Il gaio nichilismo, tragico rischio per atei e credenti

gaio nichilismo

Il gaio nichilismo al centro del libro del filosofo Sergio Givone. E’ il rischio della modernità, annegata nel consumismo per anestetizzare la drammaticità della vita.


 

«Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci».

Questa frase di Blaise Pascal è riassuntiva del libro del filosofo Sergio Givone, ordinario all’Università di Firenze.

Il tema è alto, il più alto.

 

Sergio Givone, Del Noce e il gaio nichilismo

Il titolo dell’opera di Givone è Quanto è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione (Sugarco 2018).

Da sempre studioso di Dostoevskij, il noto filosofo definisce il nichilismo come «la forma più estrema di ateismo», forse la più disperata poiché disinteressata, non angosciata.

Augusto Del Noce lo chiamò gaio nichilismo, sottolineando la superficiale e ottimistica percezione della perdita di valori assoluti o trascendenti. La conseguenza? La rinuncia a interrogarsi sul senso dell’esistenza e l’abbraccio gaio e spensierato di una vita priva di scopo ultimo.

Guardandoci attorno potremmo dire che è oggi l’approccio più diffuso all’esistenza, che si tratti di non credenti o credenti nominali.

Le grandi domande, l’urgenza della vita non sono più percepite, sono anestetizzate. Impermeabili a qualunque stupore perché non c’è risposta che regga a una domanda che nemmeno si pone.

«L’ateismo tranquillo, spiega Sergio Givone, «non è consapevole della posta in gioco. Non sapendo cosa ha perduto si ritiene appagato. E’ una pochezza spirituale, uno sguardo rivolto verso il basso».

 

Il consumismo per “non pensarci”

Questo sguardo verso il basso si configura con le distrazioni di cui ci circondiamo per non “guardare in alto”, per sopprimere quel fastidioso desiderio di compimento. A furia di passatempi il tempo, però, poi passa davvero.

Givone li chiama «surrogati di Dio», la Bibbia li definisce semplicemente idoli: tutto ciò a cui affidiamo la speranza di felicità. Può essere la politica, lo sport, i social, gli hobby, l’ambizione lavorativa, il denaro ecc.

Sono surrogati di Dio, dice Givone, quando sono usati per «riempire temporaneamente un vuoto, ma non hanno un sapore soddisfacente. Non a caso i mistici parlavano del sapore di Dio che riempie la vita e rinnova continuamente la parola».

 

La differenza tra ateismo e nichilismo

Al contrario del nichilista, l’ateo che combatte Dio non si lascia facilmente distrarsi dalle luci proposte dal mondo per distrarlo dal profondo di se stesso.

L’“ateo non nichilista”, scrive il filosofo italiano, «pur negando Dio, magari offendendolo, paradossalmente lo afferma. L’ateo è legato a Dio più di quanto voglia ammettere».

Questo ateismo in ricerca, drammatico, è però sempre più raro. E’ quello di Nietzsche, il quale però non è più riferimento dei contemporanei secolarizzati ma viene letto quasi soltanto da credenti.

«Un giorno il viandante chiuse la porta dietro di sé e pianse», scriveva Nietzsche. «Poi disse: “Questo ardente desiderio del vero, del reale, del non apparente, del certo, come lo odio!”».

La differenza tra Nietzsche e i nichilisti moderni è che lui percepiva ancora, pur odiandolo, “l’ardente desiderio del vero”. Ovvero il tragico e onesto riconoscimento che la vita è drammatica perché rimanda continuamente ad un Senso ultimo.

Lo scrittore Vittorio Messori ha reso bene l’idea della differenza tra ateismo e nichilismo con l’esempio del viaggiatore:

«La nostra condizione è quella di uno che si sveglia su un treno che corre nella notte. Da dove è partito? Quando? Perché? Dov’è diretto? Perché questo treno? C’è chi si accontenta di esaminare il suo scompartimento, di verificare le dimensioni dei sedili, di analizzare i materiali. Per poi riaddormentarsi tranquillo: ha preso coscienza dell’ambiente che lo circonda, tanto gli basta, il resto non è affar suo. Che, se poi l’angoscia dell’ignoto prenderà alla gola, ci sarà sempre modo di scacciarla pensando ad altro»1V. Messori, Ipotesi su Gesù, SEI 2001, pp. 11, 12.

I versi di Eugenio Montale rendono ancora meglio l’idea di apatia morale derivante dal gaio nichilismo prodotto dalla cultura materialista e consumista: 

«Forse un mattino, andando in un’aria di vetro arida, rivolgendomi vedrò compiersi il miracolo; il nulla dietro di me, il vuoto alle mie spalle con un terrore di ubriaco. Poi come su uno schermo si accamperanno di gitto alberi, case, colli per l’inganno consueto, ma sarà troppo tardi. Ed io me ne andrò zitto, tra la gente che non si volta, col mio segreto»

 

Il gaio nichilismo per i credenti

I non nichilisti però esistono ancora, sono coloro che -tornando all’esempio di Messori- non si vergognano dello sgomento per la tragicità dell’esistenza e del «silenzio eterno degli spazi infiniti che ci circondano».

Così, invece di starsene tranquillo al suo posto, guardando il buio correre fuori dal treno in corsa, «preferisce girare di scompartimento in scompartimento. Nella speranza, chissà? Di trovare un qualche “orario” che dia un nome e una direzione a questo viaggio che non ha voluto»2V. Messori, Ipotesi su Gesù, SEI 2001, pp. 11, 12.

Non cadiamo nell’errore di pensare che il gaio nichilismo sia un rischio solo per l’ateo, lo è soprattutto per il credente.

Laddove dà per scontata la sua fede o la vive in maniera privata e individuale, quando vive un’appartenenza formale al cristianesimo, una partecipazione per inerzia alla liturgia senza la ferita del problema esistenziale.

Ma come uscire dal nichilismo gaio?

E’ più facile non scivolarci dentro, prevenirlo. Sicuramente smettendo di anestetizzare l’urgenza del senso dell’esistenza e, secondo, smettendo di considerare la fede come “fatto privato”, da vivere individualmente, magari solo online, senza coinvolgersi attivamente in una compagnia umana, che sia un gruppo di amici, la parrocchia, un movimento ecclesiale ecc.

Se la fede rimane quella della domenica e non orienta le decisioni della giornata, allora la vita non è investita da alcuna novità e l’avvenimento cristiano è rimasto esterno.

Vivremo un’esistenza tranquilla, certamente, ma segretamente vuota e beatamente insoddisfatta. Nichilista.

Autore

La Redazione

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