Camerun, la Chiesa si fa Stato in un Paese senza guida

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Alla vigilia delle elezioni in Camerun, la Chiesa è l’unica alternativa al regime quarantennale del presidente Paul Biya. Un compito estraneo ai vescovi in condizioni di normalità.


 

Il presidente camerunese sta per essere rieletto dopo 43 anni di potere.

La tensione politica in Camerun sta esplodendo con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali previste per domani, 12 ottobre 2025.

Il presidente in carica Paul Biya ha 92 anni ed è al comando del Paese dal 1982, ha perfino modificato la Costituzione per abolire i limiti di mandato, aprendo la possibile permanenza quasi centenaria al potere.

 

Il vuoto democratico del presidente Paul Biya

La Chiesa cattolica in Camerun è da tempo l’unico attore critico e credibile capace di sfidare il regime di Biya, dopo decenni di potere personale e crescenti disuguaglianze. L’opposizione politica infatti è frammentata e debole e il principale candidato, Maurice Kamto, è stato escluso dalla competizione elettorale in circostanze controverse.

Pur mantenendo formalmente una struttura “democratica”, diversi osservatori internazionali classificano il Camerun come “non libero” e sottomesso a un “autoritarismo competitivo”.

Il lungo governo di Biya è stato infatti caratterizzato da un crescente autoritarismo, accuse di brogli elettorali, corruzione e un conflitto separatista in corso nelle due province anglofone del paese.

Il presidente in carica, oltretutto, mostra da diverso tempo disinteresse per il Paese, da più di un mese risiede a Ginevra (Svizzera) e non si è neanche presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 25 settembre scorso, dove avrebbe dovuto intervenire. Da mesi non interagisce più con l’opinione pubblica.

 

Ai vescovi tocca prendere il posto dello Stato

«Il presidente sta mostrando disprezzo per il suo popolo», ha tuonato l’arcivescovo Samuel Kleda di Douala, la città più grande del Paese.

In assenza di una leadership pubblica, i 36 vescovi camerunesi hanno dovuto prendere in mano le sorti del Paese e attraverso lettere pastorali ed omelie si sono distinti come analisti eloquenti per la popolazione, arrivando a opporsi apertamente alla rielezione di Biya. L’arcivescovo Kleda è stato interpellato dalla popolazione, dai politici e dai diplomatici stranieri.

La conferenza episcopale camerunese ha anche pubblicato un profilo del suo candidato presidenziale ideale: una persona accessibile alla gente, coinvolta con l’opinione pubblica, sensibile alle sofferenze diffuse, impaziente con i ladri, umile e modesta.

«Siamo arrivati ​​al punto di delineare il profilo del presidente di cui abbiamo bisogno», ha commentato con amarezza mons. Kleda.

Un compito che non compete ai vescovi in situazioni normali, ma quanto sta accadendo in Camerun è ben al di fuori dai criteri di normalità.

 

La Chiesa cattolica in Camerun

D’altra parte la popolazione è molto più legata alla Chiesa che allo Stato, la quale gestisce con professionalità scuole, ospedali e servizi sociali.

E’ l’unica istituzione affidabile in un Paese dove oltre il 60% dei 30 milioni di abitanti ha meno di 25 anni.

Alle celebrazioni eucaristiche di mons. Kleda si recano abitualmente più di 1.000 parrocchiani, un numero infinitamente superiore rispetto a quante partecipino ai comizi elettorali del fine settimana.

Da quando l’arcivescovo ha assunto la guida della diocesi nel 2009, la popolazione cattolica di Douala è raddoppiata. Solo lui ha costruito 46 nuove parrocchie, per un totale di 88 nella sua arcidiocesi.

Alle soglie del voto, il Camerun appare come una polveriera. La sfida lanciata dai vescovi non è soltanto elettorale: è quella di un ordine politico in cui le istituzioni recuperino credibilità e la società civile diventi protagonista.

Così che i vescovi possano tornare al proprio compito naturale.

Autore

La Redazione

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