Posizioni favorevoli e contrarie al ddl sul “fine vita”

Senza voler prendere posizione sul Disegno di Legge che regolamenta il “fine vita” in discussione alla Camera dal 7 marzo 2011, desideriamo presentare in modo tentativamente semplice e chiaro il complesso panorama che si è venuto a creare tra “favorevoli” e “contrari”, sintetizzando le rispettive argomentazioni. I cattolici compaiono in entrambi gli “schiaramenti” e questo sicuramente dimostra la complessità e la delicatezza dell’argomento.  L’origine di questa legge è da collocarsi il 9 febbraio 2009, giorno di morte di Eluana Englaro a causa della sottrazione di idratazione e di nutrizione da parte del padre, sostenuto dai radicali e dall’intervento di un magistrato. Nel marzo 2009 la proposta di legge, relatore il senatore Raffaele Calabrò, era stata approvata al Senato per poi rallentare però vistosamente il proprio cammino a Montecitorio.  Il voto al testo in discussione alla Camera è slittato ad aprile, forse anche per l’evidenziarsi di qualche differenza di posizioni dentro la stessa maggioranza di governo che sostiene il ddl. Ringraziando l’iniziale approfondimento apparso su La Bussola Quotidiana, segnaliamo che questa pagina sarà in continuo aggiornamento e rimarrà in evidenza sul sito fino all’eventuale conclusione dell’ iter legislativo.

 

|Punti nodali della legge||Posizione della Chiesa italiana|
|Chi è favorevole alla legge||Chi è contrario alla legge|


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I PUNTI NODALI

Ricordando che comunque l’ordinamento giuridico italiano prevede e punisce i reati di suicidio assistito e di omicidio del consenziente, il ddl Di Virgilio evidenzia:

1) Alimentazione e idratazione non sono considerate terapie ma potranno essere sospese se dovessero risultare non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari o addirittura dovessero danneggiarlo.

2) La legge non è rivolta solo ai pazienti in stato vegetativo, ma anche a chi si trova «nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze».

3) Sono valide solo le Dat espresse nelle forme previste dalla legge: cioè in forma scritta o dattiloscritta con la firma autografata del paziente. Vengono pertanto esclusi video o ricostruzioni postume (come nel caso di Eluana).

4) Le Dat non sono vincolanti ma orientative, lasciando la decisione finale al medico: se infatti dalla sottoscrizione della Dat al momento della malattia fossero intervenuti progressi scientifici, il dottore non potrebbe utilizzarli. Non vi sarà del resto ufficio dedicato alla raccolta delle Dat.

5) Ai pazienti in stato vegetativo sarà garantita l’assistenza ospedaliera, residenziale o domiciliare, prevista nei livelli essenziali di assistenza.

6) Se un paziente non dovesse nominare un fiduciario incaricato di tenere i rapporti con il medico, i suoi compiti saranno adempiuti dai familiari nell’ordine previsto dal Codice Civile.

 

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LA POSIZIONE DELLA CHIESA ITALIANA

La Chiesa non ha assunto una posizione ufficiale ma orientativa. Intervistato da Andrea Tornielli su il Giornale del 27 febbraio, il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha affermato: «La legge che sta per essere discussa alla Camera non è una legge “cattolica”. Semplicemente rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte. I malati terminali rischierebbero di essere preda di decisioni altrui». Secondo il capo dei vescovi italiani, «precisare che l’alimentazione e l’idratazione non sono delle terapie, ma funzioni vitali per tutti, sani e malati, corrisponde al buon senso dell’accudimento umano e pongono un limite invalicabile, superato il quale tutto è possibile». Nella prolusione al Consiglio permanente Cei del 28 marzo 2011, Bagnasco è stato molto più esplicito: «Vorremmo dire una parola che inducesse l’opinione pubblica a ritenere che una legge sulle dichiarazioni anticipate di fine vita è necessaria e urgente. Si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella “giurisprudenza creativa” che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono, ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua. Chi non comprende che il rischio di avallare anche un solo caso di abuso, poiché la vita è un bene non ripristinabile, non può non indurre tutti a molta, molta cautela? Per rispettare la quale è necessario adottare regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani – nel contesto di una società materialista e individualista − risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste».

 

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CHI E’ FAVOREVOLE AL DISEGNO DI LEGGE

Il fronte del “sì” vede nel ddl un modo concreto per arginare le derive eutanasiche possibili e probabili nel Paese e vedono nel ddl una legislazione positiva -magri non impeccabile- che regolamenta finalmente anche  il “fine-vita”, togliendo la possibilità che a decidere siano i giudici approfittatori di un “vuoto legislativo” in merito (come è accaduto per il caso Englaro).

Carlo Casini, presidente nazionale del Movimento per la Vita, parlamentare europeo Udc/Ppe interviene sostenendo che il Codice penale attuale non vieta l’uccisione di una persona con il suo consenso, a eccezione del caso in cui la morte è causata mediante l’omessa cura della persona qualora essa si trovi in stato di incapacità di intendere e di volere e sia immaginabile una sua volontà di morire dedotta dal suo “stile di vita”, sebbene risalente a molti anni prima. Tant’è che Eluana è stata uccisa proprio dai giudici e i medici che hanno operato sono stati assolti. Inoltre, contina Casini, l’espressione “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (Dat) è un termine emerso dal Comitato nazionale per la Bioetica per indicare uno strumento idoneo a continuare l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, qualora il secondo cada in uno stato di incapacità. Con il “testamento biologico” c’è la vincolatività della volontà del paziente, con le Dat c’è la non vincolatività, per cui l’orientamento manifestato dal paziente deve essere preso in considerazione senza che sia vincolante per il medico. Presupposto del testamento biologico è la disponibilità della vita; presupposto delle Dat è la sua indisponibilità. Casini dice che comunque se il testo verrà stravolto con l’aggiunta «dell’obbligo del medico di eseguire le volontà dei pazienti, anche quando questi chiedono la morte attraverso il rifiuto delle cure, non sarei più favorevole» (cfr. Avvenire 25/2/11). Più recentemente ha ribadito che «la situazione attuale non difende la vita: occorre allora intervenire per porre un freno. Ne sono assolutamente convinto. Lasciare così le cose non configura un “virtuoso” buco legislativo, ma favorisce la cultura dell’eutanasia». Il testo -continua Casini- impedisce l’eutanasia. Chi non lo difende rischia di favorire proprio le posizioni che vorrebbe contrastare (cfr. La Bussola Quotidiana 3/3/11).

Avvenire, il quotidiano della CEI, come già detto, si schiera a favore del ddl. In un editoriale pubblicato sulla prima pagina dell’edizione del 4 marzo, il giurista Antonio Gambino ricorda che quelli di Welby e della Englaro sono stati casi di “eutanasia passiva” che sono «ammessi nel nostro ordinamento». Ciò dimostra che «la legittimità dei comportamenti individuali al dunque la decidono i giudici e non i teorici del sistema» e di fatti «il punto più debole sul caso Englaro si sta quotidianamente colmando attraverso due vie, una giudiziaria, l’altra amministrativa». Dunque «è purtroppo facile pronosticare che di qui a poco avremo altre sentenze che legittimeranno “testamenti biologici” e conseguenti vicende di eutanasia passiva, forti del fatto che anche il punto debole della ricostruzione della volontà del paziente incosciente è sanato dalle dichiarazioni anticipate espresse all’amministratore di sostegno o nell’albo comunale». Del resto, afferma il quotidiano dei vescovi, «è altrettanto facile pensare che se ciò oggi non sia ancora avvenuto è proprio perché, essendo pendente una legge al riguardo, essa abbia agito da deterrente (cfr. Avvenire 4/3/11).

Giuliano Dolce, neurologo all’Istituto Sant’Anna di Crotone, massimo esperto italiano (e fra i massimi al mondo) di stati vegetativi, dichiara: «Io, come medico, non posso compiere alcun atto che porti a morte il malato. Nemmeno se lo vuole lui stesso. Allora se ne vada a casa sua e si metta sotto un albero ad aspettare di morire». Rispetto al testamento e al fatto di togliere alimentazione e idratazione dice: «sarebbe omicidio bello e buono, perché se a quella persona non dò l’acqua so che entro dieci o quindici giorni muore. Un testamento, proprio in quanto tale, deve essere possibile cambiarlo quando si vuole, anche un minuto prima di morire! E mi creda, chiunque può aver lasciato scritto tutto quel che vuole, ma nel momento in cui resta senza bere un giorno, alla prima bottiglia che trova si attacca e manda tutto giù d’un sorso! Però, in stato vegetativo, non può farlo. Né può cambiare il suo testamento». Inoltre «scientificamente, oggi è dimostrato che chi è in stato vegetativo prova dolore. La mancanza di acqua determina una sindrome di disidratazione gravissima, con dolori immensi, fa spaccare le mucose e fa morire dopo dieci o quindici giorni di dolori atroci. Io, cittadino di un Paese civile, nel 2011, non posso lasciare morire un disabile di dolore. Sono, e devo essere, obbligato a dargli l’acqua: qualunque legge ci sia. A meno che non vogliamo essere accusati d’aver esercitato una tortura. Se compio un atto che causi la morte del paziente commetto un reato. Se questo non piace, allora si abbia il coraggio di cambiarlo. E magari si stabilisca pure che è possibile far morire di dolori terribili» (cfr. Avvenire 16/3/11)

Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, dice che «non amerà questa legge più di quanto amo quella sulla procreazione assistita. Ma la realtà chiede di essere governata. Si dice: di chi è il nostro corpo, se non appunto, nostro? Non siamo noi, gli unici a poter decidere? Non è davvero così: esistono mille limiti di legge, dall’obbligo del casco al divieto di comprare e vendere organi, e soprattutto sono in atto enormi e preoccupanti contenziosi sui diritti di proprietà di cellule e tessuti. Non legiferare in tema di biopolitica vuol dire solo lasciare che lo facciano altri. Quello che è in gioco, dietro la finzione affascinante dell’autodeterminazione, è proprio il potere di decidere sul corpo: non l’individuo ma i giudici». Richiamando la vicenda di Eluana Englaro sostiene che è dimostrato che solo una legge può fermare l’intervento invasivo dei magistrati (cfr. Il Foglio 23/2/11). Recentemente è intervenuta nuovamente ribadendo che «noi vogliamo evitare che nel nostro Paese vengano introdotte prassi eutanasiche per via giudiziaria. Questa legge stabilisce per la prima volta, la necessità, per qualunque trattamento, di un consenso informato. Era già una prassi, ma non è stato mai normato. La dichiarazione anticipata di trattamento non è altro che una modalità in cui si deve svolgere il consenso informato. La definirei una legge che sancisce il rapporto di alleanza terapeutica tra medico e paziente. Inoltre, il medico deve sempre motivare nella cartella clinica la mancata applicazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento e questa motivazione, se non condivisa dal paziente (o da chi per lui), può essere oggetto di contenzioso giudiziario» (cfr. La Bussola Quotidiana 3/3/11).

Il cardinale Elio Sgreccia , presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, dichiara: «Una legge a protezione della vita è necessaria». Auspica sia varata una legge «la più vicina possibile» al disegno varato dal Senato nel marzo del 2009, e si trova d’accordo con la cancellazione del carattere vincolante del parere espresso dal collegio di specialisti in caso di contrasto tra medico curante e fiduciario sulla attuazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). «È indispensabile legiferare, al punto in cui siamo giunti – spiega il bioeticista – in particolare dopo la tragica conclusione della vicenda di Eluana Englaro» (cfr. Avvenire 11/3/11)

Antonio Socci, importante scrittore e giornalista cattolico si schiera a favore del ddl domandandone l’approvazione del testo così come esso è oggi, ovvero comprensivo del comma 6 dell’articolo 4 dove si afferma che in caso di urgenza e di pericolo di vita immediato la Dat non si applica. I soccorritori che prestano pronto intervento debbono infatti pensare a prestare cure immediate per rianimare il paziente, non a consultare il suo “testamento biologico” perdendo tempo prezioso che può addirittura essere fatale. Del resto, senza una legge in tale senso, afferma Socci, un paziente che venisse salvato restando però disabile potrebbe chiedere il risarcimento dei danni a chi gli ha evitato la morte portando pericolosamente i soccorritori a domandarsi se, in caso di necessità, non sia meglio lasciar morire il paziente invece che intervenire. Una Dat obbligatoria da seguire ingolferebbe il sistema sanitario italiano.

Rodolfo Proietti, ordinario di anestesia e rianimazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, spiega perché è corretto che le Dat non siano vincolanti ma solo orientative: «Difficilmente le Dat potranno essere utili al medico quando affronta una condizione di emergenza caratterizzata da un imminente pericolo per la vita del paziente. In questi casi il rianimatore ha solo pochi secondi a disposizione per decidere cosa fare o cosa non fare. Un tempo troppo breve per consentire di valutare le effettive volontà espresse dal paziente nelle Dat. Se lo scopo delle Dat è quello di consentire al medico di agire per il bene del paziente, anche tenendo nel massimo conto volontà precedentemente espresse, è evidente che non possono essere vincolanti. La vincolatività non consentirebbe più al medico di valutare in senso critico i concreti obiettivi delle dichiarazioni anticipate». Inoltre spiega che le Dat aiutano ad evitare l’accanimento terapeutico: «Ad esempio spesso i parenti dei malati ci chiedono di fare “più del possibile” e di adottare terapie strumentali, compresa la ventilazione meccanica, anche per prolungare solo di qualche ora la vita dei loro cari. In questi casi, che sono i più frequenti, la disponibilità delle Dat faciliterebbe la decisione di limitare le terapie intensive. Diverso è il caso in cui la ventilazione meccanica è giudicata dal medico utile, efficace, proporzionata, in grado di consentire il superamento di un evento acuto e di impedire una morte evitabile. In questo caso il medico deve poter esercitare il diritto di iniziare o proseguire la ventilazione meccanica nel rispetto del dovere deontologico, etico e morale di proteggere la vita». L’anestesista chiarisce poi cosa sia l’accanimento terapeutico: «Alcuni ritengono che il giudizio di insopportabilità della terapia da parte del paziente sia sufficiente per definire l’accanimento terapeutico. Se cosi fosse si avrebbe il dovere di sospendere qualsiasi terapia ritenuta insopportabile dalla persona malata. In realtà possiamo parlare di accanimento terapeutico solo quando la terapia oltre ad essere inefficace (futile) è anche gravosa per il paziente aggiungendo inutili sofferenze. Proprio perché il termine “accanimento terapeutico” può generare confusione preferirei sostituirlo con “terapie sproporzionate per eccesso”» (cfr. Avvenire 24/3/11).

Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale si pone a favore del ddl spiegando che il cosiddetto «diritto di morire» renda an­cor più deboli i soggetti deboli e non e­viti gli oltranzismi terapeutici. Sul “fine vita” si celano questioni delicatissime di caratte­re economico e l’interruzione dell’i­dratazione e dell’alimentazione non contrastando al­cuno stato patologico, essendo necessarie allo stesso individuo sano, rimangono dovute an­che nelle situazioni terminali. Conclude infine che non è per nulla ovvio che il pa­ziente risulti meglio tutelato con un testamento biologico (cfr. Avvenire 24/2/11)

Francesco D’Agostino,
presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI), membro della Pontificia Accademia per la Vita nonché del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, dichiara: «la legge è prevista per impedire esiti eutanasici, non tradisce le aspettative dei cittadini o va “contro” la loro espressione di volontà. Si tratta piuttosto di una legge che vuole saggiamente regolamentare tutto questo. […] L’«autodeterminazione», essenziale nei contesti politici, possiede, in bioetica, limitati spazi di utilizzazione. Il diritto nega la disponibilità della vita (nega insomma la liceità dell’eutanasia); nega la possibilità di fare commercio dei propri organi e anche quella di disporne discrezionalmente. Il disegno di legge sul “fine vita”, evitando di dare carattere vincolante alle dichiarazioni anticipate, ma obbligando il medico a tenerne seriamente conto, individua una corretta mediazione nei casi in cui l’alleanza terapeutica tra medico e paziente possa entrare in crisi» (cfr. Avvenire 4/5/11)

Massimo Pandolfi, caporedattore de Il Resto del Carlino, si dichiara favorevole alla legge e si concentra sull’alimentazione e sull’idratazione. Prendendo di mira il senatore Ignazio Marino, lo incolpa di confondere appositamente i significati tra “malato terminale” e “disabile grave”. Il primo è colui che, a causa di una patologia, è arrivato agli sgoccioli della sua esistenza: ha un male dentro che avanza inesorabile. Il secondo è invece colui che, a causa di una malattia o di un trauma, vive in una condizione appunto di disabilità ma non ha dentro un male che avanza. Ha bisogno soltanto di essere curato, cioè ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui. Il nodo sull’idratazione e nutrizione artificiale ruota attorno proprio a questi equivoci: nei malati terminale è possibile interrompere l’idratazione e la nutrizione artificiale -come previsto anche dal ddl Calabrò- quando non sono più efficaci nel fornire i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche del corpo. Ma per i disabili gravi, gravissimi, estremi come le persone in stato vegetativo, ad esempio il discorso cambia completamente: loro non hanno malattie, non hanno un male che avanza, non stanno per morire. Piuttosto -conclude il giornalista- dicano che non sono utili, sono un peso, magari un costo, indegni di vivere la loro vita (cfr. www.massimopandolfi.it)

Mauro Zampolini, direttore del Dipartimento di riabilitazione Asl 3 della Regione Umbria e dell’Unità gravi cerebrolesioni all’ospedale di Foligno ritiene che il ddl sia «una legge che può essere migliorata. Che forse rappresenta il male minore. Ma di certo una legge va fatta, perché se è vero che ogni essere umano ha il diritto di poter scegliere come vuole morire, per le persone in stato vegetativo il problema si complica e un obbrobrio come quello della volontà presunta accaduto con il caso Englaro non deve più accadere». Zampolini si ritiene «uomo di sinistra e un non credente, ma tutto questo non c’entra: parlo come medico che da sempre si occupa di cerebrolesioni gravissime. Chi da decenni segue queste cose sa molto bene che uno stato vegetativo è una persona a tutti gli effetti, un paziente con una gravissima disabilità ma ben vivo. E allora stare intorno al suo capezzale a discutere se cibo e acqua siano una terapia francamente è solo un escamotage per non chiamare le cose con il loro nome: diciamo chiaro che il vero obiettivo è l’accompagnamento alla morte». Continua il medico: «sostenere che alimentare e idratare un disabile non autosufficiente è una terapia significa voler percorrere una scorciatoia verso un accompagnamento lento e doloroso alla morte per fame e per setetanti malati di Sla – ovvero pazienti lucidi fino alla fine – che un tempo avevano dichiarato di non voler essere salvati, quando invece stanno per morire chiedono la tracheotomia. Lo stesso avviene molto spesso con le neoplasie… Insomma, quando una persona entra davvero nella condizione di malattia grave, anche se prima aveva chiesto di morire alla fine sceglie di vivere» (cfr. Avvenire 29/3/11).

Francesco Rutelli, parlamentare italiano, ha dichiarato: «È giusto approvare in tempi rapidi una legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Ogni giudice italiano altrimenti si troverà a dover interpretare “creativamente” questa difficile materia. E, proprio per l’assenza di una specifica disciplina, nell’orizzonte di principi troppo generali ed astratti, determinare decisioni contrastanti. Non si tratta di materie che riguardano solo i cattolici. Un cristiano concorre a questi dibattiti con un’ispirazione coerente ed esigente. Non si deve aprire la porta ad alcuna forma di eutanasia e non si può stabilire un principio di autodeterminazione assoluto che spinga ad obbligare il servizio sanitario alla soppressione della vita umana. Si devono affermare il ruolo e la responsabilità crescenti del medico di fronte alle rapide trasformazioni scientifiche. La buona applicazione di cure palliative è in grado di accompagnare in modo dignitoso, evitando e limitando le sofferenze, gli ultimi tratti di una vita umana che si concluda senza accanimenti» (cfr. Avvenire 9/4/11)

Michele Aramini, sacerdote ed esperto di bioetica spiega che l’obiezione principale è: «chi vuole può anticipare la sua morte per evitare le sofferenze della parte finale della propria vita, chi non vuole continua a ricevere le cure appropriate alla sua condizione. La semplicità apparente di questa soluzione misconosce gravemente la finalità delle leggi che la società si dà. Le leggi infatti debbono essere giuste: sono tali quando realizzano e incrementano i diritti veri della persona umana e non ogni tipo di richiesta, anche se questa per nobilitarsi si fa chiamare diritto». Inoltre «non esiste il diritto a morire. Vale la pena ricordare che l’inesistenza del diritto a morire non è un’affermazione illiberale di chi è contrario all’eutanasia. Essa è contenuta nelle sentenze delle più prestigiose e autorevoli Corti di giustizia, come la Corte suprema degli Stati Uniti d’America» (cfr. Avvenire 26/3/11)

L’Associazione italiana oncologia medica , per voce del suo presidente Carmelo Iacono , afferma che «il 74% dei soci ritiene una necessità la legge sulle direttive anticipate, anche a proposito dell’accanimento terapeutico (64%) e dell’eutanasia (67%). Il 54% sostiene che quanto affermato in condizioni di salute non possa essere applicabile in fase terminale: dunque le Dat non possono essere obbliganti per il medico. Il 63% è convinto che una legge possa facilitare il rapporto medico-malato». Marco Maltoni, palliativista e direttore dell’hospice di Forlimpopoli, ogni giorno a contatto con malati terminali, dichiara: «Accanimento terapeutico ed eutanasia non vanno normate, è la nostra deontologia professionale che ci impone di non praticarle mai» (cfr. Avvenire 26/3/11).

L’Associazione nazionale biogiuristi italiani , attraverso il presidente Rosaria Elefante , consulente giuridico dell’European Task Force che raccoglie i massimi specialisti in stato vegetativo, nonché legale di 34 associazioni di familiari di persone disabili, dichiara che «la legge è resa indispensabile dal fatto che il caso Englaro dimostra come, aggirando le norme, si è applicata l’eutanasia in Italia, dove l’eutanasia è reato» (cfr. Avvenire 15/3/11).

In un articolo firmato da Vinicio Albanesi (sacerdote), Dino Boffo (direttore TV2000), Paolo Bustaffa (direttore del Sir), Francesco D’Agostino (giurista), Giuseppe Dalla Torre (giurista e direttore del Lumsa), Stefano De Martis (giornalista), Assuntina Morresi (docente di chimica), Lorenzo Ornaghi (rettore dell’Università cattolica), Antonio Sciortino (giornalista e sacerdote), Antonio Socci (giornalista e scrittore), Marco Tarquinio (direttore di Avvenire) e Francesco Zanotti (Presidente Federazione Stampa Cattolica) si afferma che «il ddl è una proposta ra­gionevole, condivisibile, realmente liberale e oggi non più rinviabile». Pone per legge limiti e vincoli precisi a quella giurisprudenza ‘creativa’ che sta introdu­cendo surrettiziamente nel nostro Paese ar­bitrarie derive eutanasiche. Pur essendo miglio­rabile «noi riteniamo che se non fosse approvato in tempi rapidi, te­nendo saldi questi suoi princìpi cardine, di­venterebbe sempre più difficile drenare una giurisprudenza orientata a riconoscere il “di­ritto” a una morte medicalmente assistita, in altre parole all’eutanasia trasformata in at­to medico» (cfr. Avvenire 12/3/11).

L’Unione giuristi cattolici di Pavia sostiene che il Ddl è una proposta ragionevole, realmente liberale e oggi non più rinviabile, a fronte degli avvenimenti degli ultimi anni su fine vita e libertà di cura. È necessario, dicono, che il Parlamento ponga per legge limiti e vincoli precisi a quella giurisprudenza «creativa» che sta introducendo surrettiziamente nel nostro Paese arbitrarie derive eutanasiche. Il testo -pur essendo, come qualsiasi provvedimento legislativo, migliorabile – è chiaro e lineare. Se non fosse approvato in tempi rapidi, diventerebbe sempre più difficile drenare una giurisprudenza orientata a riconoscere il «diritto» a una morte medicalmente assistita, in altre parole all’eutanasia trasformata in atto medico. La nostra è la civile e laica preoccupazione di persone informate e responsabili, ben consapevoli della rilevanza della questione posta dai pronunciamenti giudiziari che hanno rovesciato nel suo contrario il principio del «favor vitae» al quale il nostro ordinamento si ispira (cfr. L’Epresso 29/3/11)

L’Azione Cattolica, le Acli, l’Associazione Genitori delle scuole cattoliche, il Movimento per la vita e quasi tutte le principali sigle dell’associazionismo cattolico si dichiarano “favorevoli al disegno di legge” (cfr. Avvenire 26/3/11)

Il Popolo della Libertà è ufficialmente favorevole al ddl.

La Lega Nord è ufficialmente favorevole all’approvazione del testo Di Vigilio.

L’Udc ha già dichiarato il proprio sostegno al ddl, ma presenterà alcuni emendamenti “migliorativi” del testo. Il Sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, favorevole al ddl, non esclude che la maggioranza di governo potrebbe convergere su di essi.

L’Api vincola il sostegno del ddl all’approvazione di alcuni correttivi.

 

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CHI E’ CONTRARIO AL DISEGNO DI LEGGE

Il fronte del “no”, composto di cattolici e di non-cattolici, si presenta molto eterogenedico, e comprende sia coloro che sostengono il  principio dell’autoderminazione del paziente e la promozione positiva di una cultura favorevole all’eutanasia (sono in minoranza) e che vedono nel ddl un chiaro ostacolo alla loro cultura e ritengono che il “vuoto legislativo” garantisca, nei contenziosi, soluzioni di fatto impossibili nel caso di approvazione della legge contrari all’eutanasia e al testamento biologico. Assieme a loro ci sono coloro che si dichiarano contro eutanasia e testamento biologiche e che non vedono nel ddl una posizione sufficiente a garantite posizioni antieutanasistiche. I detrattori vedono anche positivamente la presenza di un “vuoto legislativo” che regolamenti questa materia, desiderando lasciar invariato lo status quo. Questi antieutanasiaci ritengono inammissibile l’azione di una legislazione in questioni così delicate come il fine-vita.

 

Mondo cattolico.

Antonio Pessina, direttore del centro di ateneo di bioetica dell’Università Cattolica partendo da una piena e incondizionata adesione ai principi ispiratori del disegno di legge, avanza dubbi sul fatto se davvero si ottenga l’effetto sperato introducendo un riconoscimento giuridico delle direttive anticipate, che già ora potevano essere “prese in considerazione” dai medici. Secondo Pessina questa legge in pratica consente ciò che già è consentito e vieta quanto è già vietato, lasciando l’ultima parola al medico. Per togliere poteri ai giudici sarebbe bastato limitarsi a chiarire quando si incorreva in un reato qualora si fosse prestato ascolto a dichiarazioni, spontanee e libere, che di fatto potevano contenere indicazioni atte a indurre comportamenti che potevano essere concausa della morte del paziente. Così, secondo il bioeticista, si sarebbe ottenuto l’effetto di rafforzare la tutela della vita umana senza però dare eccessiva consistenza alla volontà pregressa del cittadino, facendo valere un atteggiamento fiduciario nei confronti della medicina e del medico. Con una legge come questa si apre facilmente una strada che può portare a stabilire almeno due situazioni non previste, ma prevedibili, come il tentativo di togliere i vincoli attualmente presenti e aprire le porte sia all’eutanasia, sia al suicidio assistito. Secondo Pessina, soltanto indebolendo il valore giuridico delle dichiarazioni anticipate e rafforzando i criteri che permettano di riconoscere e vietare i casi di suicidio assistito e di eutanasia si potrebbe evitare ogni futuro abuso interpretativo delle dichiarazioni stesse, che pure moralmente hanno un loro specifico valore (cfr. Il Foglio 22/3/11)

Vittorio Possenti, noto filosofo, è critico verso il Ddl. Ritiene validi «gli articoli che riguardano il consenso informato, il no all’eutanasia, le cure palliative, le disposizioni in favore dei malati in coma vegetativo». Valido anche il tenere fermo il termine dat contro l’usatissimo riferimento al termine “testamento biologico”, improprio tanto dal lato del sostantivo poiché la vita non è un bene patrimoniale, quanto dal lato dell’aggettivo in quanto la vita umana eccede l’elemento biologico. I punti critici -secondo Possenti- son0 cinque: 1) Non appaiono ragioni per riconoscere il diritto alla terapia del dolore solo per i pazienti terminali o in condizione di morte prevista come imminente. La terapia del dolore dovrebbe essere attuata ogni volta che è necessaria. 2) La validità delle dat si sospende in condizioni di urgenza e quando il soggetto versa in pericolo di vita. È invece in queste condizioni che dovrebbero valere di più. 3) Alimentazione e idratazione non possono essere oggetto di dat: dunque anche la Peg è obbligatoria? Inoltre in numerosi casi non si tratta di mantenere quelle funzioni una volta avviate, ma di attivarle per la prima volta in forma artificiale, e su questa grande diversità il testo tace. 4) Una cosa è attivare ed un’altra è proseguire un trattamento sanitario: sarebbe logico far intervenire le dat anche nel caso del proseguire, mettendo in conto non solo il rifiuto ma anche la rinuncia. 5) Aiuta la considerazione fondamentale che lo Stato, dopo aver detto no all’eutanasia, non imponga al cittadino obblighi maggiori di quanto gli competa. Non può esigere un dovere incondizionato di continuare ad esistere, quando il cittadino ha fatto chiaramente intendere di non voler essere trattenuto ad ogni costo. Secondo il filosofo rischia di non funzionare una legge determinata nei più minuti particolari, perché mancherà sempre qualcosa. Se deve esservi legge, meglio con pochi e più precisi criteri (cfr Il Corriere della Sera, 23/2/11).

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro sostengono sia un’illusione pensare che il Ddl scongiuri il rischio di eutanasia per 3 motivi: 1) L’ordinamento continua ad avere un presidio molto solido contro l’eutanasia e l’abbandono terapeutico. Era comunque sul terreno giudiziario e dei poteri della magistratura che si doveva condurre la battaglia, contrastando le “sentenze creative”. 2) Lo scopo dei settori ideologizzati della magistratura favorevoli all’eutanasia è proprio quello di spingere il Parlamento a fare una legge e a riconoscere il testamento biologico. E se stessimo facendo proprio il gioco dei nostri avversari? 3) Il testo sulle Dat comporta il riconoscimento solenne da parte della legge della efficacia e validità del testamento biologico. Se una legge proprio si voleva votare -dicono- ne basta una fatta di un unico articolo e che vieti la sospensione di alimentazione e idratazione ai soggetti incapaci, senza aprire porte o finestre al mostro giuridico che si chiama testamento biologico, una piovra dai mille tentacoli che, una volta liberata, farà strage del principio di indisponibilità della vita umana. (cfr. Il Foglio 23/2/11).

La Comunità Papa Giovanni XXIII , fondata da don Oreste Benzi, che da quasi 40 anni accoglie nelle proprie famiglie e Case Famiglia persone con ogni genere di disagio sociale, disabilità e patologie spesso gravissime, si dice contraria al Ddl. In un comunicato si legge che la Comunità teme «per l’eventuale approvazione del testo di legge attualmente in discussione in Parlamento. E’ risaputo che la percezione della malattia da parte dei sani è enormemente diversa da quando ci si ritrova invece malati o disabili. Se da sani si aborrisce la sofferenza, una volta che la si vive il più grande desiderio è di essere curati e amati e non quello di rifiutare le cure». L’altro aspetto critico, secondo loro, è che «il testo in discussione permetta al tutore di scrivere le Dat al posto del paziente quando è minore o disabile. In quest’ultimo caso senza neppure interpellarlo né coinvolgerlo nella loro redazione» (cfr. Comunicato della Comunità Papa Giovanni XXIII, 14/3/11)

 

Mondo laico.

Stefano Rodotà, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali dal 1997al 2005e presidente del Gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell’Unione Europa dal 1998 al 2002, è contro il ddl perché la vincolatività di ciò che ha scritto la persona capace di intendere e di volere anche quando diviene incapace è un modo di garantire l’uguaglianza tra le persone.

Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio e noto intellettuale pro-life, scrive che il Ddl è «lastricato di buone intenzioni, ma è sbagliato irrimediabilmente. Chi l’ha proposto e formulato parte dalla sentenza che ha condannato a morte Eluana Englaro. Una sentenza sollecitata per quindici anni da un padre che si è fatto militante del laicismo più ingenuo e radicale. Una sentenza ideologicamente motivata, che ha sottratto alla amorevole carità delle suore una ragazza gravemente disabile, perché fosse spenta da una specie di comitato etico famiglia-stato-medici (attivisti), quanto di più orribile si possa immaginare al mondo. Come era successo in America per Terri Schiavo, con un marito e i giudici di nuovo al comando su un corpo di donna sottratto a quella speciale forma di dignità che è la vita, e per mano altrui […]. Io detesto il testamento biologico, e in genere le cartuccelle legate al presunto, belluino, diritto di morire. Penso che la morte vada affrontata con sensibilità e tatto umani, in una logica se possibile di razionalità. Non si esercita un diritto, si fronteggiano il limite e la contingenza dell’esistenza». La cosa che rende pasticciata e contraddittoria questa legge -secondo Ferrara- è che le Dat sono orientative. Infatti è come dire al cittadino: fa’ pure testamento, ma sappi che non sarà vincolante, e che su due punti cruciali come l’idratazione e la nutrizione artificiale di persone in stato vegetativo, la tua volontà non può essere ascoltata. Il direttore de Il Foglio dice di non credere nell’autodeterminazione come mito moderno ma nell’autonomia della persona, specie in fatto di libertà di cura, e pensa che la vita indisponibile debba essere accudita dal soggetto interessato, finché e come può, e dai suoi cari. Conclude: «meglio un prete, una donna, un compagno affettuoso, gli occhi di un bambino o la barba di un filosofo al mio capezzale, piuttosto che il documento di un legislatore» (cfr. Il Foglio 24/2/11).

Ernesto Galli della Loggia, noto storico, intellettuale ed editorialista, sostiene che con questa legge il paziente perde il diritto a rifiutare un trattamento sanitario e che alla sua volontà, garantita quando era sano, si sostituisca invece quella del medico. Avendo la Dat valore orientativo e non vincolante, in caso di contrasto tra il «fiduciario» e il medico, sarà quest’ultimo ad avere la meglio. Galli della Loggia si dice stupito che «proprio una visione del mondo che si vuole cristiana – qual è senz’altro quella di chi ha ispirato e redatto questa legge – abbia deciso di sottrarre la morte alla sua tragica e misteriosa umanità, alla sua natura di drammatica prova e compendio di una vita e dei suoi affetti, per consegnarla invece alla gelida presunta imparzialità dell’apparato sanitario. È in questo modo che si spera di contrastare l’arroganza culturale della tecno-scienza?». Rispondendo a chi sostiene la legge per evitare il ripetersi di un caso come quello di Eluana Englaro -da lui ritenuto «ripugnante e inammissibile»-, dice che proprio impedendo la ricostruzione la volontà di una persona da parte di un Tribunale, servendosi di indizi fragilissimi e di deduzioni capziose, non ci sarà più una “seconda Eluana”. L’editorialista de Il Corriere si dichiara contro l’eutanasia e propone di stabilire per legge che nelle dichiarazioni della propria volontà in previsione di un sopravvenuto stato d’incoscienza sia permesso di indicare non già i trattamenti che si vorrebbero avere, bensì esclusivamente le pratiche e le cure mediche che non si vogliono avere (cfr. Il Corriere della Sera 25/2/11)

Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia e presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, dichiara: «Ci sono temi fondamentali che non sono né di destra né di sinistra e neppure di questa o quella religione. Fra questi c’è il tema della libertà e il diritto di ogni uomo di accettare o rifiutare le cure in ogni circostanza, sulla base delle proprie convinzioni e del proprio progetto di vita. Questo è il significato del testamento biologico, ovunque nel mondo». Questa legge, secondo Veronesi, «invece di tutelare la nostra scelta, la tradisce e va nella direzione opposta al principio per cui il biotestamento è nato: il rispetto della volontà della persona. Ma allora meglio nessuna legge piuttosto che una legge che ci ricaccia indietro nel progresso di civilizazzione, è antistorica, e si pone in senso contrario non soltanto rispetto agli Stati Unitie ai paesi del nord Europa, ma anche a quelli più accanto ed affini a noi» (cfr. TM News 1/5/11)

Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico, ha dichiarato: «sono radicalmente contro ogni ipotesi eutanasica, ma un uomo non può mai essere separato dalla sua dignità. Siamo perche’ la legge si trattenga, perché anche le leggi hanno un limite, e si dia spazio ai protagonisti, al loro mondo vitale e ai medici» (cfr. Avvenire 8/6/11)

Medicina e Persona associazione di medici, attraverso la presidente dott. Clementina Isimbaldi, ritiene che «è difficile che una persona che si sente amata chieda di morire, per questo diciamo no ad una legge che regolamenti il fine vita. Possiamo già contare su strumenti pofessionali e legislativi che ci mettono in grado di valutare il meglio per ogni paziente». Per salvare le tante Eluana -secondo la dottoressa- occorre una nuova generazione di medici, più che di una legge, «soltanto con la formazione potremo lottare contro la diffusa mentalità che la vita fragile e indifesa sia indegna di essere vissuta». Il punto critico secondo l’associazione di medici è che le Dat arriverebbero ad avere più valore di una diagnosi medica (come accade in altri Paesi). «Non possiamo permettere che siano i cattolici ad appoggiare questo provvedimento perché è chiaro che in qualche modo sarebbe soltanto l’anticamera dell’eutanasia», conclude la Isimbaldi (cfr. La Bussola Quotidiana 3/3/11)

Partito Democratico, attraverso il segretario Perluigi Bersani, definisce quella in discussione alla camera una «legge che non è matura». Dello stesso avviso è la componente cattolica dei Democratici, guidata da Giuseppe Fioroni, attestata sul principio “meglio nessuna legge” di quella proposta dal Pdl.

Futuro e Libertà (Fli) proverà invece la strada della presentazione di un emendamento unico che riscrive completamente il provvedimento, cercando d’intervenire nei punti nodali relativi alle terapie e al fatto che le Dat non sono vincolanti. proverà invece la strada della presentazione di un emendamento unico che riscrive completamente il provvedimento, cercando d’intervenire nei punti nodali relativi alle terapie e al fatto che le Dat non sono vincolanti.

L’Italia dei Valori è risolutamente contraria al testo Di Virgilio e presenterà una mozione di minoranza nonché la pregiudiziale di costituzionalità. Quest’ultima è annunciata anche dai Radicali che, assieme all’Associazione Luca Coscioni e alla Lista Bonino-Pannella, intendono portare il dissenso in piazza come già hanno iniziato a fare con il sit-in organizzato il giorno dell’inizio della discussione in aula.