Chi era il barone D’Holbach, primo ateo militante della storia
- Ultimissime
- 01 Giu 2025
Il pensiero di Paul-Henri Thiry d’Holbach sull’ateismo e sulla religione: fece un sunto delle idee illuministe e creò una “Bibbia atea” del materialismo. Ma la sua visione era tremendamente ingenua, ecco dove sbagliò.
Una delle figure centrali dell’Illuminismo francese è stato Paul-Henri Thiry d’Holbach (1723–1789).
Un filosofo franco-tedesco, stabilitosi a Parigi prima di diventare celebre per il suo salotto intellettuale frequentato da Diderot e altri enciclopedisti.
La sua opera più nota è il “Sistema della natura“ (1770), una sorta di “Bibbia dell’ateismo” in cui espone un materialismo rigoroso.
D’Holbach e l’ateismo materialista
Quella di D’Holbach, influenzata dall’epicureismo lucreziano, fu infatti la prima manifestazione di ateismo antropologico propriamente detto, un sunto delle idee illuministe e un tentativo di creare una filosofia organica e scientificamente fondata. L’obbiettivo era spiegare tutta la realtà sulla base delle sole conoscenze chimico-fisiche del mondo naturale, riducendola quindi al materialismo naturalistico.
«L’uomo disdegnò lo studio della natura per correre dietro a fantasmi [della metafisica e della religione] che, simili a fuochi ingannevoli […], lo spaventarono, lo abbagliarono e gli fecero abbandonare la via semplice del vero»1P-H. T. d’Holbac, Sistema della natura, Utet 1978, p. 75.
Un’affermazione storicamente dubbia in quanto avrebbe dovuto sapere che, prima di lui, tutti i principali studiosi della natura furono grandi e devoti cristiani, da Copernico a Galileo, da Keplero a Pascal. Essi vedevano nella scienza uno strumento per comprendere meglio l’ordine divino del creato.
La fede è un prodotto della paura e dell’ignoranza
Nulla appassionava più il barone D’Holbach nello spiegare che l’immagine del divino nasce dalla scarsa conoscenza delle leggi di natura e dallo stupore misto a paura per i fenomeni naturali:
«E’ unicamente la nostra ignoranza delle cause naturali e delle forze della natura che dette origine agli dei; è ancora l’impossibilità in cui la maggior parte degli uomini si trovano di portarsi fuori di questa ignoranza a far credere che l’idea di un dio è un’idea necessaria per rendere conto di tutti i fenomeni»2P-H. T. d’Holbac, Sistema della natura, Utet 1978, p. 379.
Con questi ragionamenti però D’Holbach confonde la spiegazione scientifica con il senso ultimo delle cose.
E’ vero che nel lontano passato si credeva che fosse Dio a mandare i fulmini, almeno prima che la scienza ne spiegasse le dinamiche. Ma l’uomo antico aveva comunque ragione nell’intuire che Dio governa ultimamente il mondo e questa intuizione è rimasta invariata nel corso dei secoli, indipendentemente dal progresso scientifico.
Spiegare un fulmine con l’elettricità, infatti, non toglie che l’uomo possa continuare a chiedersi perché esiste l’ordine naturale, da dove venga l’intelligenza che permette di comprenderlo e a cosa tutto questo conduca.
Come ha notoriamente spiegato il filosofo di Oxford, Richard Swinburne, nessuno postula un “Dio delle lacune”, cioè che spiega le cose che la scienza non ha ancora spiegato.
Piuttosto, scrive, «sto postulando un Dio per spiegare quello che la scienza spiega. Proprio il successo della scienza nello spiegarci quanto profondamente ordinato sia il nostro mondo naturale fornisce una forte motivazione per credere che esista una Causa ancora più profonda di quell’ordine»3R. Swinburne, Esiste un Dio?, Lateran University Press 2013, p. 79
La fede prodotto della paura e dell’ignoranza
A causa di questa ingenuità da parte del barone illuminista, il filosofo della scienza Roberto Timossi ha osservato4R. Timossi, Nel segno del nulla, Lindau 2015, pp. 128-136 molto opportunamente che nei pensieri di D’Holbach siamo in presenza dei classici topoi dell’ateismo: esiste solo la materia, l’anima è un’invenzione, gli dei sono una creazione della mente umana, la religione è frutto dell’ignoranza e della paura ecc.
Al contempo vi sono invece gli atei che D’Holbach descrive come coloro che hanno il coraggio di dissolvere le perniciose illusioni che infestano le false credenze umane, degli eroici individui che distruggono le chimere nocive al genere umano e riconducono gli uomini alla natura, all’esperienza e alla ragione.
Sostanzialmente, osserva ancora Timossi5R. Timossi, Nel segno del nulla, Lindau 2015, pp. 128-136, con D’Holbach siamo di fronte a un aut aut di tipo dogmatico: o si è atei e materialisti o si è degli illusi che credono in divinità inesistenti e quindi portatori di sconvenienti pregiudizi.
D’Holbach e l’ateismo: un pensiero “rozzo”
Non è un caso che il celebre filologo classico Sebastiano Timpanaro giudicò il materialismo di D’Holbach come «effettivamente rozzo, o meglio frettoloso, o anche superficialmente ripetitivo»6S. Timpanaro, Introduzione a D’Holbach, Il buon senso, Garzanti 2005, p. XXVIII.
La visione dell’uomo che emerge da D’Holbach è quella di una macchina mossa da leggi fisiche, senza anima, senza libertà, senza finalità. Ma questa antropologia è riduttiva e contraddetta dall’esperienza umana più profonda: il senso del bene e del male, la responsabilità morale, l’anelito al trascendente, il desiderio di verità e di bellezza.
Di fronte a questo viene spontaneo osservare che il pensiero cristiano, in confronto, ha prodotto una visione dell’uomo infinitamente più ricca e realistica, capace di integrare e valorizzare scienza, etica e spiritualità.
1 commenti a Chi era il barone D’Holbach, primo ateo militante della storia
Ahime’, molti purtroppo ancora credono che Dio sia “God of the gaps”, quando questa “posizione” e’ esplicitamente rifiutata e non da ora dalla Chiesa Cattolica (e dalle persone ragionevoli, mi permetto di aggiungere). Ma perche’ la gente si non legge un buon testo di filosofia?