Bloccanti pubertà, esce finalmente lo studio auto-censurato

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Dopo un clamoroso ritardo è stato pubblicato un controverso studio sui bloccanti della pubertà. Come già anticipato non è stato rilevato alcun miglioramento sulla salute mentale dei bambini, motivo per cui l’autrice LGBTQ+ si era auto-censurata.


 

Alla fine ce l’hanno fatta a pubblicarlo!

Quando una ricerca di ampio respiro e finanziata con fondi pubblici (10 milioni di dollari!) non conferma ciò che i suoi promotori si aspettavano, è giusto chiedersi perché abbia impiegato anni per essere resa pubblica.

È la vicenda dello studio realizzato dalla pediatra e attivista LGBTQ+ Johanna Olson‑Kennedy, direttrice del Center for Transyouth Health and Development presso il Children’s Hospital di Los Angeles che, tra il 2015 e il 2017, ha somministrato bloccanti della pubertà a 95 bambini con disforia di genere, monitorandone la salute mentale per due anni.

Ne avevamo parlato qualche mese fa riportando l’inchiesta in merito del New York Times sul fatto che Olson-Kennedy non voleva pubblicare i risultati perché non evidenziavano alcun miglioramento della salute mentale nei bambini con disforia di genere dopo il trattamento ormonale.

Un’auto-censura, quindi. Almeno temporaneamente visto che poco tempo fa lo studio è finalmente stato pubblicato.

 

Bloccanti della pubertà, lo studio: nessun miglioramento

Se l’obiettivo della ricercatrice Johanna Olson‑Kennedy era dimostrare una significativa riduzione, grazie ai bloccanti della pubertà, dei sintomi depressivi, dell’ansia, del trauma, dell’autolesionismo, e un miglioramento dell’autostima corporea e della qualità di vita, i risultati l’hanno smentita.

Dopo due anni nessun miglioramento statisticamente significativo nella depressione, uno spostamento incerto nella suicidialità (il numero dei casi recenti è sceso, ma non è chiaro se in modo significativo), e nessuna apertura a un significativo beneficio psicologico.

Quindi dove sono i dati che dimostrano che i bloccanti “aiutano davvero”?

È la domanda a cui ha risposto lo psichiatra Kurt Miceli, leader di “Do No Harm” che riunisce medici, psichiatri, studenti di medicina e pazienti critici verso la terapia affermativa di genere: l’indagine non osserva miglioramenti sostanziali della salute mentale, eppure l’adozione di questi farmaci come standard terapeutico è stata sorprendentemente rapida.

 

La letteratura scientifica sui bloccanti della pubertà

La letteratura scientifica più rigorosa, d’altra parte, parla ormai chiaro.

La Cass Review commissionata dal sistema sanitario del Regno Unito ha certificato che l’evidenza a supporto dei bloccanti è debole, spesso basata su studi di scarsa qualità, senza randomizzazione né gruppi di controllo adeguati, e non permette di trarre conclusioni solide su stabilità dell’identità di genere o benessere mentale a lungo termine.

Il report, chiuso nel 2024, ha portato all’introduzione di criteri più cautelativi nel sistema sanitario britannico: oggi i bloccanti sono disponibili solo in ambito di studi clinici controllati.

Nel 2023, 21 ricercatori internazionali ed esperti di medicina di genere (tra cui Riita Kaltiala, responsabile della clinica psichiatrica della Tampere University) hanno sostenuto in un comunicato che non esiste «nessuna prova affidabile che suggerisca che la transizione ormonale sia un’efficace misura di prevenzione del suicidio»1Youth Gender Transition Is Pushed Without Evidence, The Wall Street Journal 13/07/2023.

Più recentemente, un rapporto di 409 pagine del Dipartimento per la Salute e i Servizi Umani (HHS) degli Stati Uniti ha messo a sua volta in discussione la solidità dell’intero approccio farmaceutico per i minori affetti da disforia di genere. Nessuna dimostrazione chiara di benefici a lungo termine, mentre permangono rischi non trascurabili.

Il documento suggerisce invece di privilegiare la psicoterapia comportamentale, almeno fino a che non emerga miglior evidenza a sostegno dei bloccanti, e richiama l’attenzione sulla scarsità di trial clinici controllati.

In Australia, la psichiatra Jillian Spencer, da noi intervistata, è riuscita a coordinare oltre 100 medici e scienziati in un appello per fermare l’uso di bloccanti della pubertà.

Pochi giorni fa ha preso posizione anche la National Association of Practicing Psychiatrists, che ha raccomandato cautela e, in primo luogo, cure psichiatriche.

 

Lo studio di Olson-Kennedy avrebbe dovuto essere un punto di svolta nell’orientare la discussione a favore dei bloccanti della pubertà. Effettivamente orienterà la discussione, ma in senso inverso.

Per correttezza, UCCR ha chiesto alla pediatra americana un commento ma non è arrivata alcuna risposta. Starà continuando ad auto-censurarsi?

Autore

La Redazione

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