Cosa ho imparato ascoltando migliaia di confessioni

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I tre insegnamenti che un giovane frate americano ha appreso dopo aver confessato per 6 anni. Un video interessante di padre Casey Cole.


 

Cos’ha imparato il francescano padre Casey Cole ascoltando per sei anni le confessioni dei fedeli?

Si tratta di un giovane frate statunitense che presta servizio in Georgia, autore di un canale YouTube nato nel 2015 e seguito da migliaia di persone ogni giorno.

In un video recente, senza violare il sigillo sacramentale della confessione, ha condiviso la sua esperienza come confessore presso scuole, università e parrocchie da cui ha tratto tre insegnamenti importanti verità sulla fede, il peccato e la vita cristiana.

 

1) Nessun peccato è originale

La prima riflessione riguarda la condivisione universale delle lotte umane.

Padre Casey Cole osserva come, nel confessionale, emergano sempre le stesse difficoltà e le stesse fragilità.

Molti penitenti, soprattutto giovani, vivono spesso il peccato convinti di essere gli unici a commettere certi sbagli o addirittura vergognandosi di confessare un certo peccato temendo quel che potrebbe pensare il sacerdote.

«Dopo aver migliaia di confessioni», spiega il frate, si è reso conto che «nessun peccato è veramente unico». Nulla lo sorprende in confessionale e, addirittura, «da tre o quattro anni non ho più sentito un peccato nuovo».

Dicendo questo non intende minimizzare il dolore o la gravità di ciò che viene confessato ma che «entrando in confessionale c’è pochissima probabilità di condividere qualcosa che un sacerdote non abbia già ascoltato decine di volte nella stessa settimana».

Il messaggio è che qualunque cosa si è commesso non si è gli unici e, soprattutto, «non siete soli», invitando maggior apertura gli uni con gli altri. Richiama infatti la Lettera di Giacomo (5,16), spronando a metterne in pratica le parole: confessare i peccati non solo al sacerdote, ma anche gli uni con gli altri per condividere la nostra vulnerabilità e chiedere sostegno.

«Non siete gli unici peccatori, allora perché combattere da soli? Cercate sostegno nella comunità e lavoriamo insieme per superare il peccato».

 

2) I fedeli sono spesso più santi dei sacerdoti

La seconda lezione riguarda la santità dei laici.

Il frate sfata la falsa idea (la definisce «pura follia») che solo chi dedica la vita a Cristo, come preti, suore o frati, possa vivere una vita di santità superiore.

Ascoltando le confessioni, ha invece scoperto che molti fedeli laici manifestano una fede profonda, un impegno e una dedizione straordinari. Spesso mostrando «un’urgenza più forte nel crescere nella vita spirituale rispetto a sacerdoti e religiosi».

Questi ultimi, infatti, hanno più probabilità di «cadere nella tentazione della compiacenza», cioè pensare di aver già raggiunto un certo livello di crescita spirituale. «È triste, ma a volte è la natura stessa del ministero», spiega padre Casey.

Molti sacerdoti vivono in santità e prendono seriamente la loro vocazione ma non significa che non pecchino allo stesso modo dei fedeli. Anzi, spiega il frate, «come sacerdote, sono costantemente umiliato nel confessionale davanti alle vite dei laici. Sono meravigliato dalla loro dedizione alla fede, dal loro rigetto del peccato e dal desiderio di crescere nella santità».

Il messaggio è: sappiate che i sacerdoti non vi giudicano per i vostri peccati, in molti casi imparano e crescono grazie a voi.

 

3) Ci sentiamo più in colpa del dovuto

La terza riflessione riguarda il giusto peso dei peccati.

Spesso, afferma il sacerdote americano, «molte persone si sentono più colpevoli di quanto dovrebbero».

C’è parecchia confusione su cosa sia peccato e troppe volte «mi è stato detto di sentirsi gravemente colpevoli per un peccato mortale, di non essersi comunicati per una settimana a causa di questo peccato, per poi scoprire che ciò che confessano non è nulla di grave».

Per questo chiarisce la definizione di peccato mortale e le tre condizioni:
1) Una gravità tale da interrompere la relazione con Dio (quindi non episodi di peccati di gola, inciviltà o avidità, per esempio)
2) Piena consapevolezza: bisogna sapere che l’azione è sbagliata e conoscere le sue conseguenze. Non esiste il peccato mortale commesso per caso.
3) Libertà totale: bisogna agire per propria scelta e volontà, senza pressioni esterne o costrizioni, poiché ciò riduce o annulla la colpevolezza.

«I peccati mortali esistono, ma non con la frequenza con cui si pensa nel confessionale», spiega il frate. «Chi diffonde l’idea che ogni azione sia peccato mortale danneggia spiritualmente le persone». Altrettanto sbagliato è predicare una teologia che «induce a credere che ogni azione conduca alla condanna».

Per questo ritiene fondamentale una maggiore educazione alla dottrina morale: conoscere il Catechismo, i documenti della Chiesa e confrontarsi con un sacerdote o un direttore spirituale.

 

Molto rilevante anche la conclusione del video, in cui padre Casey Cole invita a non cadere nella tentazione della scrupolosità.

«Non cercare di essere perfetto rispetto ad una lista di peccati», dice all’ascoltatore. «Concentrati sul seguire Gesù. Fissa lo sguardo su di Lui: chiede solo fedeltà. Fallo, e non sarai mai lontano dalla Sua grazia».

Autore

La Redazione

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