La Corte Europea nega la brevettabilità della vita


di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

«Per curare i nonni, non si possono sacrificare i nipoti», sembra lasciar intendere il noto bioeticista Elio Sgreccia quando su Avvenire, a commento della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, chiarisce che «il brevetto ottenuto da Oliver Brüstle per le cellule staminali embrionali umane usate per la terapia del Parkison, con la giustificazione che si trattava di parti separate dall’embrione, viene invalidato dalla Corte perché il loro prelievo ha provocato la morte dell’embrione».

La Corte, confermando la nullità del brevetto richiesto in Germania da Brüstle consacra alcuni principi fondamentali. Così, infatti, recita la sentenza (dello scorso 18 ottobre 2011 C-34/10 ) nel suo passo, forse, più decisivo: «Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». La Corte ha sostanzialmente evitato che si possa oggi ed in futuro commercializzare la vita umana e sfruttarla per finalità lucrative, applicando in modo corretto l’art. 6, n. 2, lettera c della Direttiva del Parlamento Europeo del 1998 n. 98/44/CE che testualmente così recita: «Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume[…] Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare: a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali».

Se per un verso la Corte ha rimesso ai singoli legislatori nazionali la definizione completa ed esaustiva del concetto di embrione, dall’altro ha ribadito, in linea con le più autentiche risultanze biologiche, che l’essere umano è specificato nel suo inizio al momento della fecondazione; del resto, come spiegano i genetisti privi di finalità ideologiche ed antiscientifiche, è in quel momento che geneticamente si forma un soggetto terzo che eredita il patrimonio genetico dei suoi genitori, ma che all’un tempo è diverso da essi. La presente sentenza oltre a erigere un significativo argine giurisprudenziale nei confronti di una forma di scienza tesa allo sfruttamento economico-industriale delle proprie scoperte perfino nell’ambito più vicino all’uomo, potrebbe sancire un cambio di rotta nell’ermeneutica giuridica delle corti europee sul valore intangibile della vita umana, ovvero sulla sua ontologia che la contraddistingue quale bene giuridicamente indisponibile per le parti, per la legge e per qualunque altra istanza umana.

Se, infatti, l’uomo e la sua dignità sono riconosciuti tali fin dal proprio concepimento, sarà necessaria una non più postergabile rilettura del fenomeno abortivo, soprattutto per quello che maggiormente suscita problemi sotto l’aspetto bio-giuridico, cioè quello legittimato da motivi sociali ed economici. Ciò nonostante s’impone ovviamente come doverosa la puntualizzazione proposta da Francesco D’Agostino su Avvenire, allorquando, avverte che «nessun bioeticista deve essere così ingenuo da ritenere che una sentenza possa avvalorare definitivamente la vita umana (come in questo caso) o toglierle definitivamente valore (come è pur successo – ahimé – in altri casi). Una sentenza come questa costituisce però un ottimo esempio di ciò che Papa Benedetto, nel recente discorso al Reichstag di Berlino, ha qualificato come «ecologia umana»: una difesa dell’uomo fondata non su assunzioni ideologiche e politiche, ma su una seria e onesta riflessione su dati antropologici incontrovertibili».

In conclusione può affermarsi che una simile pronuncia altro non sia che un piccolo passo per la giurisprudenza, ma un balzo da gigante per il riconoscimento della dignità umana dell’embrione.

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28 commenti a La Corte Europea nega la brevettabilità della vita

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  1. Lucy ha detto

    Una sentenza storica!!

  2. Panthom ha detto

    Credo che si possa parlare di una nuova era della difesa della vita in Europa, sono orgoglioso!

  3. Bano ha detto

    grazie Aldo, non sapevo di questa incredibile notizia!

  4. Massimiliano ha detto

    E voi invece negate la possibilità di commentare il delirante articolo sui gay di “Adamo Creato” disabilitando i commenti, dal momento che Il Fatto Quotidiano ha pubblicato una notizia in merito. Come mai le altre Ultimissime più recenti hanno ancora i commenti aperti? Siete ridicoli.

    • Francesco Santoni ha detto in risposta a Massimiliano

      Forse per evitare che lo spazio dei commenti diventi un guazzabuglio di banalità ed insulti come quella che tu hai appena scritto. Facile no?

    • Francesco Santoni ha detto in risposta a Massimiliano

      Del resto Il Fatto Quotidiano ha scritto un articolo palesemente tendenzioso (basti solo la parte relativa al Catechismo), ergo non è difficile immaginare le reazioni di tanti pseudointellettuali infarciti di erudizione internettiana che credono di essere dei liberi pensatori.

    • Francesco Santoni ha detto in risposta a Massimiliano

      E poi per scrivere fesserie c’è già lo spazio dei commenti de Il Fatto Quotidiano stesso, perché non vi sfogate lì?

    • Redazione UCCR ha detto in risposta a Massimiliano

      Caro Massimiliano, chi vuole commentare l’articolo de Il Fatto Quotidiano è bene che lo faccia nel luogo adatto, ovvero sotto il post appositamente creato: https://www.uccronline.it/2011/10/23/eleonora-bianchini-e-il-fatto-quotidiano-contro-gli-ex-omosessuali-e-polemica/

    • Riccardo ha detto in risposta a Massimiliano

      http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-la-ue-salva-lembrionema-solo-a-met-3383.htm

      La Corte sarebbe stata competente eccome nel qualificare l’embrione soggetto di diritto. A tale conclusione, seppur priva di qualsiasi valore legale, è giunta Chantal Hughes, una portavoce della Commissione europea la quale sostiene che di fatto per la Corte ”l’embrione umano è un soggetto di diritto”. Purtroppo i giudici non l’hanno detto esplicitamente, anzi si sono ben guardati dal pronunciarsi su ciò.

      Invece per il Parlamento europeo e il Consiglio UE l’embrione è soggetto di diritto? L’approccio come abbiamo visto è assai ambiguo e ondivago: da una parte permettono il sacrificio degli embrioni per scopi di ricerca. Allora viene da pensare che l’embrione non sia un soggetto di diritto. Dall’altro dicono no ai brevetti che comportano la sua distruzione. E allora al contrario ci sorge il dubbio che considerino quelle poche cellule già uno di noi. Il paradosso forse si scioglie comprendendo che per questi organismi europei il criterio di condotta legittimo è la decenza e il sentito comune. Lucrare sugli embrioni non sta bene, viene percepito dai più come comportamento disdicevole. Sa tanto di speculazione. Fare ricerca per curare malattie oggi incurabili a spese degli embrioni e pure gratis viene accolto con favore da tutti, perché un giorno o l’altro tutti noi ci ammaleremo.

      Un ultimo appunto. Abbiamo annotato che alla brevettabilità della cura dell dott. Brustle si era opposta Greenpeace. Suona strano. Vuoi vedere che questi ambientalisti una volta tanto sono scesi in campo per difendere invece che le balene l’uomo? Non vogliamo fare i conti in tasca a nessuno, ma forse l’intervento di questi verdi attivisti si può spiegare in altro modo. I membri di Greenpeace avranno pensato che giocare in laboratorio con gli embrioni umani e poi brevettare le scoperte scientifiche nate da questi esperimenti potrà portare in breve tempo a farlo anche con piante e animali. Se impediamo che l’homo sapiens sapiens diventi un OGM brevettabile eviteremo che simile destino coinvolga fauna e flora. Insomma si tratta di un mossa preventiva al fine di difendere non tanto gli embrioni umani ma pecore e pomodori.

  5. Riccardo ha detto

    Non è proprio tutto oro quello che luccica, purtroppo!

  6. Norberto ha detto

    Aldo, spero veramente che sia un cambio di rotta come dici!

  7. Ho una domanda per il dottor Vitale. Premettendo che non sono un giurista e che di legge non so quasi nulla, mi chiedo, nell’eventualità che un giorno si potesse finalmente mettere fuore legge l’aborto, per combattere gli aborti clandestini è pensabile poter estendere a chi li praticasse l’accusa di omicidio volontario del bambino e violenza e lesioni aggravate (spero si dica così) sulla madre?

  8. Aldo Vitale ha detto

    Caro Santoni, in primo luogo La ringrazio della domanda, così come ringrazio tutti gli altri intervenuti per l’attenzione e la pazienza, quanto meno per aver letto; in secondo luogo, mi consenta una reimpostazione giroscopica di carattere concettuale; lo dico sempre agli studenti all’università, così come ai colleghi ed agli amici: la figura del “giurista” non esiste, poiché essa rimanda ad una definitività della conoscenza giuridica che nessuno possiede né possiederà mai, il diritto essendo la dimensione che più ricalca la realtà ed essendo questa la più varia ed imponderabile possibile; io esorto sempre, in un’ottica socratica, a confidare più nell’esistenza dello “studioso del diritto”, più che del “giurista”. In questa prospettiva, riacquistata la direzione di marcia che mi sembra più corretta, vorrei anche precisare che non occorre “saperne di legge”, sollevandoLa così da ogni angoscia; il diritto sì, certamente, presuppone lo studio, etiam, sed non solum; come insegna una pregiata tradizione risalente ad Aristotele e transitante per le maestose fondamenta del pensiero di Tommaso d’Aquino, il diritto è aderenza della legge alla recta ratio, per cui è sufficiente esercitare l’arte del pensiero orientato dalla recta ratio per mettersi sulla scia del pensiero giuridico più appropriato. Mi piacerebbe indugiare anche sulla differenza tra diritto e legge, ma mi trattengo.
    Venendo al problema nostro. La questione è molto articolata e complessa, per cui occorre premettere che non vi saranno in questa sede pretese di esaustività. Proverò a tratteggiare qualche segmento perimetrale che consenta di inquadrare la vicenda.
    In termini puramente teoretici etico-filosofici, l’aborto è sempre fuori legge, nel senso che pur essendo legalizzato, cioè legittimato in specifici casi, è pur sempre illecito, cioè ingiusto poiché ha come effetto ( diretto o indiretto, voluto o meno ) la negazione più radicale dell’alterità di un altro essere ( reale o potenziale che sia ). Del resto non occorre essere principi del foro per comprendere che non tutto ciò che è legale è per ciò stesso giusto, e non tutto ciò che è giusto è per ciò stesso previsto dalla legge; se non si desidera pensare alla pena di morte ( legale e pur ingiusta ) le leggi razziali di Norimberga del 1935 sono un banco di prova formidabile per cogliere questa drammatica dicotomia.
    Sul piano più strettamente normativo, occorre poi ricordare che l’aborto resta comunque illecito in tutti i casi non previsti ( ardua impresa ricostruttiva ) dalla legge e, ovviamente, qualora la donna non abbia prestato il proprio consenso ( e questo è già un discrimine non secondario considerando che in altri ordinamenti, per esempio quello cinese, l’interruzione di gravidanza può non essere volontaria e, addirittura, coattivamente praticata ), eventualità sanzionata da quattro a otto anni di reclusione dall’art. 18 della legge 194/1978. Inoltre, la suddetta legge, all’art. 17, sanziona con la reclusione anche l’interruzione colposa di gravidanza, mostrandosi sensibile alla illiceità dell’aborto effettuato senza consenso ( anche se qui si dovrebbe porre mente sulla ratio di queste sanzioni, se cioè esse siano tese a tutelare la volontà della madre o la vita del figlio o la seconda per il tramite della prima, oltre che alla loro entità edittale francamente bassa sia nel minimo che nel massimo ).
    La tematica degli aborti clandestini, prescindendo dallo sciorinamento in un senso o nell’altro di statistiche, tabelle e numeri, soffre, a mio parere di un difetto logico di base: se gli aborti sono clandestini non si può sapere quanti essi siano e quanto ampio sia il fenomeno; se invece si ha una esatta conoscenza dello stesso, con tanto di statistiche, tabelle e numeri, significa che gli aborti non sono clandestini e che quindi battere questa via appare una attività fine in se stessa e priva di senso. Del resto la clandestinità non attiene alle modalità di esecuzione di IVG, cioè la pratica con metodologie diverse o contrarie a quelle garantite, previste e richieste dalla 194/1978; insomma, parlando di aborti clandestini non ci si riferisce mai alla “qualità”, ma alla “quantità”; ed è per questo che i cortocircuiti logici balzano all’attenzione anche dei più distratti.
    Bisogna ammettere comunque che anche qui la questione è alquanto controversa, e si nota quanto il dibattito pubblico risenta di questa confusione di cui spesso soffrono perfino “i giuristi” e i comunemente intesi “addetti ai lavori”.
    Per ciò che riguarda la punibilità eventuale ritengo che sia impraticabile per diversi motivi.
    In primo luogo: non esiste, almeno che io sappia, un caso in cui l’ordinamento abbia concesso una facoltà di azione ai consociati che pur rivelandosi sbagliata sia stata mai ritrattata; la logica dei diritti quesiti, in altre parole, assurge a criterio di copertura generale; insomma, tornare indietro, mi sembra del tutto impossibile, non fosse altro che per tutti gli aborti già avvenuti che sarebbero da punire, pur senza poterlo essere in concreto per la inderogabile vigenza del sano principio della irretroattività della legge penale. Certo, si potrebbe sostenere che sia stata una finestra tra un divieto e l’altro, ma il principio sacrosanto di irretroattività della legge penale non sarebbe così facilmente aggirabile, anzi!
    Oltre a ciò, non si potrebbe, a mio avviso, poiché la punizione penale dell’aborto, almeno in Italia, ha acquistato una colorazione prettamente ideologica essendo stata contemplata, ahinoi, dal Titolo X del II Libro ( Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe ), poi interamente abrogato dalla 194/1978, del Codice Penale del 1930, che ha inquadrato la fattispecie delittuosa all’interno di un edificio normativo chiaramente inspirato dall’ideologia totalitaria dell’epoca, contraddistinta dalle sfumature non tanto velate del razzismo di Stato.
    La punizione della madre in quanto tale, sarebbe da escludere a mio avviso, un po’ per una logica affine alla punizione del suicidio: il soggetto che vuole suicidarsi non può essere punito poiché se vi riesce, con la sua morte vengono meno i presupposti oggettivi e soggettivi del reato; se invece non vi riesce, il reato sarebbe soltanto tentato o al livello ancor più effimero di mera intenzionalità o progettualità: non si trascuri del resto che il più delle volte chi desidera suicidarsi soffre di notevoli disturbi psichico-comportamentali che possono giungere alla totale incapacità di intendere e volere, la quale incapacità, come è generalmente risaputo, esclude la responsabilità.
    Analogamente: lo Stato invece di punire le donne che decidessero di abortire, dovrebbe tentare semmai di rimuovere quanti più ostacoli possibili allo sviluppo della maternità. Il Progetto Gemma si sviluppa in questa direzione con l’interessante proposta di adottare una gravidanza. Proprio per questo non troverei nulla di strano, anzi sarebbe davvero auspicabile, se si optasse per una riforma dei motivi legittimanti l’IVG previsti dall’art. 4 della 194/1978 che contempla, oltre il discutibile, ma pur sempre comprensibile ( almeno secondo l’ottica utilitaristica del bilanciamento degli interessi, come ha più volte affermato la giurisprudenza anche di livello costituzionale ) caso di pericoli per l’integrità psico-fisica della madre, anche più labili e francamente indefinibili ragioni di carattere economico o, addirittura, sociale ( per intendersi: rientrerebbe in quest’ultimo caso il tipico esempio della quindicenne di provincia gravida che non vuole gettare scompiglio, maldicenze e pettegolezzi sulla vita propria e della sua famiglia ).
    Per trovare una soluzione, si potrebbe guardare insomma alla saggezza degli antichi, cioè al troppo spesso blasonato ed all’un tempo trascurato giuramento di Ippocrate.
    Ippocrate, allorquando dichiarava solennemente che mai avrebbe somministrato un pessario abortivo nemmeno su richiesta, evidenziò la responsabilità di chi in effetti l’ha: cioè il medico.
    Il medico senza dubbio potrebbe essere ritenuto giuridicamente responsabile anche sotto l’aspetto penale ( sebbene in numerose circostanze, come più sopra ricordato, sia già così ), ma si dovrebbe costruire una acrobatica formulazione normativa che possa risultare compatibile e coesistente con le licenze ed i divieti già contemplati dalla 194/1978. Sarebbe più opportuno allora chiamare in causa argomentazioni non soltanto giuridiche in senso stretto: sarebbe dunque la deontologia del medico a dover consigliargli di non poter procedere all’interruzione di gravidanza; è in sostanza il presupposto dell’obiezione di coscienza ( già oggi in pericolo da sempre più numerose voci che vorrebbero non tanto restringerne la portata, ma addirittura eliminarla, con buona pace della libertà di coscienza e di pensiero altrove reclamata a tamburo battente ).
    Insomma, spero di essere stato chiaro: posta l’indubbia illiceità giuridica ed etica dell’interruzione volontaria di gravidanza, mi sembra davvero impossibile, in questo clima culturale e politico, tornare ad una punibilità tout court dell’aborto, anche e soprattutto perché questo viene oramai inteso, dai più, come un vero e proprio diritto ( e l’affermazione o la negazione dell’aborto come tale, cioè come diritto, richiederebbe altre lunghe e probabilmente noiose – per molti – disquisizioni che in questa sede è meglio omettere ).

    • Francesco Santoni ha detto in risposta a Aldo Vitale

      Grazie per l’esaustiva risposta. La mia domanda però era molto più terra terra. Le sue considerazioni sono relative alla situazione presente, con le attuali leggi e l’attuale contesto culturale. Io mi chiedo invece, in linea di principio, se l’aborto fosse vietato, come dovrebbe proprio perché altro non è che l’uccisione di un essere umano, chi praticasse un aborto clandestino (e fosse poi scoperto ovviamente), non dovrebbe essere accusato direttamente di omicidio volontario senza che ci sia bisogno di definire uno specifico reato? Ed inoltre, proprio perché si tratterebbe di una pratica dannosa per la salute psico-fisica della madre non si potrebbe aggiungere anche l’accusa di violenza e lesioni aggravate? Insomma in questo modo chi praticasse aborti clandestinamente (medico o mammana che sia) rischierebbe di finire in carcere a vita; credo che sarebbe abbastanza efficace per dissuadere da questa pratica. Sull’escludere la punibilità della madre stessa invece concordo con lei.

    • Fabio Moraldi ha detto in risposta a Aldo Vitale

      Complimenti per la risposta prof. Vitale. Potrebbe approfondire quando alla fine dice che l’obiezione di coscienza dei medici è in pericolo da sempre più numerose voci? E’ un argomento che mi interessa molto e lei crede veramente che ci siano sempre più voci contro? Io vedo invece l’opposto, anche guardando a quello che sta accadendo da due anni negli USA, ovvero una grande ripresa “pro-life”….mi sbaglio quindi?

      • StefanoPediatra ha detto in risposta a Fabio Moraldi

        Caro Fabio, in attesa della risposta del Dottor Vitale permettimi di confermare quanto da lui sostenuto relativamente all’attacco che sta ricevendo l’obiezione di coscienza.

        Proprio a causa dell’aumento della stessa (ciò che dici tu è verissimo) è messa in pericolo la volontà di coloro che sono favorevoli all’aborto e all’eutanasia. Chi aiuterà le donne ad abortire, nonostante la legge, se non ci saranno più medici consenzienti? Chi aiuterà le coppie a procedere con le moderne tecniche di inseminazione artificiale se non ci saranno medici disposti a “sprecare” embrioni umani? Chi staccherà sondini o respiratori, interromperà terapie ai moribondi se tutti i medici saranno obiettori e a favore della vita contro la morte indotta?

        Ecco allora (se cerchi con google troverai diverse affermazioni in questo senso) che si sta facendo strada una “protesta” contro l’obiezione di coscienza di medici e farmacisti, obiezione di coscienza accusata di essere illegale ed anticostituzionale in quanto impedirebbe l’esercizio di diritti già sanciti dalla legge (aborto) o che si prevede lo saranno in futuro (eutanasia).

  9. Aldo Vitale ha detto

    Scusate, ma premetto che non sono un docente; sono solo un dottorando di ricerca.
    Detto questo: negli ultimi anni si sta diffondendo l’idea, sempre per mano dei soliti gruppi di interesse o di pressione, che l’obiezione di coscienza debba essere ridimensionata o abolita almeno nelle questione bio-mediche. Poichè poco più del 70% del personale medico-sanitario, è obiettore, almeno per ciò che riguarda l’IVG, si muovono critiche sempre più pesanti nei confronti della possibilità di obiezione di coscienza, almeno per come contemplata dal nostro ordinamento in genere e dalla 194/1978 in particolare. Si ritiene che essendo alta la percentuale di obiettori, ed essendo in crescita peraltro, la donna che volesse procedere ad IVG troverebbe difficoltà per esercitare la facoltà prevista dalla legge; lo Stato quindi da un lato consentirebbe formalmente l’IVG, ma di fatto la legge 194/1978 resterebbe inapplicata o sempre più difficilmente applicabile, poichè verrebbe a mancare il personale medico-sanitario addetto alle procedure abortive. E’ così che i radicali, se non sbaglio, stanno cominciando la lotta contro l’obiezione di coscienza ( paradossalmente proprio loro che per anni si sono battuti in difesa della stessa per ciò che attiene l’ambito bellico ). Ma non solo. Si sta muovendo da qualche tempo l’intera macchina intellettuale-mediatica.
    Si pensi, a titolo esemplificativo, a questi tre articoli: 1) http://www.repubblica.it/salute/benessere-donna/contraccezione/2010/08/10/news/aborto_boom_obiettori_negli_ospedali-6204298/

    2)
    http://www.repubblica.it/salute/benessere-donna/contraccezione/2011/04/13/news/il_percorso_a_ostacoli_della_pillola_quella_del_giorno_dopo_non_si_prescrive-14890407/

    3) http://www.zeroviolenzadonne.it/rassegna/pdfs/e6f233a2ab8f742da7aecef83a9a57b6.pdf

    Dovrei ritrovare i diversi disegni di legge presentati in tal senso negli ultimi anni ( se riuscirò li posterò ).
    Certo il problema può anche essere vero in termini numerici, ma giuridicamente ed eticamente sarebbe interessante sapere quale possa essere la soluzione; davvero dovrebbe esistere una norma che pur riconoscendo da un lato il diritto all’obiezione di coscienza, direttamente agganciata agli articoli 19 e 21 della Costituzione, come la stessa Corte Costituzionale ha ricordato decine di volte negli ultimi decenni, dall’altro lato costringerebbe il medico ad eseguire l’IVG? E, in caso di reiterato rifiuto, sarebbe sottoponibile il medico ad eventuali sanzioni ( disciplinari, amministrative o addirittura penali )? O si dovrebbe procedere coattivamente, manu militari? Come è evidente la macroscopica problematica dell’IVG contro il consenso della donna, non vedo perchè non dovrebbe balzare agli occhi l’enorme problema etico-giuridico dell’IVG praticata dal dal medico contro il suo consenso.
    Non dico null’altro avendo Pediatra già risposto meglio di me.

  10. Riccardo ha detto

    Bhè, se i radicali agiscono così non fanno che dimostrare quanto sia ridicolo che si definiscano Pro-Choice!

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