Il vangelo di Marco va retrodatato? Cosa dicono i rotoli del Mar Morto

Il dibattito sulla datazione del vangelo di Marco alla luce del 7Q5, il frammento di papiro ritrovato nelle grotte di Qumran. La tesi di José O’ Callaghan ed il sostegno di importanti papirologi, fino al simposio di Eichstatt. Tutto molto presto dimenticato.




L’Università ebraica di Gerusalemme ha annunciato la scoperta di una nuova grotta a Qumran che avrebbe ospitato i celebri testi del Mar Morto.

Rotoli che contengono i più antichi manoscritti della Bibbia.

Sono ritenuti la più grande scoperta archeologica del 20° secolo, emersero casualmente nel 1947 in una grotta a circa un miglio dalla costa occidentale del Mar Morto. L’ipotesi più accreditata è che fossero stati nascosti dalla comunità degli esseni.


Il frammento 7Q5 rivoluziona la datazione del vangelo di Marco?

La scoperta è ancora più affascinante se si considera il famosissimo frammento di papiro chiamato 7Q5, ovvero il 5° manoscritto rinvenuto nella 7° grotta di Qumran. Su di esso si è scatenata una discussione a livello globale tra papirologi e biblisti, dopo che l’eminente studioso José O’ Callaghan ha identificato nel 1972 il testo del frammento come un brano del vangelo di Marco, per la precisione Mc 6,52-53.

La redazione definitiva di tale vangelo è solitamente indicata intorno al 70 d.c. tuttavia, se O’ Callaghan avesse ragione, significherebbe di fatto retrodatare tale data attorno al 50 d.C. (una ventina d’anni dopo la morte di Cristo) in quanto tutte le ricerche archeologiche escludono che il sito di Qumran sia stato abitato o utilizzato dopo il 68 d.C.

A sostegno dell’ipotesi del papirologo spagnolo intervenne, una decina d’anni più tardi, anche Carsten Peter Thiede, suo collega tedesco di fama internazionale che confermò in modo indipendente l’identificazione di 7Q5 come parte di un rotolo contenente il vangelo di Marco. Inoltre, sostenne che un altro frammento ritrovato, il 7Q4, vada invece certamente attribuito alla Prima Lettera di Paolo a Timoteo (sostenuto, tra gli altri, dal prof. Emile Puech, uno dei cinque responsabili dell’equipe che sovraintendeva tutti i lavori su Qumran).


Favorevoli e contrari alla tesi di José O’ Callaghan

A monitorare gli sviluppi del dibattito -comprese le aspre polemiche- vi furono due settimanali cattolici italiani, Il Sabato e 30 giorni, tutti gli articoli sul “caso Qumran” che infiammò gli anni ’90 sono contenuti nell’interessante libro intitolato Vangelo e storicità (BUR 1995), curato dal teologo milanese Stefano Alberto.

Moltissimi studiosi e papirologi si opposero tuttavia a queste conclusioni, adducendo disparate motivazioni, a molte delle quali rispose lo stesso O’ Callaghan. Tra i critici della tesi del papirologo spagnolo vi furono in particolare Bruce Metzger, padre Joseph Fitzmyer, Julio Trebolle, padre Pierre Grelot, dell’Institut Catholique di Parigi, Émile Puech (a cui è stata data risposta, anche da parte di Carsten Peter Thiede) e Gianfranco Ravasi, membro della Pontificia Commissione biblica. Tutti biblisti, non papirologi.

Alcuni sferrarono incredibili attacchi, anche personali, verso O’ Callaghan e Thiede, uscendo completamente dal campo scientifico.  Se ne accorse anche il prof. Paolo Sacchi, docente di Ebraico e Aramaico all’Università di Torino, che disse: «sulla datazione dei vangeli avvengono fatti sconcertanti. Certi criteri scientifici che si usano per altri testi, quando si arriva al Nuovo Testamento non valgono più» (p. 254).

I principali papirologi si schierarono con O’ Callaghan, come riferì nel 1994 il celebre gesuita e biblista Ignace de la Potterie: «I papirologi si sono mostrati, in questi anni, unanimemente d’accordo: quel testo, di qualunque cosa parli, non può essere stato scritto dopo l’anno 50». Per quanto riguarda le poche lettere leggibili sul frammento, le ricerche tramite il computer hanno dato «ossessivamente una sola risposta: quel brano appartiene al vangelo di Marco» (I. De la Potteire, E’ una scoperta inattesa, “30 giorni” luglio-agosto 1994, citato in Vangelo e storicità, p. 217-219).

Il biblista belga si riferisce all’esame radioscopico sul 7Q5 effettuato nel 1992 dal Dipartimento nazionale di Polizia criminale di Israele, che confermò la conformità con il testo del vangelo di Marco. Un esame informativo venne svolto anche dal teologo protestante Kurt Aland, membro della “parte avversa”, il quale diede esito negativo. Tuttavia il prof. Ferdinand Rohrhirsch dell’Università di Eichstätt dimostrò che Aland usò semplicemente un programma sbagliato (lo smacco fu così forte che il teologo non si presentò al Simposio del 1991).

Infine, il matematico Albert Dou, docente all’università di Madrid e membro dell’Accademia reale di Scienze, dimostrò che la possibilità che 7Q5 non sia identico ai versetti 52-53 del cap. 6 del vangelo di Marco, è di 1 su 900 miliardi .

A sostegno dell’identificazione arrivò un’autorità della papirologia a livello internazionale, Orsolina Montevecchi, emerita all’Università Cattolica di Milano e presidente dell’Associazione Internazionale Papirologi. Intervistata nel 1994, riferì: «come papirologa posso dire che l’identificazione mi sembra sicura. Le cinque righe ancora visibili di cui consiste il frammento corrispondono a Mc 6,52-53. E’ estremamente improbabile la corrispondenza con un altro testo» (in Ricerchiamo senza pregiudizi, in “30 giorni” luglio-agosto 1994, citata in Vangelo e storicità, p. 211-214). Dello stesso giudizio anche Sergio Davis, presidente onorario dell’Associazione Internazionale Papirologi e Giuseppe Ghiberti, presidente dell’Associazione biblica. Favorevoli all’identificazione con il Vangelo di Marco si schierarono anche diversi studiosi protestanti, come il luterano Otto Betz, emerito di Giudaistica ed esegesi del Nuovo Testamento presso l’Università di Tubinga e Rainer Riesner, docente di Nuovo Testamento nella stessa università. Nel mondo ebraico forte fu la voce del prof. Shemaryahu Talmon, biblista presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e uno dei membri ebrei della redazione dei rotoli di Qumran.


Il simposio di Eichstatt su 7Q5

La schiera dei sostenitori si allargò definitivamente durante e dopo il Simposio internazionale di Eichstätt del 1991. Venne chiamata a confrontarsi anche la parte avversa alla tesi di O’ Callaghan che, tuttavia, non si presentò. Durante l’evento presero posizione favorevole Bargil Pixner di Gerusalemme, Bernhard Mayer di Eichstätt, il biblista Benedikt Schwank di Monaco, il biblista Luis Alonso Schökel e l’eminente docente di Nuovo Testamento di Princeton, James Charlesworth.

In particolare anche il papirologo laico Herbert Hunger, docente emerito di Bizantinistica all’Università di Vienna e direttore della collezione di papiri nella capitale austriaca, che affermò: «Io non sono religioso, né un biblista, io sono uno scienziato e come scienziato dico che dal punto di vista strettamente papirologico nessuna discussione è possibile: O’Callaghan è nel giusto».

La prova del papirologo O’Callaghan è andata così a sommarsi a quella dello studioso liberale J.A.T. Robinson, che propose prima di lui una retro-datazione anteriore al 70 d.C. per tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Lo stesso hanno fatto l’eminente biblista Günther Zuntz e il paleografo Colin H. Roberts, collocando a sua volta il Vangelo di Marco tra il 50 a.C. e il 50 d.C.


E’ così importante la retrodatazione del vangelo di Marco?

L’attribuzione di 7Q5 al Vangelo di Marco è importante ma non fondamentale per la storicità degli scritti evangelici, che mantengono intatta la loro attendibilità storica anche se fossero scritti non prima del 70 d.C. Occorre infatti considerare le fonti pre-sinottiche e quelle orali, sviluppatesi e messe per iscritto subito dopo la morte del Cristo (per diversi studiosi anche durante la sua stessa vita).

Come giustamente ha spiegato la già citata papirologa Orsolina Montevecchi, presidente dell’Associazione Internazionale Papirologi, «non c’è nulla da difendere: anche se quello trovato a Qumran non fosse un frammento del vangelo di Marco, il cristianesimo non perde niente. Tuttavia, dal punto di vista testuale e paleografico, che è la mia specialità, è praticamente impossibile che possa trattarsi di un altro testo, magari sconosciuto. Ci sono ben cinque righe di testo sul quale basarci! Al massimo, quindi, questo frammento del vangelo di Marco è databile 20 anni dopo la morte di Cristo» (p. 211-214).

La redazione

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9 commenti a Il vangelo di Marco va retrodatato? Cosa dicono i rotoli del Mar Morto

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  1. Livio ha detto

    Per il cristianesimo sicuramente non cambierebbe nulla la retrodatazione dei Vangeli, anzi ne attesterebbe ancora di più la fedeltà. Il problema è di alcuni biblisti che si trovano in difficoltà con i loro studi acclarati sulla Chiesa primitiva. Preferiscono mantenere il loro piccolo orticello.

  2. Roberto Abate ha detto

    Salve!
    Mi sbaglio o c’è già la certezza che i Vangeli parlino
    di Gesù Cristo ed in gran parte ne riportino i suoi discorsi
    anche se magari non proprio le esatte parole?
    Così come c’è già la tradizione di testimonianza vera
    arrivata fino a noi dai discepoli e ‘apostoli’ di Gesù
    stesso quando era con loro?
    Abbiamo davvero bisogno di altre conferme?
    alla fine di una personale meditazione sul tema penso di sì,
    non abbiamo bisogno di altro ma ne abbiamo bisogno,
    lo stesso bisogno di Tommaso;
    e mi sembra che non ci
    sia nulla di più umano in questo.

    saluti

    RA

    • francesco ha detto in risposta a Roberto Abate

      Per chi ha fede un anno prima o dopo poco cambia, anzi nulla, la fede basta a sè stessa, per chi non crede anche se per assurdo tornasse indietro nel tempo e vedesse Gesù operare miracoli probabilmente non crederebbe ugualmente, del resto è stato così anche 2mila anni fa.

  3. Enrico ha detto

    Argomento molto interessante. Tra coloro che sono contrari all’identificazione di 7q5 con un frammento marciano ho trovato citato uno studio di Amelia Sparavigna, che sembrerebbe apportare un elemento nuovo e decisivo per l’interpretazione del testo. C’e’ qualcuno – anche della redazione – che può spiegare ed eventualmente obiettare meglio questo argomento?

  4. Dante Pastorelli ha detto

    Si legga La Nuova Esegesi di mons. F. Spadafora, grande biblista che ha sostenuto la tesi Callaghan e Thiede e riporta come Ravasi facesse una gran confusione tra lettere greche ed ebraiche.

  5. Giuseppe Guarino ha detto

    ho pubblicato questo libro a sostegno dell’identificazione marciana del 7Q5. Non è detta ancora l’ultima parola.

  6. Andrea ha detto

    Gli ortodossi hanno sempre sostenuto che tutti i Vangeli risalgano a prima del 70 d.C. ma per dirlo non c’è bisogno di tanti studi e prove: basti pensare che in nessun Vangelo si fa notare che la distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70; era stata predetta da Gesù, il che significa che sono stati scritti prima.
    L’articolo comunque è molto interessante e le prove sono convincenti.

    • Licurgo ha detto in risposta a Andrea

      Secondo me questo non è argomento probatorio, come tutti gli ad silentium.
      I sinottici potrebbero non aver citato il fatto della distruzione del Tempio in quanto era scontato che il fatto fosse a conoscenza dei lettori, visto che all’inizio i Vangeli non sarebbero potuti girare per l’intero mondo, ma nelle aree medio-orientali e romane in senso lato (cioè in contatto con l’impero romano), per cui chi si accostava al cristianesimo i riverberi del fatto difficilmente avrebbe dovuto apprenderli dai vangeli anzichè già conoscerli.
      Viceversa, dando per scontato che si fosse avverata la profezia di Gesù sul Tempio, doveva essere per forza essere vera la profezia sulla sua Resurrezione, di cui il Tempio, a detta dell’evangelista, era un’allegoria che i discepoli non capirono immediatamente.

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