Perché è giusto riferirsi a Dio al maschile?
- Risposte cattoliche
- 09 Feb 2025
Dio è maschio o femmina? Perché Dio viene tradizionalmente presentato al maschile? Ecco una spiegazione filosofica del perché è legittimo e non sessista un riferimento maschile a Dio. Nuova puntata della nostra rubrica “Risposte cattoliche”.
Dio non è letteralmente né maschio, né femmina, né uomo, né donna.
Pensare a Dio come sessuato è un tipico errore dell’antropomorfismo, non ha differenze sessuali perché per definizione è fuori dal tempo e delle contingenze mondane.
Per dirla con Benedetto XVI, «Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui»1Ratzinger J., Dio e il mondo, 2001.
In un periodo storico in cui è in voga il linguaggio neutrale, anche in alcune aree del cattolicesimo si è arrivati ad accusare di “sessismo” il tradizionale riferimento a Dio come un soggetto maschile.
Alcuni antropologi hanno anche notato che le prime concezioni divine dell’uomo erano femminili (la dea madre)2Stone M., When God Was a Woman, 1976, almeno fino alla comparsa del giudaismo.
Occorre infine ricordare che sia Giovanni Paolo II che Papa Francesco hanno più volte sottolineato alcune caratteristiche di Dio molto più simili a quelle di una madre, chiaramente senza alcuna intenzione di prestare il fianco alle mode dei tempi moderni.
Dio al maschile: più appropriato filosoficamente
Al di là di questi tratti femminili, la secolare tradizione teologica ha sempre caratterizzato Dio in termini maschili. Anche nei nostri articoli ci riferiamo così a Lui.
Ci sono buone ragioni filosofiche per farlo, senza cadere in alcun tipo di sessismo.
Alcune delle ragioni per rivolersi a Dio più opportunamente al “maschile” piuttosto che al “femminile” sono state esposte3Feser E., Five Proofs of the Existence of God, Ignatius Press 2017, pp. 246-248, molto semplicemente dal filosofo cattolico Edward Feser, docente al Pasadena City College.
Innanzitutto la teologia naturale ha buoni argomenti per concludere filosoficamente (non fideisticamente) che in Dio vi siano intelletto e volontà, perciò certamente non ci si può rivolgere a lui in termini impersonali come “esso”.
Ma perché usare “lui” e “il”, piuttosto che “lei” e “la”?
Il motivo, spiega Feser, è che Dio ha con il mondo qualcosa di più simile ad un rapporto paterno che non a uno materno.
Parlando in termini strettamente biologici, ad esempio, il ruolo di un padre nell’atto procreativo è attivo nella misura in cui insemina, mentre quello della madre è passivo nella misura in cui viene inseminata.
Non c’è inoltre alcun cambiamento nella fisiologia di un padre in conseguenza dell’inseminazione, mentre c’è un cambiamento radicale nella fisiologia della madre.
Anche se vi sono madri single totalmente indipendenti dall’uomo, anche se vi sono padri che non adempiono ai loro doveri, in una situazione ordinaria il ruolo del padre è provvedere al benessere della madre e del bambino non ancora nato.
Durante il processo di gestazione vi è anche un legame fisiologico tra il bambino e la madre, mentre lo stesso non avviene tra il bambino e il padre.
Tutto questo ha analogie evidenti con il rapporto che Dio ha con il mondo.
Dio è attivo nella misura in cui crea il mondo, mentre il mondo è passivo nella misura in cui è creato.
Dio è totalmente immutabile (in gergo aristotelico si direbbe che è pura attualità e non ha potenzialità da attuare), mentre il mondo è un misto di attualità e potenzialità e infatti è in continuo cambiamento.
Il mondo dipende inoltre interamente da Dio, in ogni istante, mentre Dio non dipende in alcun modo dal mondo. Dio è anche totalmente distinto dal mondo piuttosto che essere identico ad esso (come nel panteismo) o immanente in esso (come nel panenteismo).
Per queste analogie, conclude Edward Feser, «dati gli elementi chiave del teismo classico, il modo più naturale e meno fuorviante di caratterizzare Dio è in termini paterni e quindi maschili».
Dal punto di vista della teologia naturale, se si utilizzasse una caratterizzazione puramente femminile di Dio si suggerirebbe di fatto che Dio è mutevole o continuo con il mondo, il che presupporrebbe una concezione panteista o panenteista di Dio. In ogni caso tale visione sarebbe in contrasto con i classici attributi divini come l’immobilità, l’immaterialità, l’eternità e l’attualità pura di Dio.
Dio al maschile: più appropriato teologicamente
A questi argomenti prettamente filosofici bisognerebbe aggiungere che la Bibbia contiene quasi 200 riferimenti a Dio come “Padre” e in nessun caso come “Madre”.
Qualcosa vorrà pur dire per chi la ritiene divinamente inspirata?
Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento vengono inoltre usati ripetutamente i pronomi maschili per fare riferimento a Dio.
Lo stesso Gesù Cristo si è riferito varie volte a Dio come Padre, nessuna volta come Madre. Ad esempio:
- “Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli…” (Mt 6,9);
- “Perché chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio che è nei cieli, quello è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,50)
- “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice” (Mt 26,39);
- “In verità, vi dico: il Figlio non può fare nulla da se stesso, se non vede fare dal Padre; quello che il Padre fa, anche il Figlio così fa” (Gv 5,19);
- “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se voi mi conosceste, conoscereste anche il Padre mio; e fin d’ora lo conoscete e lo avete veduto” (Gv 14,6-7);
- “E quando state pregando, perdonate, se avete qualcosa contro qualcuno, perché anche il vostro Padre che è nei cieli vi perdoni i vostri peccati. Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà i vostri peccati” (Mc 11,25-26);
- “E diceva: Abba, Padre, tutto ti è possibile; allontana da me questo calice; tuttavia non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc, 14-36);
- “Io ti lodo, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai saggi e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto davanti a te” (Lc 10,21);
La storia non si cambia e certamente non la cambiano le mode, neppure quelle teologiche.
I profeti dell’Antico Testamento e gli apostoli del Nuovo Testamento si riferiscono sempre sia a Dio che a Gesù Cristo con nomi e titoli maschili, in nessun caso con nomi e titoli femminili.
E’ la Chiesa a essere donna e l’importanza di Maria.
Nonostante questo, da sempre la Chiesa ricorda anche la tenerezza materna di Dio Padre, incarnato in suo figlio Gesù, sposo della Chiesa.
E la Chiesa, spiega Papa Francesco, «è donna, è “la” Chiesa, non “il” Chiesa, è sposa di Cristo, è madre del santo popolo fedele di Dio».
Inoltre, aggiunge, non esisterebbe alcun cristianesimo senza Maria di Nazareth, una donna che nella teologia è elevata al di sopra di chiunque, «più importante degli apostoli».
1 commenti a Perché è giusto riferirsi a Dio al maschile?
Sarebbe vieppiù corretto riferirsi con “Esso” così i rischi di antropomorfismo vengono definitivamente fugati 😀