Nasconde lo studio perché contrasta l’ideologia trans
- Ultimissime
- 19 Nov 2024
Nuovo scandalo della medicina transgender scoperto dal New York Times. La pediatra Lgbtq+ Johanna Olson-Kennedy, nota attivista e ricercatrice, ha infatti ammesso di aver nascosto uno studio sui bloccanti della pubertà perché i risultati non attestavano alcun miglioramento sulla salute mentale.
Nuovo scandalo legato all’ideologia di genere.
Johanna Olson-Kennedy, pediatra e attivista LGBTQ+, ha condotto uno studio per due anni scegliendo però di non pubblicare i risultati, poiché non evidenziavano alcun miglioramento della salute mentale nei bambini con disforia di genere dopo il trattamento ormonale.
A scoprirlo è stato addirittura il New York Times, solitamente voce del gaio progressismo più sfrenato che però, su questo tema, da alcuni mesi ha fatto marcia indietro.
Il precedente scandalo della WPATH
Il fatto ha creato un polverone mediatico, alimentando l’acceso dibattito in corso sull’identità di genere e avviando un’indagine sulla ricercatrice.
Pochi mesi prima erano emerse (anche qui) alcune e-mail interne della World Professional Association For Transgender Health (WPATH), principale autorità medica sulla transizione di genere.
E’ trapelato che i terapisti di genere ammettevano in privato di eseguire interventi sperimentali a pazienti minorenni, pur sapendo essere cancerogeni e senza il loro consenso informato. Un caso definito (anche qui) lo “scandalo medico del secolo”.
La pediatra LGBTQ+ nasconde la sua stessa ricerca
Ma veniamo alla pediatra Olson-Kennedy, notoriamente schierata per le terapie trans e direttrice della più grande clinica di genere negli Stati Uniti presso il Children’s Hospital di Los Angeles.
E’ infatti una forte sostenitrice dell’intervento ormonale e chirurgico di mutilazione su bambini afflitti da disforia di genere come metodo migliore per salvarli dalla disperazione e dal suicidio.
Ma il New York Times ha rivelato che la ricerca della stessa Olson-Kennedy dimostra che non è vero.
I 95 giovani pazienti che lei e i suoi colleghi hanno osservato per due anni (usando 10 milioni di dollari in sovvenzioni federali fornite dal National Institutes of Health) non hanno mostrato alcun miglioramento.
Così la pediatra ha semplicemente seppellito la ricerca per non portare acqua al mulino dell’ormai nutrito schieramento di ricercatori contrati a tali pratiche.
«Non voglio che il nostro lavoro venga trasformato in un’arma» per convincere altri Stati a vietare le procedure sui giovani transgender, ha dichiarato al quotidiano statunitense.
La scrittrice J.K. Rowling ha commentato ironicamente:
«Non dobbiamo pubblicare uno studio che afferma che stiamo danneggiando i bambini perché le persone che affermano che stiamo danneggiando i bambini useranno lo studio come prova del fatto che stiamo danneggiando i bambini, il che potrebbe rendere difficile per noi continuare a danneggiarli».
Johanna Olson-Kennedy, chi è la ricercatrice trans-attivista
Ma chi è Johanna Olson-Kennedy?
Per chi non la conoscesse, Olson-Kennedy è una pioniera della pediatria di genere e ricercatrice devota all’industria trans.
E’ lei stessa sposata con una donna transgender (donna che sente di essere un uomo), cioè l’assistente sociale Aydin Olson-Kennedy che funge da collegamento tra i minori confusi sul genere e le cliniche pediatriche (inclusa quella di Olson-Kennedy), firmando ogni documento necessario per collocare i giovani pazienti sul “nastro trasportatore” transgender: dalla diagnosi di disforia pre-puberale direttamente all’intervento chirurgico.
Olson-Kennedy è anche presidente eletto della US Professional Association for Transgender Health (USPATH).
In un video emerso nel 2018 sostiene l’idea di mutilare i seni sani di ragazze minorenni affette da disforia di genere, liquidando l’eventuale rimpianto come casistica rara (falso!). Con disinvoltura riferisce che se una giovane vittima di mastectomia avesse manifestato pentimento per la perdita dei suoi seni avrebbe sempre potuto «andare a riprenderseli».
Gli studi scientifici pilotati dalla comunità LGBTQ+
Non deve stupire che la ricerca scientifica sia così facilmente manipolabile dagli attivisti arcobaleno.
E’ all’ordine del giorno il tema del conflitto di interesse da parte degli autori dei pochi studi “favorevoli” alle terapie di transizione.
Basta solo pensare che attualmente le posizioni cliniche favorevoli rimaste si basano in gran parte sugli studi particolarmente scadenti dello psichiatra Jack Turban, attivista dichiaratamente gay.
Esattamente come l’American Psychological Association (APA) è ancora pesantemente influenzata nelle sue posizioni favorevoli all’omogenitorialità dalla sua principale ricercatrice, Charlotte Patterson, a sua volta dichiaratamente omosessuale, convivente, e attivista Lgbt+.
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