Cosa ci insegnano sulla fede i cristiani in Corea del Nord
- Ultimissime
- 22 Giu 2025
Mentre i cristiani in Corea del Nord pagano con la vita un segno di croce, noi ce ne vergogniamo. Nella nostra libertà religiosa tutelata dalla legge, nella nostra scontatezza di fede, la loro esistenza è un pugno in faccia alla nostra tiepidezza.
La Corea del Nord non è semplicemente ostile alla fede cristiana: è programmata per cancellarla.
Le testimonianze terribili che arrivano dicono tutte una cosa: la sequela di Gesù è considerata un atto di alto tradimento contro lo Stato, e ogni forma di culto — dalla lettura della Bibbia a una semplice preghiera — è vista come un attacco diretto alla supremazia della dinastia Kim.
In questa macchina perfetta di sorveglianza e propaganda, dove l’ateismo di Stato è religione ufficiale, la fede cristiana sopravvive come un fuoco sotto la cenere. E arde.
La repressione dei cristiani in Corea del Nord
Il governo, spiega Ryan Brown, direttore amministrativo di “Open Doors US”, non si limita a punire: rieduca, annienta, deforma la coscienza fin dall’infanzia. La pagina Wikipedia sulla persecuzione dei cristiani nordcoreani è, stranamente, ben fatta.
Il “Reactionary Ideology and Culture Rejection Act”, ad esempio, criminalizza ogni influenza religiosa come superstizione. Articolo 29: proibito possedere una Bibbia. Un canto cristiano? Un motivo per la deportazione. Una preghiera sussurrata? Può valere l’inferno di un campo di lavoro. Ma non basta punire il singolo: la colpa si eredita, la famiglia paga.
Intanto, i bambini crescono con leggi che insegnano che credere in Dio è come commettere un omicidio. Tutto è sorvegliato. Tutti sono potenziali spie. Il Ministero della Sicurezza gestisce la repressione, ma i vicini collaborano volentieri: una soffiata può significare cibo in più (per le spie).
Eppure, la Chiesa è viva. Invisibile, certo, nascosta. Ma viva. Come una radice che cresce sotto l’asfalto.
Viene raccontata la storia di Joo Min, giovane nordcoreana che varca il confine con la Cina alla ricerca di pane e trova invece il Vangelo. Entra in una casa sicura, incontra i cristiani, legge per la prima volta i Vangeli. Le avevano insegnato che i cristiani erano lupi mascherati, ma invece trova agnelli. Decide di farsi battezzare.
Potrebbe rimanere in salvo. Ma no. Sente una voce più forte della paura: “Torna.” E lei torna e oggi guida una chiesa domestica clandestina. Sa cosa rischia, ma resta. Non perché non abbia paura ma perché Cristo vale più della sua vita.
Cosa ci insegnano i cristiani in Corea del Nord
Che sproporzione con quanto viviamo noi, nella nostra libertà religiosa tutelata dalla legge, nella nostra scontatezza, nel nostro continuo portare la fede in fondo alle priorità della vita. Non abbiamo tempo, non abbiamo voglia, non abbiamo urgenza.
Mentre ci vergogniamo anche di fare un segno della croce in pubblico, dall’altra parte del mondo c’è chi decide di farlo, ogni giorno, pur sapendo che potrebbe essere l’ultimo gesto della sua vita.
Che cosa ci possono insegnare sulla fede i cristiani clandestini in Corea del Nord? O anche i cristiani nigeriani, massacrati ogni giorno dai miliziani islamici. Che la loro esistenza è un pugno in faccia alla nostra tiepidezza.
E questa è la provocazione. Loro non si limitano a sopravvivere: testimoniano. E nel buio più fitto, la fame di speranza cresce. Il popolo nordcoreano si affida spesso ai tarocchi, alle superstizioni. Ma alcuni trovano Cristo. Quasi 500mila cristiani dicono fonti sudcoreane.
A quella verità proibita evidentemente qualcuno si avvicina. Così, mentre lo Stato cerca di estirpare ogni seme di fede, quel seme germoglia.
E’ sempre stato così, il sangue dei martiri è da sempre stato storicamente il meccanismo più tragicamente efficace di trasmissione della fede.
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