Il dott. Guizzetti: «chi è in stato vegetativo comunica in un modo nuovo»

Dobbiamo alle gemelle Kessler, le famose ballerine della tv nostrana degli anni Sessanta, la rinnovata attenzione della stampa su un tema controverso come quello dell’eutanasia. Le gemelle in realtà parlano di “patto d’amore“, cioè di “staccare le macchine” qualora una delle due si trovasse a cadere in stato vegetativo. Nulla di nuovo, si è tentati di dire. Già nel recente passato simili pretese sono state avanzate da persone che ritenevano la loro malattia e/o stato di vita indegno di essere vissuto e conseguentemente hanno rivendicato il diritto di poter porre fine alla loro esistenza disponendone in modo assoluto, tanto da richiedere l’altrui cooperazione.

Nel caso delle gemelle Kessler la novità è costituita da questa sorta di vicendevole soccorso da esercitarsi materialmente e moralmente in nome dell’amore fraterno e familiare, sulla base di un “patto” manifestato a priori prima di un evento invalidante. Si tratta, come è evidente, di questioni particolarmente spinose sotto il duplice profilo etico e pratico, non volendo qui parlare dei profili normativi. Da un lato il Catechismo della Chiesa Cattolica ritiene “moralmente inaccettabile”, legittimando l’interruzione dell’accanimento terapeutico (nn. 2277-2278). Una risposta tratta dalla esperienza quotidiana con persone in stato vegetativo è quella che meglio può aiutarci a capire e la affidiamo al primario del centro Don Orione di Bergamo, Giovanni Battista Guizzetti.

Sono parole che aprono tutto un mondo sconosciuto ai più: «molto spesso, quando si fa riferimento allo stato vegetativo, non si ha idea di cosa si stia parlando. Si pensa a persone trasformate in soprammobili, quando in realtà si tratta di imparare a capire il loro linguaggio, di avere un nuovo vocabolario per parlare con loro». Si instaurano cioè nuove relazioni in cui «insieme ai parenti impariamo a riconoscere il loro nuovo modo di comunicare, che passa da un movimento impercettibile di una mano o di una palpebra. Una smorfia, che qualcuno liquiderebbe sbrigativamente come un tic, può essere invece una risposta a una domanda che si è fatta, a uno sguardo di affetto, un modo per manifestare uno stato d’animo, perché sì, mettiamocelo in testa, una persona in stato vegetativo prova sentimenti e emozioni esattamente come noi sani». Nascono, dunque, relazioni del tutto nuove mentre quelle che si avevano in precedenza con la persona caduta in stato vegetativo non esistono più. Si riparte daccapo con un nuovo tipo di relazione, da costruire poco per volta.

Nessuno si augura di ritrovarsi con un familiare in una simile condizione, questo è evidente, ma bisogna reimparare ad amarlo, in un mutato contesto di relazioni interpersonali che sono pur sempre instaurate tra persone. Che altro aggiungere a quanto detto finora? Le parole del Dottor Guazzetti non abbisognano di altri commenti, che sarebbero a questo punto superflui. Si impone invece l’evidenza di un mondo come quello delle persone in stato vegetativo che sono a tutti gli effetti uomini e donne la cui condizione non è degradata o indegna di essere vissuta. Questo stato di vita non impedisce la relazione intersoggettiva: necessita unicamente di un differente codice di comunicazione e quindi un modo di ascolto diverso ma non per questo privo di senso. Per converso, se guardassimo più da vicino al tipo di relazione che si instaura con l’opzione per l’eutanasia, non potremmo non evidenziare la disparità nel rapporto che si instaurerebbe, poiché: o il soggetto che vuole porre fine alla propria esistenza si impone alla coscienza dell’operatore che deve materialmente agire, oppure l’operatore è il signore della vita di chi vuole smettere di esistere. E’ plausibile parlare ancora di “patto d’amore” in una simile evenienza?

Salvatore Di Majo

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10 commenti a Il dott. Guizzetti: «chi è in stato vegetativo comunica in un modo nuovo»

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  1. Fabio Moraldi ha detto

    Condivido la riflessione finale di Salvatore, ma ovviamente le parole del dottore. C’è chi vuole relegare queste persone a soprammobili o piante. Beppino Englaro considerava Eluana già morta nel 1992. Uno zombie dunque. Chi lotta per la vita, come il dottore in questione, è l’unico a dare dignità a queste persone, regalando loro affetto e spendendo del tempo perché esse tornino a comunicare. Dall’altra parte abbiamo solo un gruppo di persone che gioisce solo quando le vede morte.

  2. lorenzo ha detto

    @Cinzia
    Il mio commento delirante:
    http://www.uccronline.it/2012/02/17/a-tre-anni-dalluccisione-di-eluana-il-punto-sulla-situazione/#comment-52791
    è quasi lo stesso fatto poco sopra da cabellen.
    Ho solo cambiato qualche parola qui e la e, come hai potuto notare, cambia tutto il senso del discorso e la reazione di chi legge.
    Questo per dimostrare quanto è facile manipolare la mente, gli umori e le opinioni delle persone.
    Quello che conta sono solo i fatti reali, e la realtà dei fatti dice che un padre ha ottenuto da un giudice l’impunità ed il benestare per far morire di fame e di sete la propria figlia non in grado di alimentarsi autonomamente.

    Leggiti bene l’articolo e dimmi per quale motivo una persona in stato vegetativo non dovrebbe avere il diritto di veder tutelato il proprio diverso modo di vivere la vita?

  3. Gennaro ha detto

    Mi piace molto questo approccio alla malattia è l’unico che valorizza la persona. Mina Welby potrà dire quello che vuole ma è la prima ad aver mancato di rispetto a suo marito.

  4. Draven ha detto

    Purtroppo uno dei più grandi problemi in Italia (non conosco la situazione all’estero) è la mancanza di strutture adatte ad ospitare persone in queste condizioni, spesso le difficoltà per una famiglia diventano vere montagne da scalare e parlo per esperienza diretta avendo avuto mia madre in stato vegetativo.

    Non avrei mai fatto staccare le macchine in nessun caso ma credetemi che il peso psicologico è enorme i disagi da affrontare non sono uno scherzo, è qualcosa che ti cambia totalmente la vita. Oltre al malato bisogna seguire anche la famiglia del malato stesso, non ci sono adeguati supporti, poche, vaghe e confuse informazioni da medici impreparati sull’argomento negli ospedali, questo per disorganizzazioni varie.

    Non do colpe ai medici di tali mancanze ma su questo argomento è veramente il caos, ne ho sentiti di tutti i colori dai dottori, sono i primi a saperne realmente poco. Sono pazienti che hanno bisogno di stimolazioni continue, reagiscono a tratti, hanno ovvie complicazioni e debolezze dovute ai farmaci, quindi non è mai facile capire quando ti danno dei segnali.

    Mia madre fu ricoverata in una struttura dove fu curata e seguita fisicamente in modo “ottimale” ma aveva bisogno di essere seguita come una paziente speciale e purtroppo in Italia sono pochi quelli che sanno quello che devono fare in questi casi, soprattutto nelle strutture pubbliche. Abito a Roma, non in una piccola cittadina di provincia eppure qui non ci sono strutture pronte ad affrontare il caso, tranne due o tre ma che hanno i letti contatissimi (ed anche “arrendevoli”, aveva 60 anni, tracheotomizzata ed era più facile recuperare un 20enne nelle sue stesse condizioni, quindi nella lista sarebbe stata negli ultimi posti tra le persone da accettare) e quindi, nel momento in cui l’avevano stabilizzata fisicamente, decisero di mandarla a Cassino, a 140km di distanza, 280 andata e ritorno, vi potete immaginare i disagi (siamo solo io e mio padre in famiglia) ma avremmo affrontato tutti i sacrifici necessari…Ma poi scoprirono il giorno del trasferimento che mia madre aveva un bozzo in testa, insomma per farla breve (e senza fare polemiche) la ricoverarono in neurochirurgia per un’operazione dove dopo una settimana dall’operazione sorsero delle complicazioni che la portarono alla morte.

    Io non voglio nemmeno sentir parlare di eutanasia, bisogna lottare senza demagogie, bisogna rafforzare le strutture assistenziali, in primis per i malati ma anche per le famiglie dei malati. L’impatto psicologico è devastante per chiunque, anche per chi ha una fede salda e solida. Certi episodi portano ai familiari disagi enormi, fisicamente, mentalmente e materialmente parlando. Ti trovi a combattere qualcosa che non conosci ed i medici sono spesso specializzati in altro e conoscono poco l’argomento, non hanno armi per lottare (quindi non me la prendo con loro) è un giro vizioso enorme, dove il male è alla radice del problema, cioè nelle strutture e nella ricerca.

    Non voglio giudicare chi teme il coma vegetativo, a cui passa per la testa il desiderio di morte nel caso in cui si dovesse trovare in quella condizione, è una paura motivata (chiamatela debolezza se volete), non ci sono o sono poche le certezze sul coma vegetativo, si conosce (o si divulga) poco ed è secondo me li che trovano un terreno fecondo le persone pro-choice o pro-death, quelli che hanno qualche interesse ad aprire le cliniche della morte.

    I “nemici” veri sono le lacune mediche e strutturali, quelle spingono le persone all’ignoto, al buio e di conseguenza alla paura, è come essere portati in un baratro mentre una mandria di buoi sta correndo verso di te, l’unica scelta plausibile (?) sarebbe buttarsi giù nel baratro, non c’è scelta (?) ed è questo ciò che vogliono far credere, che ci siano solamente due scelte dolorose, ti butti giù nel baratro (eutanasia) o aspetti che i buoi ti trascinino nel baratro (la malattia ti porti alla morte).

    Piuttosto che risolvere il problema e dare risorse alla ricerca è più facile arrendersi alla morte e visto che il problema è appunto di difficile soluzione vogliono far credere alle persone che sia giusto scegliere la via più facile.
    Quindi sapendo come ci si sente ad avere un parente in quelle difficilissimi condizioni, capisco anche se non sono d’accordo con chi vorrebbe l’eutanasia come scelta per se stesso, perché quella scelta sta diventando l’unica scelta e ce lo stanno imponendo, ci stanno portando nel baratro frenando le ricerche, non dandoci la possibilità di Vivere Degnamente in quella condizione, non dandoci la speranza di una cura effettiva, anzi facendoci intendere che quella non è nemmeno Vita.

    Sono migliaia le persone che cadono in stato di coma ogni anno e se non curate adeguatamente diventano casi vegetativi e non voglio credere ed accettare che la risposta è il salto del baratro collettivo!

    La risposta è nel rafforzamento delle strutture, non si tratta di (sola) fede, si tratta di far capire alle persone che le cure ci sono, la possibilità di Vivere degnamente c’è e ripeto che non si tratta di spiritualità ma di cose pratiche e terrene.

    D’altronde San Padre Pio eresse un ospedale perché non sempre possiamo chiedere i miracoli al Signore, ci ha dato l’intelligenza per risolvere i problemi ed i problemi in questo caso sono alla radice, mancanza di ricerca e di strutture adeguate, per zittire i pro-eutanasia bisogna dare risposta a quei problemi.

    I casi di risveglio (i pazienti capivano e sentivano ogni cosa) con ripresa totale o anche parziale ci sono state, tramite stimolazioni ed altre tecniche e cure mediche, quindi perché scegliere la via più facile quando “basterebbe” allargare le altre vie?

    Scusate se sono stato logorroico 🙂

  5. Paolo Coveri ha detto

    PRECISAZIONE
    Il nome del dottore in questione è stato sbagliato. Infatti si tratta di GIOVANNI BATTISTA (non Giovanbattista) GUIZZETTI (non Guazzetti).

  6. Andrea C ha detto

    Scusate la domanda stupida.
    Ma esiste la funzione “stampa l’articolo” o “versione stampabile”?
    Senza dover ricorrere alla stampa della pagina intera unitamente ai commenti.
    Grazie

    • Kosmo ha detto in risposta a Andrea C

      E’ vero, sarebbe bello metterlo.
      Cmq, scusa se la risposta ti parrà stupida, nel frattempo, puoi copiare ed incollare su un documento Word e stampartelo poi. Io faccio così.

  7. Andrea C ha detto

    Grazie, è quello che ho fatto finora. 🙂

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