Lizzani e il suicidio, un’occasione per riflettere

Carlo Lizzani 
 
di Marco Gabrielli*
*cardiochirurgo all’Ospedale di Cattinara (Trieste)

 

Ho imparato, nel corso delle mia vita, a riflettere su ogni morte di cui avessi avuto notizia. Un po’ per predisposizione naturale, un po’ per educazione, un po’ per la professione di medico cerco di non lasciar passare la morte di nessuno senza pormi delle domande, senza chiedermi anche se non fosse stato possibile evitarla e come: non per cercare un colpevole, ma per capire ed eventualmente migliorare.

Davanti ad un suicidio le domande sono più gravi e le riflessioni più toccanti e pressanti. Non per giudicare, ma per capire e per crescere. Non conoscevo Carlo Lizzani. Non saprei collegare a lui i film che magari ho visto. Ho letto che era un uomo che ha professato onestamente una certa ideologia, uno che ha sostenuto delle idee, uno che ha detto tante cose e tante cose avrebbe avuto ancora da dire. Condivisibili o no, questo non ha importanza.

Si è suicidato lanciandosi dalla finestra. Non ha retto quel “male di vivere” che colpisce sempre più frequentemente. Non ha più sopportato “l’alba di un giorno in cui nulla accadrà” di cui ci parla Pavese. Avrà visto morire tanti suoi amici rimanendo ancora più solo: come tanti ultra novantenni non aveva quasi più nessuno con cui condividere un passato comune e pochi saranno stati disposti ad ascoltare con pazienza i ricordi di un “vecchio” che magari iniziava a confondersi. Non avrà visto realizzarsi i suoi ideali e sarà stato sfiduciato dal mondo che lo circondava. Sarà stato malato. Avrà ritenuto di vivere una vita apparentemente senza senso. Tanti motivi per dire “basta!”. Motivi che mi permetto di giudicare non sufficienti e che la morte comunque non risolve.

La sua tragica morte è stata subito strumentalizzata: il “suicidio” è diventato “eutanasia”, il suo gesto considerato un “gesto di libertà”, l’unica “eutanasia” permessa in Italia. Ma Lizzani si è suicidato: non si può alterare la verità. L’eutanasia richiesta ed esaudita è contemporaneamente un suicidio per chi la richiede ed un omicidio per chi la pratica. Non ci sono altri termini per definire la questione senza mentire. La morte è la stessa, non importa come ci si arriva. Non muore meno un condannato a morte a seconda delle modalità in cui viene eseguita la sentenza: muore e basta. A partire dai primi suicidi, magari di amici, che mi si sono presentati nel corso della mia adolescenza e delle mia giovinezza, mi sono sempre chiesto se avrei potuto fare qualcosa per evitarli. Per le oggettive distanze che mi separavano dal noto regista, temo proprio di no. Avrebbe potuto farci qualcosa qualche altra persona? Non mi permetterei mai di rispondere ad una simile domanda.

Nessuna legge imporrà mai di stare vicino ai propri cari, agli amici più anziani, al vicino di casa che si incontra per la strada. Molto più sbrigativo ed utile fare una legge per permettere l’eutanasia. E’ più facile convincersi e convincere che sia meglio rispettare ed eseguire la volontà di chi decide di farla finita piuttosto che intromettersi, relazionarsi, condividere le sofferenze ed aiutare a superarle o, quanto meno, ad affrontarle insieme affinché chi soffre abbia un sollievo e trovi uno scopo. Troppo facile vivere senza essere disturbati e morire senza disturbare. Una vita senza urti né dolore. Una mentalità che è sempre più comune e sempre più dominante, di cui noi siamo sempre più imbevuti. Un giorno potrebbe capitare anche a noi di voler togliere il disturbo…

Per uno come me, abituato a “non chiedere mai per chi suona la campana”, alla notizia di un suicidio viene facile rivolgere a Dio una preghiera, invocando la Sua Misericordia sul suicida e su di noi che rimaniamo perché possiamo riandare ogni giorno al significato ultimo che da senso e compimento alla nostra vita e perché di questo senso riusciamo ad essere testimoni credibili per chi ci sta vicino. So bene che quella campana suona anche per me.

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20 commenti a Lizzani e il suicidio, un’occasione per riflettere

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  1. Li ha detto

    Non capisco che fretta ha questa gente di morire subito se tanto gli tocca comunque tra pochissimi anni.
    Il male di vivere è dato da molte cose: la perdita di speranza, di lavoro, di motivazioni, persone lasciate a sè stesse molto più che un tempo, la fede che si sgretola sotto i dettami di una società con cui non ci si riesce ad integrare neanche emulando i divi.

    Dio mio, quanto spreco di persone! Ho peso un amico alcuni anni fa ed è stato tragico. Un giovane tra l’altro.
    Ma la colpa non è tutta degli altri, ma anche nostra se non sappiamo chiedere aiuto per vergogna o per paura.
    Ho pensato al suicidio (non di commetterlo, ma alle conseguenze) e mi sono chiesta: e chi resta? Come farà? Come potrà andare avanti con l’idea che non ci vedremo più, non potremo più parlare, aiutarci nel bisogno, partecipare alla vita e così via…
    E’ un atto egoistico, ecco come la vedo io. Oltre che un grave peccato.

    qualcuno vuole andarsene per non dare dispiaceri? Farà solo del male alle persone che lo hanno amato. cambia la vita delle persone in peggio (ho visto una famiglia fortificata nella fede e nella vita di comunità parrocchiale) e certuni potrebbero anche non riprendersi mai più.

    • Alessio M. ha detto in risposta a Li

      Leggendo questo ed altri commenti,
      Posso affermare con una certa sicurezza che gli autori non hanno sperimentato quello che viene chiamato “mal di vivere”

      “Non capisco che fretta ha questa gente di morire subito se tanto gli tocca comunque tra pochissimi anni.”
      Perdonami, ma trovo questa frase di una superficialità sconcertante

      Se posso dare una piccola testimonianza, senza voler dare lezioni a nessuno, dico che ho provato direttamente come ci si sente e anche indirettamente attraverso un famigliare.
      Per evitare di scrivere un discorso interminabile prendo spunti da @Li, sperando non lo consideri un attacco personale, ma credo riassuma bene un atteggiamento comune verso depressione e suicidio.

      Un discorso importante lo merita la “percezione comune” che si ha della depressione: nonostante in modo politicamente corretto la si tratti come una semplice malattia, moltissime persone la vedono come una “malattia dei deboli”, di individui che quasi volontariamente scelgono di vivere in un mondo di “seghe mentali” per non sforzarsi di vivere (anche se il discorso sarebbe più complesso naturalmente)
      Questo fatto, unitamente a un senso più o meno forte di alienazione che è intrinseco alla depressione stessa spinge le persone all’isolamento.
      E non si può liquidare in una riga dicendo in sostanza che è colpa loro perchè si vergognano e hanno paura di chiedere!

      Più importante ancora è l’incomprensione: si percepisce di non essere sulla stessa lunghezza d’onda e questo porta a un isolamento “forzato”: quasi nessuno desidera ascoltare davvero discorsi che, effettivamente, dall’esterno possono apparire come dei deliri e si viene liquidati con “devi farti forza”, “tirati su”, “tutti abbiamo i nostri problemi”, ecc.

      Per quanto riguarda chi soffre di depressione, ricordo bene il tipo e l’intensitá del dolore che si prova interiormente
      (nella sua “natura” penso sia ciò che si avvicina di più al tormento che esiste all’inferno)
      posso umanamente comprendere chi arriva a compiere gesti estremi, senza per questo dire che sia giusto ovviamente.

      E non viene fatto per egoismo o per risolvere i problemi della propria vita:
      semmai per interrompere il tormento continuo che si vive all’interno,
      oppure, per tornare all’articolo,
      smettere di aspettare.“l’alba di un giorno in cui nulla accadrà”.

      • Kosmo ha detto in risposta a Alessio M.

        Stai parlando con una disabile che ha i suoi bei problemi.
        Non credo tu possa/debba dirle “Tu non sai come si sta in quei momenti”, perchè magari questi stessi momenti li ha passati pure lei, e magari pure qualcun altro.

        • Alessio M. ha detto in risposta a Kosmo

          Non penso tu abbia letto attentamente ciò che ho scritto,

          volevo dare qualche altro spunto di riflessione (come invitava l’articolo) tramite la mia testimonianza, non ho fatto un attacco personale e ho commentato in base alle poche righe che sono scritte.

          Non mi sono proposto come modello canone dell’umanità intera e non ho creato nessun podio della sofferenza,

          E soprattutto non ho cercato di sminuire nessuno!

  2. Fabrizia ha detto

    Personalmente, penso che chi si suicida, un attimo prima della morte vorrebbe tornare indietro e vivere. Solo una grave depressione può rendere desiderabile il suicidio.

    • Emanuele ha detto in risposta a Fabrizia

      In effetti, pare che molto suicidi siano in realtà suicidi “preterintenzionali”… Spesso il suicida vorrebbe solo che il mondo si accorgesse di lui.

  3. Sophie ha detto

    “Ma la colpa non è tutta degli altri, ma anche nostra se non sappiamo chiedere aiuto per vergogna o per paura.”

    In genere quando non si chiede è perchè dall’altra parte non si vede disponibilità, non si vede un orecchio disposto ad ascoltare. Io ho avuto delle enormi difficoltà in passato, soprattutto nell’infanzia, e quello che la gente mi rispondeva quando esternavo il mio disagio era di pensare ai bambini del terzo mondo.
    L’aiuto l’ho chiesto e m’è stato negato, poi ci si chiede perchè la gente si suicida…

    • Li ha detto in risposta a Sophie

      sono d’accordo, non sempre si trova qualcuno che ci voglia ascoltare, ma togliersi la vita per una diagnosi…e se poi la diagnosi si rivela sbagliata come a volte capita?

      Allora tutti quei soldati che tornano dalla guerra cambiati, avvelenati nel corpo e nell’anima cosa dovrebbero fare, uccidersi tutti poveretti?

      quello che la gente mi rispondeva quando esternavo il mio disagio era di pensare ai bambini del terzo mondo.

      E questo perchè? Ok, c’è chi sta peggio di noi ma non abbiamo bisogno di cercarlo in Africa, non più. Che razza di risposta che ti hanno dato! Così fuori luogo…mi spiace per te.
      Anch’io a volte mi dico c’è chi sta peggio di me, ma dipende in che contesto.

  4. borg ha detto

    questo dimostra che la vita ci appartiene. a me sembra giusto cosi.

    • Mandi ha detto in risposta a borg

      Ci appartiene? Quindi decidi tu domani come andrà la tua vita? Quello che ti accadrà e quello che accadrà al “tuo” corpo?

      • Emanuele ha detto in risposta a Mandi

        Se ti appartiene, prova ad allungarla di qualche giorno a tuo piacimento.

        Poi, immagino che tua bbia scelto quando e dove nascere…

  5. Andrea. ha detto

    Secondo me nell’aborto e nell’eutanasia c’entra molto anche la mentalità “piccoloborghese” tipica dei “rivoluzionari” che fecero il ’68.

    Non accettiamo che possano anche esserci cose spiacevoli, come la malattia o la deformità, ed allora che fare?

    No, non è il coraggio dell’autodeterminazione, è la codardia di fronte alla sfida.

    • Eli Vance ha detto in risposta a Andrea.

      Commento da incorniciare, mi ha colpito e ispirato : “E’ proprio la risposta che diamo al male a determinare il proliferarsi di esso”. C’è da riflettere, e sopratutto fare.

  6. Carlo ha detto

    Il suicidio? E perchè no?

    Parliamoci chiaro…una persona a 90 anni quanti altri anni può vivere? Se poi è già in pessime condizioni perchè prolungare una situazione non piacevole per altri 4-5 anni?

    Arrivati a quell’età, credo sia naturale e persino “desiderabile” andarsene. Tanto morire 4-5 anni prima non è che fa grande differenza

    • Andrea. ha detto in risposta a Carlo

      Ma che discorsi sono?

      Scusa, se uno arriva a togliersi la Vita vuol dire che qualcosa non “gira”. Il problema è anche questo, se proprio uno non riesce a tenersela fino all’ultimo allora qualcosa non va.

      Nelle Società in cui le “reti sociali” sono più strette i tassi di suicidio sono molto più bassi, forse il “villaggio globale” è un luogo troppo individualista e “schizofrenico” ed allora il suicidio diventa un sintomo di malessere.

      • Carlo ha detto in risposta a Andrea.

        Scusa è….non è che uno si suicida per sport. E’ ovvio che qualcosa non va. In genere ci si suicida per qualche problema (depressione,malattia,problemi vari).

        A 90 anni c’è l’aggravante dell’età. Le prospettive di vita non sono lunghissime. Quindi perchè continuare a soffrire se tanto tra 4-5 anni si morirà ugualmente??

        • Mandi ha detto in risposta a Carlo

          Si soffre perché non si riesce a dare un senso alla vita, non a caso Lizzani era comunista convinto. Il problema è la propria posizione esistenziale…

    • Eli Vance ha detto in risposta a Carlo

      Vista la maturità con la quale poni certe affermazioni e la “verità” desunta dalla sfera di cristallo secondo cui la vita debba essere totalmente prive di gioie, direi che provare a instillarti un pò di buon senso è tempo perso. Ci vogliono le maniere forti : Codice Penale Italiano , articolo 580, a mio avviso dovrebbe essere applicabile anche in ambienti virtuali, magari con pene diverse.

  7. Bichara ha detto

    Se ci sono ancora nel mondo persone gentili , sensibili e umano ,
    chi ha scritto questo articolo è uno di loro
    Le parole che traboccano comprensione , pietà tinta di lieve malinconia , mi hanno commosso 🙂

  8. Daphnos ha detto

    Mah, in quei giorni c’è stata qualche reazione isterica, ma niente di più. Ovviamente, qualsiasi riflessione a caldo che comportasse il dissenso o la presa di distanze risultava impossibile poiché veniva immediatamente bollata come “mancanza di rispetto” verso la scelta di Lizzani e scatenava reazioni rabbiose (direi che non mi avrebbe sorpreso l’ideazione di un ddl contro l’eutanatofobia…).

    Bene ha fatto UCCR ad aspettare qualche giorno a trattare l’argomento: infatti solo adesso si può far pacificamente notare che Lizzani non era malato e non gli era stata diagnosticata alcuna depressione grave (qualcuno sussurra che fosse triste per la malattia della moglie), e quindi neanche nel cantone svizzero più necrofilo avrebbe ottenuto l’autorizzazione al suicidio assistito, ma questo ovviamente non deve essere fatto sapere. La polemica sull’eutanasia è stata a dir poco strumentale in questo caso, ed è servita solo a stimolare le reazioni pavloviane dei soliti gonzi che abboccano.

    Le riflessioni che sorgono potrebbero invece essere di tutt’altro tenore: possibile che le persone celebri che richiedono il suicidio appartengono in maggioranza consistente a una certa area di pensiero? Può essere questo pensiero ritenuto positivo, se ha come effetto il desiderio di morire? Può permettersi uno Stato che ha il dovere di tutelare i propri cittadini accettare di buon grado che questi si tolgano di mezzo da soli?

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