Le macro-differenze tra monaci cristiani e buddisti

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Monaci cristiani e monaci buddisti: quali differenze? Se gli stili di vita sono in parte simili, ci sono almeno 4 motivi per cui il monachesimo cristiano non c’entra nulla con quello buddista.


 

Quali sono le differenze tra i monaci buddisti e monache o monaci cattolici (o ortodossi)?

Innanzitutto parliamo specificatamente di monachesimo cattolico (o ortodosso) perché, a parte qualche rara eccezione, la figura istituzionale del monaco esiste solo in tale ambito. D’altra parte, Martin Lutero abolì quasi subito, dopo la Riforma, ordini religiosi, voti monastici e clausura.

E per quanto riguarda il buddismo? I monaci buddisti (o buddhisti) in cosa si differenziano da quelli cattolici e ortodossi?

Gli stili di vita sono in parte simili, caratterizzati da povertà, celibato, preghiera, isolamento, vita comunitaria. Le somiglianze formali, però, nascondono motivazioni, visioni dell’uomo e finalità radicalmente diverse.

Qualche tempo fa abbiamo spiegato le differenze tra velo cristiano indossato dalle religiose e velo islamico indossato dalle donne musulmane.

Ecco invece, di seguito, le principali differenze tra monache e monaci cristiani e monaci buddisti, esposte in maniera volutamente sintetica:

 

1) L’obbiettivo: estinzione del sé o unione con Dio

La prima differenza riguarda il motivo per cui esiste il monachesimo e le ragioni che spingono e seguire questa strada.

Il monaco buddista ha come fine l’illuminazione personale (nirvana), la liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara) raggiungendo, per l’appunto, il nirvana, cioè uno stato di “estinzione” del desiderio e del sé.

Il monaco cristiano, al contrario, non è focalizzato sul sé ma su Dio: cerca l’unione con il Signore e con i confratelli, la sua è una vocazione relazionale, non solo liberatoria. Anche nell’ambito della clausura il tema è la capacità di relazione non di isolamento.

Come spiega il domenicano padre Angelo Bellon, «la vita monastica cristiana è una specie di sposalizio, uno sposalizio con Nostro Signore, preludio dello sposalizio eterno».

Il frate italiano porta l’esempio di Santa Teresa di Lisieux che, nel giorno della sua professione religiosa, ricordò la nascita della sua vocazione: «La mia unione con Gesù ebbe luogo non in mezzo a folgori e lampi, cioè tra grazie straordinarie, ma nel soffio di un vento lieve simile a quello che sentì sulla montagna il nostro padre sant’Elia»1Teresa di Lisieux, Storia di un’anima.

Santa Teresa e tutti i monaci e le monache cattoliche non entrano nella vita monastica per trovare la pace e la povertà, ma per salvare le anime: «Quello che venivo a fare nel Carmelo lo dichiarai ai piedi di Gesù, nell’esame che precedette la mia professione: Sono venuta per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti»2Teresa di Lisieux, Storia di un’anima.

 

2) Visione dell’Io: un’illusione da allontanare o una relazione

Una seconda differenza riguarda come concepiscono se stessi.

Il monaco buddista nega l’esistenza di un’anima personale, l’idea di un “io” stabile e autonomo è un’illusione prodotta dall’ignoranza e la sua è una filosofia o sapienza umana per “disidentificarsi” da questa illusione.

Il monachesimo cristiano è totalmente all’opposto, invece. Il sé non è un’illusione, ma una realtà profonda. Sussiste nella relazione con Dio: “Io sono Tu che mi fai”.

Il monaco cristiano non annulla il sé, ma lo offre continuamente e lo trasfigura nell’amore di Cristo.

Se il monaco buddista cerca di svuotarsi dal proprio “io”, il monaco cristiano vive della sovrabbondanza della vita piena e dell’amore che Dio gli dona.

 

3) Vita monastica: pratica di distacco o di adesione totale

Una terza differenza è relativa alla vita all’interno dei monasteri.

Per il monaco buddista, le pratiche monastiche (meditazione, ascetismo, osservanza del Vinaya, delle regole, l’elemosina ecc.) sono mezzi per rompere l’attaccamento dal mondo e cessare il ciclo delle rinascite. Il tentativo è di svuotare la mente e il cuore e la pratica è prettamente individuale, anche se in comunità.

La spiritualità è vissuta come auto-realizzazione.

In ambito cattolico e ortodosso, invece, la regola di vita (preghiera liturgica, lectio divina, lavoro manuale ecc.) è tesa a trasfigurare il cuore e la volontà per aderire totalmente a Cristo e restare uniti a Dio per mezzo dell’amore, del lavoro, della preghiera e dell’umiltà.

La spiritualità monastica è un’auto-realizzazione nel senso di adesione totale al Tu che compie il cuore umano, e le regole monastiche sono un aiuto e uno strumento fondamentale per questo obbiettivo. La preghiera, il lavoro e il silenzio sono atti d’amore, di ringraziamento, di lode e di intercessione per il mondo.

Inoltre, le monache e i monaci cattolici -anche se eremiti- sono inseriti e si sentono sempre parte di una comunità.

 

4) La preghiera: meditazione psico-spirituale o dialogo

Un’altra differenza nel monachesimo buddista e cristiano è il ruolo della preghiera o della meditazione.

Il buddismo, specie nelle forme più antiche (come il Theravāda), non contempla alcun Dio personale. Il monaco quindi non prega qualcuno, ma -come già detto- lavora esclusivamente su se stesso.

Da questo punto di vista, la preghiera in quanto tale non esiste. Esiste la meditazione, uno strumento psico-spirituale, utile a prendere consapevolezza dell’impermanenza delle cose, sciogliere l’attaccamento al mondo e allenare la mente a non desiderare.

Nel cristianesimo, il monaco si rivolge costantemente a un Dio che è Padre, Figlio e Spirito. Un Tu con cui si entra in relazione anche grazie al volto dei confratelli e consorelle, non è un’energia astratta.

La preghiera è dialogo, non esercizio di tecnica e la salvezza è un dono, non una conquista.

 

Alla luce di queste macroscopiche differenze quindi, si può dire che evidentemente l’esperienza vocazionale dei monaci cristiani e buddisti non c’entrano nulla tra loro.

Autore

La Redazione

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