Federico Rampini, meriti e demeriti di “Grazie, Occidente”

federico rampini

La nostra dettagliata recensione dell’ultimo libro di Federico Rampini, Grazie Occidente (Mondadori 2024). Ecco i meriti e i demeriti del suo ultimo volume.


 

Federico Rampini è tra gli intellettuali italiani più interessanti.

Pur provenendo da un certo ambiente politico-culturale (ex militante del Partito Comunista Italiano) da diversi anni non si fa problemi a remare controcorrente.

Giornalista, editorialista de Il Corriere della Sera, scrittore e saggista, grazie alla sua esperienza internazionale è stato corrispondente estero per diverse testate nazionali, con un focus particolare sugli Stati Uniti e la Cina.

Rampini è autore dell’apprezzabile saggio Grazie, Occidente (Mondadori 2024), nel quale analizza in maniera positiva i benefici che l’Occidente ha apportato al mondo, nonostante le critiche che spesso gli vengono rivolte soprattutto dalle correnti progressiste.

 

Federico Rampini e la critica al progressismo woke

Per molti l’inizio del disallineamento radicale di Rampini con la retorica unica dei grandi media è iniziato nel 2020.

Denunciò in solitaria le pesanti ombre del Black Lives Matters, il movimento nato in seguito all’uccisione di George Floyd per mano di un poliziotto bianco, ben presto trasformatosi in un gruppo di violenti estremisti coccolato da tv e giornali progressisti.

In realtà Federico Rampini ha iniziato a criticare apertamente il progressismo nel 2010, con Alla mia sinistra (Mondadori 2011) ha parlato della “sbornia” ideologica degli anni 2000, esprimendo perplessità sulla direzione che la sinistra stava prendendo a favore dei temi identitari e di battaglie care alle élite globali, disinteressandosi delle classi medie e popolari.

Ha poi continuato questa riflessione nel libro La notte della sinistra (2019), dove criticò ulteriormente il progressismo per aver smarrito la sua connessione con il popolo.

Vivendo negli Stati Uniti dal 2009, Rampini sente più di noi italiani la pressione della nascente woke culture, il vittimismo esasperato e, spesso ingiustificato, delle minoranze che legittima un eccesso di correttezza politica e soffoca il libero pensiero attraverso atteggiamenti eccessivamente moralistici o, addirittura, di “cancellazione” (cancel culture).

Rampini include (giustamente) negli ideologi woke gli antirazzisti infuriati, gli ambientalisti fanatici, i pacifisti radicali, le femministe, gli ex-sessantottini e i loro eredi, i pro-Pal(estina) e la lobby LGBTQ+ (soprattutto la frangia transgender).

Praticamente la fetta maggioritaria del progressismo, che definisce «la sinistra elitaria, quella che domina nella proprietà capitalistica dei social media, a Hollywood, nel mondo della cultura»1Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 160.

La stessa che per tutte le indagini demoscopiche soffre dell’epidemia della tristezza, della depressione, dell’ansia, della disperazione2Are American progressives making themselves sad?, The Economist 04/04/2024 3al-Gharbi Musa, How to Understand the Well-Being Gap between Liberals and Conservatives, American Affairs 2023 4Gimbrone C. et al., The politics of depression: Diverging trends in internalizing symptoms among US adolescents by political beliefs, SSM – Mental Health 2022.

E più si è giovani e aderenti alla sinistra progressista, dicono gli studi ampiamenti citati da Federico Rampini, e più si è vittime di questa epidemia5Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, pp. 178-182.

 

I meriti di “Grazie, Occidente” di Federico Rampini

Tra gli obbiettivi degli attivisti woke c’è la storia dell’Occidente, accusato di perpetuazione di ingiustizie sociali, economiche e razziali.

Federico Rampini lo chiama «clima di appiattimento culturale, di conformismo e di indottrinamento che domina tante scuole e università», con il quale si processa l’Occidente «per aver soggiogato e impoverito le altre civiltà» proponendo come espiazione di massa di «cancellare la storia»6Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 33.

Ecco una frase che condensa lo scopo del libro “Grazie, Occidente”:

«”Grazie, Occidente” resta un’espressione impronunciabile, un’oscenità […]. Non siamo più capaci di vedere, capire e insegare quanto la scienza, la tecnologia e l’organizzazioni economica occidentali abbiano contribuito a creare benessere per altri popoli […]. I nostri genitori e nonni cresciuti nel mito della superiorità bianca erano a modo loro ciechi di fronte alle malefatte dell’imperialismo europeo; i nostri figli indottrinati sulla malvagità dell’uomo bianco sono altrettanto ignoranti e superficiali. Il pendolo oscilla da un estremo all’altro e questo non ci rende migliori»7Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 13

Soprattutto nei primi capitoli del libro l’autore si occupa di spostare il pendolo a favore del contributo dell’Occidente nell’esportare progresso, democrazia, economia, cultura, scienza, tecnologia, salute e longevità, medicina, libertà, concezione dell’individuo, giustizia, istruzione, capitalismo, proprietà privata e lo Stato di diritto, benessere materiale, status femminile, innovazioni civili e diritti umani.

D’altra parte, citando ampiamente Ian Morris e Niall Ferguson, storici della Stanford University, è evidente che quasi tutte le nazioni non occidentali abbiano adottato le innovazioni nate in Occidente, copiando da noi il progresso «perché non avevano dubbi che il nostro modello fosse il migliore»8Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 37.

Un altro esempio è quando la rivoluzione marxista portò al rifiuto dell’Occidente, come avvenne ad esempio nella Cina di Mao Zedong.

Quel che si verificò fu un tale arretratezza interna che il successore Deng Xiaping dovette gradualmente riaprire la Repubblica popolare al progresso occidentale (esortando i giovani a lasciare il paese per studiare in Occidente).

 

I demeriti di “Grazie, Occidente” di Federico Rampini

Se dunque Rampini, citando numerosi e validi storici statunitensi, è ampiamente convincente nell’esporre che «la superiorità dell’Occidente è nei fatti»9Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 44, risulta più lacunoso quando prova a spiegare come nasce questa evidente superiorità.

Se non è stato il fatto che noi occidentali eravamo «più aggressivi, sfruttatori e oppressori di tutte le altre razze umane, secondo la “favola morale” insegnata in molte università americane ed europee»10Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 45, allora cosa ci ha fatto sorpassare le altre civiltà?

Federico Rampini non è uno storico e per rispondere si affida purtroppo al sociologo tedesco Max Weber, secondo il quale il progresso e il capitalismo occidentale deriverebbero dalla Riforma protestante.

Si tratta di spiegazioni pop, ampiamente screditate dalla storiografia da oltre 50 anni.

Già nel 1970 Fernand Bruadel, tra i principali storici della Nouvelle Histoire, si lamentava che la «debole tesi» di Weber fosse rimasta in auge per decenni nonostante «tutti gli storici l’avessero contestata» in quanto «chiaramente falsa»11Braudel F., Afterthoughts on Material Civilization and Capitalism, John Hopkins University Press 1977, pp. 66, 67.

 

Il progresso occidentale nasce nei monastici medievali

Il progresso e il capitalismo nacquero nei centri capitalistici cattolici medievali del Mediterraneo, in particolare nelle città-stato italiane alla fine del XI secolo ma, ancora prima, nelle grandi tenute monastiche del IX secolo quando la Chiesa era già pienamente coinvolta nelle più antiche forme di capitalismo12Mumford L., The Myth of the Machine, vol. 1, Harcourt Brace Jovanovich 1967, p. 266 13Dawson C., Religion and the Rise of Western Culture, Doubleday Image Books 1957, p. 63.

«Il dinamismo dell’economia medievale era essenzialmente quello della Chiesa», nota Randall Collins, prestigioso sociologo dell’Università della Pennsylvania, e non si trattava di proto-capitalismo ma «una versione delle caratteristiche evolute del capitalismo stesso»14Collins R., The Sociology of Philosophies: A Global Theory of Intellectual Change, Harvard University Press 1986, pp. 47, 52, 55.

Il capitalismo monastico, soprattutto benedettino, ebbe un impatto profondo sull’ascesa dell’Occidente, soprattutto per l’idea che il lavoro era intrinsecamente virtuoso.

E’ ciò che Weber chiamò “etica protestante“, ma si sbagliava: ignorava che i monaci cattolici, secoli prima della Riforma, avevano «l’etica protestante senza il protestantesimo», usando ancora le parole di Collins15Collins R., The Sociology of Philosophies: A Global Theory of Intellectual Change, Harvard University Press 1986, p. 57.

Lo stesso Rampini espone tutto questo citando autorevoli studiosi che danno torto a Weber, non accorgendosi dell’altalena di contraddizioni in cui incappa.

Un esempio delle contraddizioni di Federico Rampini.

Nel primo capitolo, affidandosi all’anti-cattolico Weber, sostiene che sarebbe stata colpa «della nostra Chiesa cattolica» se non vi fu un ruolo propulsivo tecnologico nelle città-Stato italiane del Trecento, mentre si sarebbe verificato soltanto nell’Inghilterra protestante16Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 54.

Eppure, poco dopo, intitola così il quarto capitolo: “Un’idea di progresso nata in Italia”. In esso spiega giustamente che nei grandi manuali di storia, l’Italia viene definita la madre della rivoluzione scientifica, l’ideatrice del progresso in ambito tecnologico, medico ed economico17Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 54.

Peccato che ritorni poi ad attribuire il merito “ideologico” del progresso occidentale alla Riforma protestante.

Su tutto questo Rampini sembra avere le idee molto confuse, semplicemente perché cerca di far conciliare Weber con studiosi più autorevoli.

 

Il Rinascimento non fu innovatore rispetto al Medioevo

Altro errore di Federico Rampini (che non è uno storico) è cadere nel mito del Rinascimento, ignorando profondamente che le innovazioni rinascimentali furono possibili solo grazie al Medioevo.

Emerge una eccessiva fiducia verso la storiografia dell’Ottocento e del primo Novecento, purtroppo «caduta in amore con l’idea di molteplici rinascimenti che illuminano il medioevo oscuro»18Montesano M., Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy, Palgrave Macmillan 2018, p. 99, come scrive Marina Montesano, docente di Storia medievale all’Università degli Studi di Messina.

Una visione logora del passato, spiega Montesano, che ignora che «l’amore per il periodo classico, la letteratura e le arti era profondamente radicata in epoche precedenti, già intorno all’inizio del secondo millennio, e in molti casi anche in epoca carolingia»19Montesano M., Classical Culture and Witchcraft in Medieval and Renaissance Italy, Palgrave Macmillan 2018, p. 99.

Sempre gli studiosi citati dallo stesso Rampini evidenziano che non è esistito alcun Rinascimento, ma semplicemente un “Lungo Medioevo”, come ripetuto per decenni dall’eminente Jacques Le Goff, in particolare in Il tempo continuo della storia (Laterza 2014), in cui minimizzò l’impatto dei cambiamenti culturali e politici del Rinascimento.

Rampini ad esempio cita il sociologo Robert Nisbet, il quale spiega20Nisbet R., History of the Idea of Progress, 1980 che l’Italia fu la culla geopolitica di una concezione di sviluppo risalente «ancor prima che al nostro Umanesimo, al pensiero greco-romano, poi al cristianesimo di Sant’Agostino»21Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 54.

Oppure, riporta il pensiero di Lawrence M. Principe, storico della scienza alla Johns Hopkins University, quando scrive che la rivoluzione scientifica che cambiò il modo di studiare il mondo e preparò ondate di innovazioni che salvarono l’umanità dalla fame e dalle malattie ebbe l’antefatto alla fondazione delle università nell’Italia del Medioevo, tanto che «gli sviluppi chiaramente moderni in campi come la medicina, l’ingegneria, l’economia erano ben stabili in Italia molto prima che apparissero in aree più periferiche dell’Europa di allora come l’Inghilterra»22Rampini F., Grazie, Occidente, Mondadori 2024, p. 53.

E’ evidente che anche L.M. Principe, attribuendo giustamente all’Italia medievale il merito dell’inizio del progresso occidentale tuttora evidente, sta smentendo l’importanza della Riforma protestante e del Rinascimento.

Rampini, pur citandolo, non sembra accorgersene.

Di tutto questo abbiamo dettagliatamente parlato nel nostro dossier sull’origine della scienza nel cristianesimo medievale.


Clicca qui per consultare il dossier:
La scienza nasce nel cristianesimo medievale: analisi storica


 

Federico Rampini, il nostro giudizio su “Grazie, Occidente

Weber individuò correttamente le radici cristiane del progresso occidentale, ma sbagliò nel non accorgersi che esse affondavano più profondamente rispetto al protestantesimo ed erano già radicate nel pieno del Medioevo cattolico.

Rampini riprende questi svarioni storici, ma essi occupano solo una piccola parte del libro.

Il resto di Grazie, Occidente è piacevole e contribuisce coraggiosamente a contrastare la cultura woke e, senza dimenticare le colpe dell’Occidente, ne valorizza i grandi meriti, in particolare nei campi della democrazia, della tecnologia, della libertà individuale e dei diritti umani.

Autore

La Redazione

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