La Bibbia a scuola e il plauso di tanti intellettuali

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Una sfilza di studiosi, scienziati e intellettuali a favore della Bibbia a scuola. Ecco quali intellettuali approvano la proposta del ministro Valditara, facendo leva sull’importanza dello studio del testo biblico per accedere alla cultura e al sapere occidentale.


 

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha recentemente introdotto nuove norme che puntano a inserire lo studio della Bibbia all’interno del curriculum scolastico.

L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere una maggiore conoscenza del patrimonio culturale e spirituale che il testo biblico rappresenta, andando oltre il semplice ambito religioso.

Ne abbiamo già accennato commentando la scomposta reazione apparsa sul quotidiano “Repubblica”.

Questa novità sta facendo infatti molto discutere ma nasconde qualche sorpresa, ad esempio alcune perplessità nel mondo cattolico e forti approvazioni in quello laico.

 

La Bibbia a scuola, il nostro commento e i rischi

Per quanto ci riguarda non intendiamo entrare nel merito delle nuove norme, attendiamo di capirne meglio i contenuti prima di giudicare.

Il rischio che vediamo lo diciamo chiaramente: ridurre la Bibbia a uno strumento culturale, appiattirla ad un testo fra gli altri, trascurando l’inspirazione divina e senza un’interpretazione alta e altamente competente, al di fuori della cornice degli studi biblici può portare ad una svalutazione degli intenti per cui è stata scritta.

Allo stesso tempo, tuttavia, meglio un’apertura alla Bibbia che una chiusura, ben venga la sua valorizzazione da parte dello Stato piuttosto che la negazione ideologica già sperimentata durante l’Unione Sovietica.

 

La Bibbia a scuola, il plauso degli intellettuali

Da questo punto di vista apprezziamo, con un po’ di sorpresa, la ricezione molto positiva da parte di diversi specialisti e intellettuali che si sono confrontati seriamente con la proposta di Valditara, indipendentemente dalla componente politica d’appartenenza. Già questo un segno di apertura e intelligenza.

Sul Fatto ne ha parlato Ferdinando Boero, zoologo ed ecologo di fama internazionale, già professore ordinario di Zoologia e Antropologia all’Università di Napoli Federico II e all’Università del Salento, esperto di biodiversità marina ed ecosistemi.

Se in un primo momento aveva criticato le norme di Valditara, ci ha poi ripensato soprattutto grazie proprio allo studio della Bibbia contenuto nelle norme stesse. Un libro che vede importante anche per trattare tematiche relativa alla conversione e transizione ecologica.

Lo scienziato spiega infatti come la Genesi introduca i concetti di biodiversità, soprattutto quando «il Creatore pone un limite: il frutto proibito, il frutto della conoscenza del bene e del male: l’etica».

Ricordando vari racconti biblici, Boero osserva che «la Bibbia ci permette di sviluppare concetti e ragionamenti modernissimi». Perciò, aggiunge lo zoologo, «se fossi un insegnante di scuola sarei entusiasta di insegnare la Bibbia e il latino per introdurre questi argomenti, e da questi spunti ricaverei argomenti per una quantità infinita di lezioni».

Considerando anche l’enciclica Laudato Si’, lo scienziato conclude sottolineando «come siano moderne queste cose, questi concetti, e come la nostra religione sia talmente matura da chiedere la conversione a una scienza. La conversione ecologica è la conversione all’ecologia! La chiede un Papa».

 

Uno sguardo più ampio sulla cultura in generale è quello di Annalisa Ghisalberti, docente di Lettere nella scuola secondaria e Lingua greca presso l’Università Cattolica di Milano.

Da specialista del tema (ha un Master in “Bibbia e Cultura Europea”), su Il Corriereha osservato che studiare la Bibbia per «l’uomo occidentale contemporaneo significa acquisire consapevolezza della propria storia e della propria cultura».

Uno studio laico (l’ora di religione è un’altra cosa), attraverso il quale gli studenti possono comprendere come ha fatto «la religione ebraico-cristiana a diventare fattore determinante dell’Europa cristiana, nelle varie forme della civilizzazione: leggi, arti, cultura, scuola». E permette di «comprendere e apprezzare allusioni e citazioni presenti in opere d’arte e letterarie, in definitiva un modo per ritrovare e per comprendere se stesso».

 

Più critica l’osservazione di Italo Fiorin, presidente della Scuola di Alta Formazione dell’Università LUMSA di Roma. «Ovviamente non c’è nulla di sbagliato nell’introdurre testi di natura religiosa che sono, anche, di rilevanza culturale e letteraria», riflette. A patto però, spiega, di non trasformarla in una proposta identitaria e nazionalista.

 

Su “Avvenire”, Marco Erba, docente di Lettere e scrittore, ha ravvisato come «assolutamente positivo» il richiamo a un approfondimento dei contenuti della Bibbia, sulla quale c’è un analfabetismo spaventoso. E invece «per accedere alla cultura italiana ed europea, studiare la Bibbia è fondamentale».

 

Una firma laica del Corriere della Sera, Massimo Gramellini, ha a sua volta approvato lo studio biblico a scuola perché «un albero non cresce senza le radici — le nostre sono Omero e la Bibbia — ed è importante saper distinguere Alessandro Magno da Carlomagno».

 

Del tema ha parlato brevemente anche Manuela Discenza, docente al Master in Filologia e Linguistica all’Università di Tor Vergata (Roma).

Da un punto di vista prettamente laico, scrive Discenza, occorre prendere atto che «l’80% della letteratura italiana si basa su riferimento biblici perché quello era il contesto di riferimento principale in cui si è sviluppata». Infatti, gli studenti spesso non capiscono i contenuti della cultura e «tempestano di domande sulla Bibbia».

 

Ernesto Galli della Loggia, editorialista de Il Corriere e già ordinario di Storia contemporanea in varie facoltà italiane, è tra gli intellettuali più a favore della Bibbia nelle scuole (essendo tra l’altro collaboratore del ministero).

Ha sfidato infatti «chiunque a sostenere che» il cristianesimo nella storia italiana ed europea «non abbia avuto per più versi una rilevanza storica decisiva. L’ideologia o la dimensione confessionale non c’entrano».

La Bibbia, ha scritto rispondendo alle critiche, «è stata proposta come “grande codice” della cultura occidentale, accanto a Omero e Virgilio, per introdurre i più piccoli al patrimonio letterario e simbolico delle nostre radici».

 

Se il ricercatore di storia contemporanea Filippo Gattai-Tacchi approva lo studio del testo biblico perché semplicemente «avrebbe senso, purché non ci si limiti all’ora del racconto della parabola», Luciano Canfora, eminente filologo e classicista, propone addirittura di iniziare a studiare greco e latino partendo dal Vangelo di Marco.

 

Più orientato sull’aspetto religioso è il commento di Antonio Fuccillo, ordinario di Diritto e Religione presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.

«Conoscere la Bibbia», afferma, «serve certamente a conoscere per crescere. Si persegue quindi il nobile scopo di portare gli studenti a riflettere sulle origini del sacro come lo intendiamo noi».

Conoscere il fenomeno religioso come “matrice di senso”, sapersi approcciare ad esso in modo corretto «è una sfida di civiltà», sostiene Fuccillo. E poi, certo, la Bibbia è la chiave per accedere all’arte e alla letteratura ma anche all’«evoluzione del diritto, la creazione di una scala di valori universali condivisi che amiamo classificare come “diritti umani” che proprio dalle religioni traggono la loro principale ispirazione».

Autore

La Redazione

1 commenti a La Bibbia a scuola e il plauso di tanti intellettuali

  • Cook ha detto:

    L’idea in sé sarebbe davvero interessante. Il punto è che ho 24 anni e so chi gira nelle scuole italiane
    – professori che ancora pensano che fede e scienza siano in contrasto e ridurrebbero la Genesi a una favoletta.
    – professori che ancora ritengono accettabile l’ipotesi mitica su Gesù o comunque strizzano l’occhio all’ipotesi critica. E lo fanno in modo facilone, senza preoccuparsi del fatto che siano state entrambe smentite.
    – alcuni insegnanti di religione che interpretano la Parola come fossero i Mancuso o i Maggi di turno.

    Se a questo aggiungiamo che nelle nostre università girano ancora dei Mauro Pesce che riducono Gesù a un predicatore e nulla più, ignorando le parole stesse del Vangelo… mi dispiace, ma non mi sento sicuro e ho paura che questa cosa posa finire per fare più male che bene. Servirebbero persone preparate e lontane dalla tentazione di presentare letture fantasiose della Parola. In teoria questo si può anche fare, ma nella pratica?