Divorzio breve, una pessima scelta

DivorzioSorpresa: il problema non è più il divorzio, ma i suoi tempi. Non l’agonia di un matrimonio, ma la rapidità delle procedure di sepoltura. Non il fatto che ci si lasci, ma che si perda troppe energie nel farlo. Questo, almeno, il significato che emerge dal testo bipartisan depositato alla Camera dalla democratica Moretti e dal forzista D’Alessandro, che prevede la riduzione ad un anno del periodo di separazione per ottenere il divorzio, ridotto ulteriormente a nove mesi in caso di coppia senza figli minori, e lo scioglimento della comunione dei beni nel momento in cui il giudice autorizza moglie e marito a separarsi.

Al di là del profilo strettamente tecnico-giuridico della proposta, non possiamo sottrarci ad alcune considerazioni di carattere morale – ma non per questo astratte, anzi – che questa iniziativa inevitabilmente stimola. La prima, breve ma emblematica, concerne il fatto che una politica divisa su tutto riesce ad unirsi solo su ciò che divide, vale a dire la rottura coniugale e la necessità di agevolarla: si fa un gran parlare di solidarietà e condivisione e della necessità di contrastare le divisioni, ma quando poi si tratta di concorrere alla frammentazione della famiglia, che della solidarietà e della condivisione è fonte originale, l’unanimità di vedute è straordinaria. Il che rappresenta, si converrà, un amaro paradosso.

Una seconda considerazione riguarda il messaggio distruttivo insito nel cosiddetto “divorzio breve”. Si dirà che se un matrimonio è finito, e marito e moglie non trovano più la forza per andare avanti assieme, tanto vale che possano lasciarsi il più in fretta possibile evitando lungaggini dolorose per entrambi. Ora, a parte che se il Legislatore non ha previsto lo scioglimento coniugale istantaneo, non è certo per inumana crudeltà o per il gusto di infliggere sofferenza bensì come estremo tentativo – sulla cui efficacia è lecito discutere, ma pur sempre tentativo è – di sottolineare con forza la gravità del divorzio e di conseguenza l’importanza del matrimonio, c’è una domanda che pesa.

La domanda è la seguente: quale messaggio lancia ai propri cittadini, ed in particolare alle coppie sposate, un Parlamento che, anziché interrogarsi cercando di trovare il modo per arginare il disastroso fenomeno del divorzio, sceglie di renderlo più celere? E’ un Parlamento che, per quanto possibile, sostiene l’unità della famiglia oppure è un Parlamento che, di fronte alla crisi di coppia, suggerisce a tutti la scorciatoia più facile? E ancora: è realmente neutrale, come si sente spesso dire, uno Stato che dinnanzi all’instabilità coniugale, fra la solidità matrimoniale ed il divorzio scegliere di promuovere, offrendolo in formato light, quest’ultimo?

Se si riflettesse con attenzione su questi interrogativi, si capirebbe quanto la proposta di Moretti e D’Alessandro non stia dalla parte dei cittadini bensì contro il loro bene. Per quanto si possa infatti dire e raccontare al riguardo – e per quanto si stia tentando di indorare la pillola arrivando al punto di proporre ed organizzare grottesche “feste di divorzio” -, in cuor suo non c’è chi gioisca all’idea di un addio, all’idea di dover azzerare la propria vita calpestando una promessa risalente magari solo qualche anno prima, rendendo, se c’è, il proprio figlio o i propri figli testimoni di un fallimento che anche se fosse reso immediato dalla legge, sempre fallimento rimarrebbe.

Non servono dunque menti elevate per comprendere come uno Stato che, evitando di cercare di promuoverne la solidità, decidesse di mettere più dinamite dentro la famiglia per farla saltare prima, giocherebbe un ruolo ancora più distruttivo di quello attuale, scegliendo chiaramente da che parte stare ed assumendosi responsabilità gravissime, soprattutto nei confronti dei giovani e delle future generazioni. Non è difficile, a questo punto, immaginare diverse obiezioni che, in fondo, si possono riassumere in un unico interrogativo: che senso ha chiedere a due persone che hanno smesso di amarsi di protrarre il loro rapporto? Perché aggiungere burocrazia alla sofferenza? Per quale ragione nascondere con l’ipocrisia della legge una verità drammatica e già evidente?

Il nocciolo della questione – venendo alla terza ed ultima considerazione – in effetti è proprio questo: la verità di Amore dichiarato finito. Si è volutamente ricorrere a detta espressione – dichiarato finito -, perché c’è un ultimo interrogativo col quale è opportuno fare i conti: un Amore può davvero finire? La domanda, benché possa apparire provocatoria e a qualcuno persino ridicola, è invece assolutamente centrale. Perché se l’Amore è solamente un intreccio di passioni non solo non c’è da meravigliarsi che finisca, c’è perfino da stupirsi che duri così a lungo da condurre due persone da un fidanzamento, magari di diversi anni, fino al matrimonio. Se però l’Amore è anche (e in alcuni passaggi soprattutto) e volontà e sacrificio, determinazione e sudore, difficilmente può – un po’ come il petrolio di un pozzo qualsiasi – esaurirsi. Né potrà prosciugarsi per una crisi.

Sarà anzi proprio la crisi o le crisi – che è del tutto fisiologico che, negli anni, ciclicamente si verifichino – a rafforzarlo, a cementarlo rendendolo equilibrato e maturo. L’idea che se un giorno volessimo mandare tutto al diavolo – per quanto i problemi di coppia non siano e non debbano diventare affari altrui – la comunità, anziché spianare la strada a propositi disfattisti, possa mettere a nostra disposizione non solo supporti psicologici, materiali o di altro genere (cosa che oggi non avviene) ma soprattutto, attraverso quei supporti, un chiaro messaggio a favore del mantenimento della promessa da noi liberamente fatta ad una persona da noi liberamente scelta, di certo non risolverebbe i problemi. Però ci farebbe sentire meno soli. E ci farebbe capire che la scelta più difficile, quella di ripartire quando ormai sembra tutto finito, rimane la scelta giusta. Altro che “divorzio breve”.

Giuliano Guzzo

36 commenti a Divorzio breve, una pessima scelta

  • giovanni ha detto:

    Cinque anni, tre anni, un anno… Il termine previsto dall’art. 3 della legge 898/70 decorrente dalla comparizione dei coniugi in sede di separazione innanzi al presidente del tribunale si è andato sempre più riducendosi nel corso degli anni, a riprova del fatto che, una volta aperta una breccia, questa si allargherà sempre più.
    Non passerà molto che anche la fase separativa verrà eliminata del tutto ed il matrimonio sarà ridotto ad un mero “contratto” risolvibile ad nutum per la semplice volontà delle parti, tradendo in modo definitivo il “per sempre” che permea la promessa nuziale.
    Inutile starci a girare intorno: la legge crea mentalità, orienta e legittima aspirazioni e desideri conferendo loro il placet di una qualche valenza morale. Ciò che è permesso sul piano giuridico viene percepito come moralmente giusto a livello collettivo.
    Siamo quindi ancora una volta davanti all’esaltazione dell’egoismo e del personalismo, della riduzione di una realtà viva e complessa come il matrimonio ad un fatto meramente intimistico, privatistico e spogliato di qualsivoglia rilevanza pubblica e sociale.
    E ciò appare tanto più strano laddove si ponga mente al fatto che quelle stesse correnti ideologiche promotrici di queste politiche si affannino per ottenre il riconoscimento pubblicistico di realtà aggregative diverse dalla famiglia (e non aggiungo né “naturale”, né “tradizionale”).
    C’è chiaramente la volontà a livello politico di distruggere la famiglia: senza il luogo privilegiato in cui possano strutturarsi persone mature, la creazione di bandieruole smidollate ed eccitabili pronte a seguire le ideologie e gli slogan è assicurata.

  • Dubium sapientiae initium ha detto:

    Quanti matrimoni si sono salvati grazie al divorzio “lungo”?
    Praticamente nessuno. E poi nessuno vieta a due persone che si riconciliano tornare a sposarsi.
    Quanti matrimoni hanno invece sofferto grazie al divorzio “lungo”?
    Tantissimi. Convivenze “obbligate”, figli “incastrati” in situazioni difficili e dolorose, ulteriori incomprensioni, ripicche e chi più ne ha più ne metta…
    Che l’autore lo riconosca: il divorzio “lungo” lo vuole solo chi per motivi ideologici è contrario al divorzio, ma non è che allungando la sofferenza e l’agonia a due persone si dimostri alcunchè… E poi è il discorso di sempre: a una coppia di cattolici nessuno abbliga al divorzio, quindi è sufficiente che si astengano mantenendo fede alla promessa indissolubile che hanno fatto con tanto di solenne rito in una chiesa davanti a tanti testimoni.

    • LawFirstpope ha detto:

      Quanti matrimoni si sono salvati grazie al divorzio “lungo”? Praticamente nessuno.

      Ancora una volta mi suscita quantomeno simpatia il connubio tra il nickname e tanta apoditticità. 😉
      Battute a parte, la sbrighi un po’ in fretta tu: come spieghi l’aumento dei divorzi più si snelliscono gli “aspetti burocratici”?
      Il divorzio “lungo” ha salvato almeno quei matrimoni dove prima delle nozze qualcuno ha pensato: “Mah, ‘sto matrimonio pare roba seria, mica facile poi uscirne: meglio pensarci bene e sentirsi preparati e sicuri!”

      Sarà che il divorzio breve cambia la mentalità, la serietà, la maturità, la cultura delle persone?
      Sarà che oggi ci si sposa pensando: “Massi, tanto se non funge taaac! Divorzio e via!”?
      E dov’è in tutto questo la tutela per chi invece si vuol ancora sposare con l’impegno del “per sempre” (a tutto vantaggio della stabilità sociale e del benessere dei figli), che non può più avere certezze e garanzie su quanto l’altra persona stia prendendo la cosa seriamente?

    • giovanni ha detto:

      Avviso sempre i miei clienti che non ci sarà alcun provvedimento giudiziario che possa metterli reciprocamente al sicuro da ripicche, ritorsioni, diatribe, querele e, in generale, comportamenti ostruzionistici al limite della legalità.
      Si sbaglia se si pensa che una sentenza di separazione o divorzio metta la parola “fine” alla conflittualità restituendo quella tanto agognata serenità agli “ex” coniugi. Mi sono capitati diversi casi in cui, dopo la sentenza sorgono i problemi relativi alla sua concretizzazione ed allora via con le procedure esecutive, il ricorso agli assistenti sociali, lo scambio di lettere con i colleghi ed i ricorsi più o meno fondati ex art. 710 c.p.c..
      Non sai di cosa parli: che significa che due persone che si riconciliano possano tornare a sposarsi? Credi davvero che nel momento in cui si intraprende una strada del genere -hop!- si torna insieme come se niente fosse?
      Anzi, proprio l’accelerazione dei tempi spinge a scelte poco ponderate: il male necessita di una attuazione immediata e deve presentarsi appetibile e a buon mercato (altrimenti nessuno lo commetterebbe); il bene, di contro, costa assai.
      Quindi, anziché incoraggiare a darsi da fare per rimettere assieme i cocci (cosa faticosissima ma vorrei sapere quale grande impresa non richieda un grande sacrificio), le scelte politiche degli ultimi anni spingono a livello socio culturale, secondo le modalità di cui sopra ho scritto, verso l’annientamento della relazione.

      Mentre prima la società metteva i paletti alle inevitabili spinte centrifughe che si originano naturalmente nel rapporto di coppia, spingendo ad una profonda riflessione chi volesse interrompere la convivenza, adesso non solo elimina i paletti ma tira nella stessa direzione.
      Ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: famiglie sfasciate e, consequenzialmente, giovani allo sbando e senza punti di riferimento. E quegli stessi soloni promotori di questo “progresso” poi sono pronti a gridare allo scandalo per le bande minorili, il bullismo dilagante, gli stupri del “branco” e le baby squillo.

      Ma sì, l’ “amore” si cambia come un paio di scarpe: quando stanno strette e si logorano, le si butta via e se ne comprano di nuove!
      Peccato che il prezzo di questo “cambio” pubblicizzato dai corifei del progresso e dei diritti a buon mercato come una succulenta “offerta speciale” sia una truffa bella e buona la cui reale portata la si scopre solo quando, tornati a casa, si apre la confezione delle scarpe.

      • Klaud ha detto:

        Quindi la soluzione è la convivenza forzata? Ma dopo profonda riflessione, naturalmente…

        • giovanni ha detto:

          Ecco, questa risposta banale e sarcastica la dice lunga sulla sottovalutazione del problema.

          La soluzione a cosa? Alla “fine dell’amore”?
          L’amore, quello vero, non quello delle canzonette, non finisce.
          Mai.
          Viene semplicemente ucciso da qualcuno a causa della sua immaturità e superficialità.

          Il divorzio non è una soluzione, è una miserabile pezza.
          E’ il marchio indelebile di un fallimento.

          La “soluzione” è scoprire e maturare in pienezza, da persone adulte e responsabili (uuuuhh! che paroloni nella società del “fai quel che ti pare”) il profondo significato di concetti ormai banalizzati e svuotati di “matrimonio” e “famiglia”, con tutto quello che ne deriva; abbandonare la prospettiva egoistica e individualistica dell’ “io”, a favore del “noi”. E, bada bene, un “noi” che non è soltanto riferito al nucleo familiare, ma a tutta la società su cui si riverberano costi e benefici di scelte solo apparentemente individuali.
          Chissà come mai il matrimonio è, in tutte le società umane, un fatto pubblico, celebrato davanti alla collettività e a ministri o rappresentanti istituzionali…
          Ovviamente, per smontare questa verità, si introduce lentamente, a colpi di dettati normativi (che, come affermato sopra, formano e orientano il sentire comune) la falsa idea che non sia così, che la famiglia sia un fatto personale, chiuso, al massimo, nell’angusto recinto della coppia, e la recentissima proposta di legge procedere di alla separazione consensuale senza passare dal tribunale ma concludendo il procedimento direttamente davanti all’avvocato è un’ulteriore conferma di tale indirizzo.

          Essendo quindi la famiglia una realtà “pubblica”, degradarla ad un piano individualistico e personalissimo significa svuotarne e tradirne l’essenza e le finalità. Ed è quello che hanno fatto in questi anni di “battaglie per il progresso” quegli stessi ipocriti che dall’altro lato si battono per il riconoscimento pubblicistico di realtà la cui rilevanza, di contro, è limitata ad aspetti privati (coppie di fatto, coppie omosessuali…).
          Si privatizza la realtà che fonda la società e, dall’altro, lato si esalta e si pubblicizza ciò che invece, rilevanza sociale non ha.

          Bello!
          Vogliamo una società sempre più “liquida” ed infantile, priva di riferimenti e, pertanto, pronta ad attaccarsi alla rassicurante tetta dell’ “autorità” di turno?
          La ricetta è semplicissima:
          1) ingeneriamo confusione a livello sociale con il martellamento della menzogna, finché l’ideologia non avrè soppiantato la realtà (e “fuochi saranno accesi per dimostrare che due più due fa quattro”);
          2) svuotiamo la famiglia dei suoi pilastri essenziali come responsabilità, sacrificio, perdono, accoglienza, solidarietà;
          3) facciamo credere che sia una cosa che puoi fare e disfare a piacimento, in tempi brevi e a costo zero;
          4) le persone si comporteranno di conseguenza ingenerando conflitti nella coppia e invocheranno “soluzioni” esogene;
          5) noi saremo prontissimi a fornire queste “soluzioni” facndole passare come conquiste di libertà, diritti e progresso (cosa significhino queste parole non lo sappiamo, ma hanno sempre fatto presa a livello emozionale);
          6) faremo sì che queste “soluzioni” siano sempre più efficienti sotto il profilo della demolizione;
          7) a forza di picconat… ehm, “soluzioni”, ecco che avremo distrutto la famiglia;
          8) anche i figli di questi “sfasci” assorbiranno tendenzialmente modelli comportamentali e relazionali disfunzionali, perpetrando così lo status quo;
          9) “nuoooooo!!! emergenza delinquenza minorile: si invoca la mano forte dello Stato”; “baby squillo: proposta di legge del partito XYZ per aprire i bordelli minorili”; “emergenza anziani: proposta di legge per l’istituzione delle case dell’allegro addio“; “crisi economica: sempre più le persone sole che non sanno arrivare alla fine del mese. Il ministro dell’economia promette incentivi”. Tranquilli gente, ci pensiamo noi! Abbiamo sempre a portata di mano le soluzioni che ci chiedete (ma prima dovete votarci, eh?!).

          Non so se il concetto adesso è più chiaro, ma lo ribadisco, dopo tutta sta pappardella: queste “soluzioni” anziché andare alla radice del male che avvelena le coppie, lo alimenta.
          Aggiungo un’ultima riflessione a margine e chiudo qui (ho scritto abbastanza): non so negli altri tribunali, ma nel mio il famoso “tentativo di riconciliazione” previsto in sede di separazione e divorzio innanzi al presidente (che nelle originarie intenzioni assumeva, in forza della sua autorevolezza e del ruolo istituzionale, la funzione di mediatore) è stato del tutto svuotato e adesso è di questo tipo (non scherzo):

          – Presidente: “signora Tizia si vole separare da suo marito?”
          – Tizia: “sì”
          – Presidente: “e lei, signor Caio, si vole separare?”
          – Caio: “no”
          – Presidente: “spiacente, non posso farci niente, ma non perda la speranza, potrete riconciliarvi”.
          – fine del tentativo di riconciliazione –

          • giovanni ha detto:

            Un’ultimaultimaultima considerazione, perdonatemi, ma mi è venuta così, di getto, rileggendo quanto sopra (e scusandomi per i numerosi refusi)!
            Divide et impera: diceva qualcuno.

            E a che ci sono, mi sposto su un piano teologico: chi è il “divisore” per eccellenza?

          • Klaud ha detto:

            Guarda che io non sono favorevole al divorzio, ma vale per me: per gli altri non valgono leggi né buoni consigli.
            Ho detto una banalità in una riga, tu l’hai detta in cinquanta: ho solo constatato qual è il livello medio della ragionevolezza della società. Penso che gente capace di superare consapevolmente il trauma di un amore finito, in percentuale, corrisponda al prefisso di Torino. Senza parlare di quelli/e che prendono il matrimonio come una possibilità di fare carriera semplicemente cambiando partner.

            • giovanni ha detto:

              Allora ho frainteso il senso complessivo ed il tono della tua risposta di sopra (converrai con me che poche parole scritte possono prestarsi a più interpretazioni). 😉
              Quanto alle banalità che ho scritto in cinquanta righe, sai… mi piace evidenziare prospettive che mancano a molti, non si sa mai. Una volta un cliente mi disse in lacrime, dopo che gli avevo fatto un discorso altrettanto “banale”: “avvocato, mai nessuno mi aveva parlato così, nessuno mi aveva detto queste cose”. E se ne uscì dallo studio sorridente e fiducioso nella ricostruzione del rapporto con sua moglie.

        • katy ha detto:

          Anche prima della legge sul divorzio le persone non erano obbligate a rimanere assieme, si dividevano ma per lo meno non erano incoraggiate a farlo dallo Stato.

          • Klaud ha detto:

            Il fatto è che non c’è una via di mezzo: lo stato non ‘incoraggia’ a divorziare, ma se pone difficoltà si torna alla convivenza forzata. Che fare? Per il buonsenso come soluzione, vedi qui sopra come la penso.

            • Katy ha detto:

              Ti ha già egregiamente risposto giovanni, che ringrazio molto! La via di mezzo è che lo Stato non aiuti a divorziare tramite una legge apposita. Legalizzare significa valorizzare, significa riconoscere un bene.

              Senza la legge sul divorzio la coppia che si rompe vive comunque separata, ma per lo meno ci pensa dieci volte prima di farlo dato che non ha alcun aiuto da parte dello Stato. Magari recupera il rapporto e per lo meno il matrimonio e l’amore acquista senso e non lo si vive più come una cosa temporanea.

  • Dubium sapientiae initium ha detto:

    Caro Giovanni, io mi chiedo se in Francia, in Spagna, in Svezia… i minori sono meno tutelati o le decisioni dei giudici sono prese più a cuor leggero perchè le coppie che interrompono la loro convivenza lo possono fare anche dal punto di vista legale in tempi brevi… E mi chiedo anche se quei paesi presentano tassi superiori di “bullismo dilagante, stupri del “branco” e baby squillo…” che l’Italia.
    Dato che non succede così, sorge spontanea la domanda: ma il divorzio lungo allora cos’è? Una condanna o una sorta di punizione che deve pagare chi affronta una separazione? E quale Stato è da considerarsi tale se la infligge in maniera così indiscriminata a chi per necessità, per vicissitudini della vita o anche a chi la vive per responsabilità altrui, si trova a dover compiere questo difficile passo?

    • giovanni ha detto:

      Caro “Dubium”, non so come vadano le cose nei paesi da te citati. Sono un operatore del diritto italiano, per cui mi limito a portare la mia esperienza. Forse lì le cose vanno meglio.
      Forse no.
      Ho speso fin troppe parole sopra e non voglio ulteriormente tediare i lettori.
      Ti faccio solo presente che ogni cosa ha un prezzo, anche in termini di tempo. Ma è illusione pensare che accorciando tali tempi le sofferenze si riducano perché, come ho spiegato, il più delle volte, intervenuta la sentenza, ci sono anni e anni di strascichi – giudiziari e non. Quindi se il prezzo da pagare per tali “snellimenti burocratici” è quello dello svuotamento progressivo della realtà familiare, onestamente non mi sta bene.

      • Dubium sapientiae initium ha detto:

        Se vede cosa succede negli altri paesi forse capisce che la lentezza burocratica non benefica nessuno. Poi secondo me lei commette un grande errore perchè confonde quelli che sono i suoi principi morali con una legge dello Stato che riguarda anche chi non la pensa come lei. Dire poi che in certi casi ci sono strascichi che durano anni non è buona ragione per allungare ulteriormente questo tempo o per far pagare questo dazio anche a chi si separa consensualmente.

        Aggiungo un’ultima cosa, di non poco conto: non capisco perchè la Chiesa si accanisca tanto contro la riforma di un istituto (il matrimonio civile) quando la Chiesa stessa non ne riconosce valore legale. E come se un anarchico (nel buon senso del termine) che non riconosce l’autorità dello Stato ne volesse condizionare le regole di funzionamento. E’ un autentico controsenso.

        • giovanni ha detto:

          Dire poi che in certi casi ci sono strascichi che durano anni non è buona ragione per allungare ulteriormente questo tempo

          Dire poi che in certi casi ci sono persone che vorrebbero tempi più brevi perché gli fa più comodo, non è buona ragione per assestare ulteriori picconate all’istituto familiare.

          Non rispondo sulla mia asserita confusione tra legge dello Stato e morale.
          E taccio anche sul

          far pagare questo dazio anche a chi si separa consensualmente.

          poiché stai confondendo (ti prego, diamoci del “tu”) diversi piani temporali di cui non hai contezza visto che il procedimento per separazione consensuale si risolve al massimo nel giro di qualche mese dal deposito del ricorso.

          E chiudo.

          • Dubium sapientiae initium ha detto:

            Caro Giovanni, te ne vai senza aver spiegato perchè dei ragionevoli tempi burocratici significherebbero “una picconata all’istituto familiare”.
            E poi diciamolo chiaro: l’Italia, pur essendo uno dei paesi più cattolici e dove la Chiesa ha più influenza nelle decisioni politiche, è tra i paesi dove i matrimoni durano meno e dove si divorzia di più, stranamente con più frequenza laddove si è celebrato un matrimonio religioso. Le ragioni vanno quindi cercate magari nel fatto che troppo spesso ci si sposa con il “primo che arriva” e forse ciò è dovuto al fatto che la dottrina cattolica non accetta che si possano vivere diverse esperienze sentimentali prima di accertarsi che la persona che si sposa sia veramente quella giusta e che quindi che l’amore sia vero, reciproco e che possa durare nel tempo.
            Io comunque qualche dato (Istat) lo ho trovato:
            – la separazione è soprattutto consensuale, il che avviene nell’85,5% dei casi, cade quindi anche l’argomentazione dell’attenuazione del problema della litigiosità.
            – l’Italia è uno dei paesi UE dovi ci si sposa di meno, è ventitreesima su ventisette.
            – in Italia “salta” un matrimonio ogni tre minuti e mezzo. Oggi siamo terzultimi su ventisette e con i tassi di rottura significativamente più alti nel mezzogiorno, dove sono maggiori i matrimoni religiosi.

            Ora, essendo l’Italia uno dei pochi paesi che mantiene ancora il “divorzio lungo”, non è che le ragioni delle crisi matrimoniali vanno cercate in altro ambito?

            Prova a riflettere…

            • Norberto ha detto:

              Per riflettere bisogna portare dati e non luoghi comuni, per questo non sei la persona adatta a riflettere.

              I dati dimostrano che i cattolici divorziano meno degli altri: http://nineteensixty-four.blogspot.ca/2013/09/divorce-still-less-likely-among.html

              I dati dimostrano che la convivenza e la sessualità prematrimoniale aumenta le probabilità di divorzio. https://www.uccronline.it/2012/06/10/la-famiglia-tradizionale-e-migliore-della-convivenza-e-la-coppia-di-fatto/

              Tutti i tuoi dati invece sono privi di fonte.
              Oltre a riflettere impara a confrontarti.

            • giovanni ha detto:

              Caro Giovanni, te ne vai senza aver spiegato perchè dei ragionevoli tempi burocratici significherebbero “una picconata all’istituto familiare”

              Come sarebbea dire?
              L’ho spiegato in italiano corrente in tutti i miei lunghissimi interventi.
              Quindi delle due l’una: o mi stai provocando per esasperarmi, o c’è una difficoltà comunicativa da me a te.
              In entrambi i casi trovo inutile trascinare la discussione tantopiù che hai dimostrato di avere le idee un tantinello confuse su come si svolga un procedimento di separazione o divorzio e su cosa siano effettivamente i tempi burocratici (vedi il “dazio da far pagare a chi si separa consensualmente”).

              Sul resto, ti ha risposto Norberto. 😉

              Cordialità.

              • giovanni ha detto:

                A proposito dei “tempi burocratici”.

                Chiedo perdono se intervengo un’altra volta, ma ho riflettuto su quanto affermato qui sopra da “Dubium” ed a quanto certi aspetti sfuggano a chi non mastica la materia (e poi magari si mette a pontificare sulla base del “sentito dire”).
                Quindi mi sento di dover precisare, a vantaggio di chi sia davvero interessato, quali siano davvero i rallentamenti burocratici nei procedimenti di separazione e divorzio.

                La lunghezza dei processi che i politici di turno usano artatamente come grimaldello per inserire delle riforme come quelle citate (riduzione del tempo tra separazione e divorzio e degiurisdizionalizzazione del procedimento di separazione in alcuni casi) esiste senza dubbio, ma non è determinata dai tempi previsti dalla legge, besì dalla pessima organizzazione degli uffici giudiziari.

                Mi spiego meglio.
                Tralasciando la cronica carenza di organico di magistrati, cancellieri, commessi e funzionari, lo sapete che nonostante esistano delle sezioni specializzate del tribunale per trattare certe materie (come ad es. lavoro e fallimento), non esiste una sezione specializzata per la famiglia?
                Come effetto, i ricorsi per separazione, divorzio et similia finiscono sul ruolo generale ordinario, mescolati insieme alle altre migliaia di cause civili. Quindi al momento della fissazione dell’udienza presidenziale (e, in caso di contenzioso, delle udienze istruttorie), questa slitterà alla prima occasione utile, nel primo “varco” libero di un ruolo che contiene cause di ogni tipo (contratti, società, risarcimento danni, questioni successorie e condominiali…). Di conseguenza, come mi è capitato, se deposito un ricorso per separazione giudiziale a dicembre, la prima udienza mi slitta a giugno! Se si tratta di consensuale i tempi sono solitamente più brevi. E tutto ciò stride con la necessità di rispondere tempestivamente alla siuazione di fatto “fotografata” nel ricorso e che, fino all’udienza presidenziale (in cui devono essere presi i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse della prole e del coniuge economicamente più debole), si evolve a volte drasticamente.

                Non so se mi sono spiegato.
                L’istituzione di una sezione specializzata per la famiglia, con giudici che trattino questo ramo del diritto con la dovuta sensibilità e competenza e con un ruolo apposito espunto dalle altre cause la cui soluzione non presenta i caratteri di urgenza tipici della crisi familiare, ridurrebbe di molto le attese e risponderebbe maggiormente alle istanze delle parti coinvolte.

                Ecco, questi sono i “tempi burocratici” che necessitano riduzione qualificabile davvero come “conquista di civiltà”.
                Quando il politico di turno sbandiererà questo tipo di riforma sarà credibile. Per il resto, come già spiegato, fanno solo demagogia da due soldi cui gli ignoranti (cioè, che non sanno come vanno le cose e argomentano sul “sentito dire”) abboccano irrazionalmente.

                Scusate ancora, ma davanti alle cretinate di chi vuol salire in cattedra senza cognizione di causa e che mi chiede di riflettere sul mio pane quotidiano, non posso fare a meno di rispondere.
                Sono apertissimo a critiche e commenti sensati su questi temi da parte di colleghi o altri operatori del diritto o di chi voglia confrontarsi con intelligenza e pacatezza.

        • Sophus Lie ha detto:

          Caro Dubium,
          sono perfettamente d’accordo.

          In quanto liberale sono convinto che se uno vuole seguire i dettami del Papa, dell’Ayatollah o del Mostro degli Spaghetti Volanti è dovere dello Stato permettergli questa libertà.

          Ma è una violenza odiosa il l’imporre a tutti gli altri questo stile di vita. Anche perché così si fa confusione con temi che invence non riguardano la libertà personale e che invece sono più che discutibili.

          Esempio 1. Se voglio suicidarmi, lo Stato deve permettermi questa libertà. Se voglio uccidere qualcuno, lo Stato deve proibirmelo perché invado la libertà di un altro.

          Esempio 2. Se due gay vogliono sposarsi (civilmente, questo è ovvio), lo Stato deve rispettare il diritto di queste persona fisica dotate di capacità giuridica. Se due gay vogliono fabbricarsi un bambino in provetta e poi tenerselo, lo Stato deve chiedersi se questo possa essere lesivo in qualche modo della crescita del bambino, ed agire di conseguenza.

          • LawFirstpope ha detto:

            Pongo anche a te questa domanda: cos’è la libertà?

          • Katy ha detto:

            Ancora commenti banali: la legge è educativa, crea una mentalità ed educa le persone. Il cambiamento della società introdotto da una legge lo subiscono tutti, non solo quelli d’accordo.

            Il divorzio ha distrutto le famiglie, anche molte famiglie contrarie al divorzio che non avrebbero mai divorziato senza una legge.

            Il tuo è solo sessantottinismo del “vietato vietare” riproposto in salsa moderna. Siete rimasti lì…

          • Marco S. ha detto:

            E quindi sig. Sophus Lie ? (Lie ??????)

            Forse ho letto male gli interventi contro il divorzio breve fin qui sottopostiLe.
            Forse mi e’ sfuggito l’intervento di qualcuno che Le ha gia’spiegato che il matrimonio non e’ istituito nell’interesse dei singoli coniugi e quindi non e’ un diritto.

            E’ un istituto giuridico, che sussiste per perseguire una finalita’ sociale, che e’ esattamente quella di incoraggiare l’unione stabile(dicesi “stabile”) tra uomini e donne, per costituire la cosiddetta famiglia.

            Pertanto, abbreviare i tempi del divorzio credo sia una contraddizione di termini, come uno che tifasse il Milan, ma anche l’Inter, una sorta di folle punta-tacco con acceleratore e freno.

            Credo che soltanto il totale travisamento dei concetti giuridici, che mi pare operato da questa societa’, possa permettere di presentare la cosa come una una “furbata” e non come una scempiaggine.

            Infatti, se davvero le persone non fossero piu’ in grado di conseguire le finalita’ sociali dell’istituto giuridico del matrimonio, in maggioranza superando anche gli inevitabili momenti di crisi, credo sarebbe piu’ serio abolire questo istituto e far risparmiare al contribuente le sue preziosissime palanche.

            Mi offro da subito di firmare per il referendum.

        • LawFirstpope ha detto:

          Aggiungo un’ultima cosa, di non poco conto: non capisco perchè la Chiesa si accanisca tanto contro la riforma di un istituto (il matrimonio civile) quando la Chiesa stessa non ne riconosce valore legale. E come se un anarchico (nel buon senso del termine) che non riconosce l’autorità dello Stato ne volesse condizionare le regole di funzionamento. E’ un autentico controsenso.

          Legale? La Chiesa non dice che è illegale! Semmai non ne riconosce il valore sacramentale che è diverso.
          Comunque i Cristiani sono anche essi cittadini e in quanto tale hanno diritto di esprimere democraticamente la società in cui vogliono vivere.
          Credere che certe scelte siano circoscritte alla sola vita dei singoli individui che le attuano e non riguardino in alcun modo la società (e, quindi, in ultima istanza l’ambiente della nostra vita) è, oltre che egoistico, ideologico.

          • Dubium sapientiae initium ha detto:

            Valore legale ovviamente si riferiva all’ambito della legge della Chiesa.

            • LawFirstpope ha detto:

              Beh, ma allora… A te che te ne va in tasca? 🙂
              Invece alla Chiesa in tasca gliene va perché il matrimonio sacramentale ha anche valore legale!

  • sheyla bobba ha detto:

    Alle dichiarazioni reboanti della relatrice in commissione giustizia, on. Moretti, ora impegnata in campagna elettorale per le europee e quindi più incline a spararle particolarmente grosse; e dopo le dichiarazioni altrettanto scioccanti del ministro Orlando in merito alla degiurisdizionalizzazione del procedimento di separazione in caso di consensuale, quando non ci siano figli minori o portatori di handicap, è bene fare chiarezza per evitare di alimentare false speranze a fini elettorali o di vendita articoli…

    – See more at: http://www.senzabarcode.it/2014/05/divorzio-breve-troppo-ottimismo-piu-facile-dire-che-fare/#sthash.86CvfP29.dpuf

  • yeneisi ha detto:

    Ma quando comincia il divorzio breve??

  • Marco ha detto:

    La prima reazione dopo aver letto le vostre riflessioni è che la miglior cosa da fare è non sposarsi. Riconoscere i figli che dovessero venire al mondo, contribuire a tutti gli oneri morali, economici e quant’altro insieme alla compagna/o ma fermarsi lì. Del resto non si decide di stare insieme soltanto per aver messo una firma. Compito del Parlamento è consentire ai cittadini di avere a disposizione strumenti giuridici agevoli ed evitare fin dove è possibile lungaggini che prevedono il coinvolgimento di professionisti. E’ la coppia che deve valutare in piena autonomia il da farsi, se cioè ripartire o chiuderla lì.
    Che cosa c’entra in tutto questo il legislatore? I messaggi che dovrebbe dare lo Stato sono altri. Dovrebbe aiutare concretamente chi mette al mondo una creatura, come accade nei paesi civili del Nord Europa e non limitarsi a promuovere cacofonicamente un diritto alla vita privo di qualsiasi risorsa.

    • Marco S. ha detto:

      Lo stato, oltre ad aiutare chi mette al mondo la creatura, forse tende/va anche ad aiutare la creatura medesima, cercando di assicurarle una famiglia stabile, almeno fino allo svezzamento…..se non fino alla laurea.

      Tutto cio’ nella convinzione che questeacreatura, in quanto futuro cittadino, avrebbe tratto grande giovamento psicologico dal crescere in questo contesto, con generale beneficio di tutta la comunita’.

      Se adesso, dopo tanti giri di parole, tante esortazioni ed enunciazioni di alti principi costituzionali, la sostanza del concetto e’ che tutto cio’ e’ impraticabile………beh allora, piu’ semplicemente, forse e’ meglio smontare tutto il baraccone.

      Perché si vogliono i vantaggi della famiglia, per esempio nella reversibilita’ pensionistica, nella successione legale, nel diritto di succedere nei contratti, del regime patrimoniale, etc, se poi ci si vuole riservare la possibilita’ di lasciarsi dall’oggi al domani ?

      Allora non si vuole un matrimonio, ma una convivenza senza impegno verso la comunita’.
      Tanto di cappello comunque….ma perche’ allora la societa’ dovrebbe sostenere degli oneri per qualcosa che si realizza comunque gia’ da se, senza bisogno di altri incoraggiamenti ???

  • paolo ha detto:

    Non ho competenze giuridiche per entrare in merito al possibile disposto normativo.
    Sono solo uno dei tanti che ha maturato la consapevolezza che l’amore non c’era più!
    E dopo diversi anni, il tempo di portare con civiltà e responsabilità, i ragazzi alla maggiore età, ho scelto di dare un senso alla mia vita.
    Sbagliato?
    Immorale?
    Irresponsabile?
    Non ve lo so dire; so solo che stare insieme ad una persona alla quale vuoi bene, provi affetto, stimi, ma che non ami più, non provi più quella dolce ma inebriante voglia di intimità, di …mille altre piccole cose che ti fan sentire vivo era diventato insostenibile.
    Questo, sinteticamente il privato.
    Il pubblico, e qui chiedo umilmente conforto ai giuristi, ossia se un comportamento/necessità umana raggiunge una dimensione tale da doverla normare, trovo che questa debba essere normata nello spirito di risoluzione.
    E’ sbagliata la norma sul divorzio breve?
    Nessuno obbliga nessuno ad utilizzarla , ma lo strumento dev’essere messo a disposizione per evitare drammi peggiori, e parlo per esperienza.
    Ringrazio per l’accoglienza, e lungi da me cercare di convincere del contrario, spero nella celere possibilità di usare o meno lo strumento, senza condizionamenti di parte ( chiesa, corporazioni varie).Cordialità.

    • Norberto ha detto:

      Ciao Paolo,
      1) se l’amore finisce è perché non c’è mai stato. In secondo luogo, anche senza la legge sul divorzio sei libero di non vivere più con tua moglie. La questione è se lo Stato debba favorire la distruzione della famiglia e il fallimento personale e affettivo delle persone.

      2) Nessuno obbliga a divorziare? La legge sul divorzio ha ucciso la famiglia, trasformando l’amore in qualcosa di temporaneo nella mente delle persone e il matrimonio un tentativo come un altro. La legge sul divorzio ha condizionato la società in cui vivono contrari e favorevoli, ogni legge ha delle conseguenze per tutti.

      3) La Chiesa ha il diritto di condizionare, come tu con la tua esperienza hai il diritto di condizionare.

  • Lialà ha detto:

    Cosa c’è da scaldarsi tanto?
    Tanto, al massimo entro ottobre p.v., ci sarà anche il “divorzio cattolico”.
    Kasper docet.