tentativo di umanizzare l’estatico dramma cosmico, e pregherò”», ha scritto Balstrup.
Nelle sue dichiarazioni pubbliche, l’artista si è sempre definito affascinato e avido lettore della Bibbia, ma la sua posizione personale è altalenante.
«Credere in Dio è illogico, è assurdo. Non c’è dibattito», disse nel 2010. «Lo sento intuitivamente, viene dal cuore, un luogo magico. Ma continuo a fluttuare di giorno in giorno. A volte mi sento molto vicino alla nozione di Dio, altre volte no. Lo vedevo come un fallimento. Ora lo vedo come una forza»1citato in M. Snow, Nick Cave: Sinner Saint: The True Confessions, Plexus Pub 2010.
L’ideale cristiano, tuttavia, è da sempre un tema persistente nella sua vita e nelle sue canzoni. Certamente maggiore dopo la morte del figlio.
«Questi atti di devozione e di partecipazione dell’inconoscibile», confessa ad un certo punto Cave, «definiscono la mia vita».
E sempre Sarah K. Balstrup sottolinea in Cave il carico di nostalgia per Cristo, pur rinunciando a definirsi cristiano. Ma dal cristianesimo è attratto, scrive l’artista, «personalmente, nostalgicamente e sentimentalmente».
Alcuni mesi fa, nel giugno 2021, Cave ha risposto ad un fan che lo hai interrogato sul senso dello scorrere del tempo.
L’artista ha concluso la sua ironica ma profonda risposta spiegando che l’invecchiamento dell’uomo è anche l’occasione per riscoprire «la fede nella compassione universale, nel perdono e nella misericordia, nelle sfumature e nelle ombre, nella neutralità e nell’umanità -ah, bella umanità- e anche in Dio, che ringrazia per averlo lasciato, in questi tempi dementi, essere vecchio».
La redazione