L’aborto e la bomba demografica, una menzogna esplosiva

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La grande bufala malthusiana, e la bomba demografica a sostegno dell’aborto. Una tesi radicale scoppiata negli anni ’70, usata anche per giustificare la legalizzazione dell’interruzione gravidanza. Era una menzogna, come dimostriamo in questo dossier.


 

Negli anni ’60 e ’70 la teoria malthusiana della bomba demografica fu usata per l’aborto legale.

Una tesi che regnava fra gli accademici, così come ogni libro di sociologia ammoniva che, in qualunque momento, ci si poteva aspettare una tragedia.

Nel suo best seller The Population Bomb (La bomba demografica), Paul Ehrlich, docente alla Stanford University, scriveva: «La battaglia per nutrire tutta l’umanità è finita. Negli anni ’70 il mondo sarà colpito da carestie, centinaia di milioni di persone moriranno di fame».

Naturalmente non accadde nulla di tutto questo, tuttavia gli abortisti colsero l’occasione e iniziarono a parlare lo stesso linguaggio dei catastrofisti, unendosi agli ecologisti radicali.

Ecco dunque l’apologia della sterilizzazione, della contraccezione e dell’aborto come strumenti indispensabili per controllare l’inarrestabile aumento demografico.

Uno dei consulenti scientifici dell’ex presidente americano Barack Obama, l’ambientalista John Holdren, è stato nel 1977 co-autore del libro “Ecoscience: Population, Resources, Environment (W.H. Freeman & Co. 1977) noto per aver suggerito la sterilizzazione di massa e l’aborto forzato per salvare il mondo.

Una degli ex giudici della Corte Suprema, Ruth Bader Ginsburg, che nel 1973 ha liberalizzato l’interruzione di gravidanza negli USA tramite la sentenza Roe vs. Wade, ha ammesso (lasciando intravedere un tocco di eugenetica) nel 2009: «Francamente pensai alla preoccupazione per la crescita della popolazione ed in particolare alle popolazioni che non volevamo crescessero troppo».

Non vi è alcuna prova del fatto che l’alta densità di popolazione inibisca la prosperità umana anzi, è dimostrato che il danno sociale deriva dalla mancanza di forza-lavoro. La popolazione mondiale è triplicata tra il 1900 ed il 2000, ma il boom demografico (dovuto al crollo del tasso di mortalità, tra l’altro) è coinciso con una crescita della produttività, della ricchezza, della sanità come mai nella storia dell’uomo.

Oggi l’uomo vive più a lungo, mangia meglio, produce e consuma di più. La disparità economica è dovuta a politiche sbagliate, non alla crescita della popolazione.

Con questo dossier analizziamo criticamente e smontiamo un argomento a lungo utilizzato a favore dell’interruzione di gravidanza, quello appunto che prevede l’aborto come strumento di controllo demografico per il bene del pianeta e della stessa popolazione umana.


 

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ABORTO E BOMBA DEMOGRAFICA, UNA MENZOGNA

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  • L’8 luglio 2020 Nora McKeon, ex funzionario Fao e docente al master in Human development dell’università Roma3, esperta internazionale di sicurezza alimentare, ha sostenuto relativamente alla crescita demografica:

    «Bisogna innanzitutto cambiare i paradigmi contro la narrativa dominante di un produttivismo necessario per sfamare un popolazione in continua crescita. Non è vero, di cibo ce n’è abbastanza: vi è un problema di accesso, di diseguaglianza. Già oggi sono 3 miliardi i piccoli agricoltori nel mondo, responsabili del 70% del cibo prodotto. Importante è poi svelare il prezzo reale del cibo: quello processato nei supermercati costa meno perché fa pagare tutti gli impatti negativi, sociali e ambientali, alla comunità. Se si calcolasse il vero prezzo, il cibo processato risulterebbe molto più caro di quello agroecologico. Le persone, non gli individui consumatori, devono riappropriarsi del valore sociale, culturale, spirituale del cibo».

 

  • Nell’ottobre 2016 è stato pubblicato il rapporto Cesvi sull’Indice globale della fame, intitolato “Obiettivo fame zero”. Un Indice della Fame con un valore compreso tra 35 e 49,9 indica un fenomeno “allarmante”, uno tra 20 e 34 una situazione “grave”, da 10 a 20 livello “moderato”. A livello globale questo Indice è arrivato a 21,3 nei paesi in via di sviluppo, mentre all’inizio del millennio era a quota 30. Dal 2000 ad oggi, dunque, nonostante l’aumento del numero di popolazione, la fame nel mondo è scesa del 29%.

 

  • Nell’agosto 2016 il giornalista David Harsanyi ha osservato che nonostante la popolazione dell’India sia esplosa dai 450 milioni del 1960 ai 1,25 miliardi di oggi, ogni misura tangibile del progresso umano del popolo indiano dimostra che vivono decisamente meglio oggi di ieri.

 

  • Nell’agosto 2016 lo storico Johan Norberg, esperto di globalizzazione e senior fellow del Cato Institute, ha scritto un articolo spiegando che «non c’è mai stato un momento migliore per vivere, dato che l’umanità non è mai stata più sicura, più sana, più ricca o meno diseguale. La povertà, la malnutrizione, l’analfabetismo, il lavoro minorile e la mortalità infantile stanno calando più velocemente che in qualsiasi altro momento nella storia umana».

 

  • Nel dicembre 2015 sulla rivista Nature è apparso un articolo contro i miti e le false credenze. Tra essi il fatto che la popolazione umana è in crescita esponenziale e, per questo, siamo condannati. Ma la popolazione umana non sta crescendo in modo esponenziale, si spiega, e il mondo ha risorse a sufficienza già oggi per far fronte a ben oltre 9 miliardi di abitanti che vi saranno nel 2050. La malnutrizione è dovuta ad errori nella distribuzione del cibo, non alla sua mancanza.

 

  • Nel novembre 2015 il Dipartimento degli Affari Economii e Sociali dell’ONU ha pubblicato il report 2015 chiamato “World Population Prospects” il quale ha rilevato che l’anno successivo, per la prima volta dal 1950, la forza lavoro complessiva delle economie avanzate diminuirà, e calerà del 5% entro il 2050. La frenata riguarderà anche i Paesi emergenti come la Cina, dove l’inversione di tendenza è già cominciata, e si capisce dalla decisione di mettere fine alla politica del figlio unico. La popolazione in età lavorativa diminuirà del 26% in Corea del Sud, del 28% in Giappone, del 23% in Italia e Germania.

 

  • Nel novembre 2015 l’economista Greg Ip, della Carleton University, sul Wall Street Journal, il maggior quotidiano al mondo di affari e finanza, ha scritto: «nel 1798 Thomas Malthus, un saggista britannico, sostenne che l’umanità si sarebbe riprodotta più rapidamente di quanto potesse aumentare la produzione alimentare, causando fame e povertà. Aveva torto. Nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo, la popolazione del mondo occidentale è cresciuta rapidamente, con un crollo nel biennio 1918-19 a causa della prima guerra mondiale e della pandemia di influenza ‘spagnola’. Ma l’aumento della produttività agricola si è dimostrato più che in grado di alimentare le bocche dei più».

    Ha quindi confermato che i Paesi la cui popolazione cresce, sono destinati a svilupparsi anche dal punto di vista economico. Tuttavia, all’inverno demografico non risponde nemmeno l’immigrazione: «I Paesi che forniscono più immigrati negli Stati Uniti, Messico e Cina, stanno a loro volta invecchiando, e la forbice di persone che cerca una vita migliore all’estero si sta restringendo». La situazione è dunque preoccupante non certo per la bomba demografica, ma per l’inverno demografico, tanto che Paesi come Singapore, Australia, la provincia canadese del Quebec (e la stessa Europa), hanno incoraggiato e offerto finanziamenti alle famiglie per aumentare il numero di figli.

 

  • Nell’ottobre 2015 il report della Banca Mondiale ha rilevato che, grazie alla diffusione del commercio, dei progressi tecnologici e dell’energia, il numero di persone in tutto il mondo che vivono in condizioni di estrema povertà è sceso al di sotto del 10%.

 

  • Nell’ottobre 2015 è stato premiato con il Nobel per l’Economica Angus Deaton. Nel suo libro, “La grande fuga. Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza” (Il Mulino 2015), Deaton ritiene che ci possono essere buone ragioni per provare a limitare la dimensione dei gruppi familiari ma esclude ve ne siano per una forma di «controllo delle nascite da parte di soggetti estranei, quali governi stranieri e istituzioni internazionali». I chierici del mondo ricco hanno tradito i dannati della terra, pensando che una dimensione tanto privata e tanto importante del loro essere uomini e donne fosse “pianificabile” da altri. Ma prima ancora che la prognosi, era la diagnosi ad essere sbagliata. «A dispetto dei profeti di sventura, l’esplosione della popolazione non ha precipitato il mondo nella carestia e nella miseria più nera. Anzi, l’ultimo mezzo secolo ha visto non solo la riduzione della mortalità che ha prodotto l’esplosione, ma anche una fuga di massa proprio da quella povertà e quelle privazioni che avrebbero dovuto essere causate dall’aumento della popolazione stessa».

 

  • Nel giugno 2015 un rapporto delle Nazioni Unite ha valutato che 795 milioni di persone nel 2014 hanno sofferto la fame, 200 milioni un meno rispetto al circa 1 miliardo di persone che soffrirono la fame nel 1990. Tutto questo nonostante la popolazione mondiale sia aumentata di circa 2 miliardi a partire dagli anni ’90.

 

  • Nel maggio 2014 nell’Enciclica Laudato sii Papa Francesco ha scritto: «Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”. Però, «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e «il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero». Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita».

 

  • Nel novembre 2014 Papa Francesco è intervenuto alla conferenza internazionale sulla nutrizione nella plenaria della Fao delle Nazioni Unite, affermando: «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Purtroppo questo paradosso continua a essere attuale».

 

  • Nel settembre/ottobre 2014 il noto oncologo italiano Umberto Veronesi, noto per le sue battaglie a favore di aborto ed eutanasia, ha affermato che «si è parlato e si parla di “bomba demografica”, si lanciano allarmi. Ma sono posizioni in malafede, perché proprio grazie alla scienza c’è uno sviluppo “sostenibile” che può consentire la vita a tutti quanti. Come? Dalla conversione a un modello largamente vegetariano (gli allevamenti consumano risorse preziose, a partire dall’acqua) alla caduta dei pregiudizi ideologici contro i vegetali geneticamente modificati, gli Ogm». In un articolo pochi giorni dopo ha aggiunto: «è necessario trovare un modo per favorire la maternità, è una battaglia difficile perché il progresso è un carro armato che schiaccia tutto». Gravidanza e allattamento, infatti, prevengono i tumori.

 

  • Nel settembre 2013 Erle C. Ellis, professore associato di sistemi di Geography and environmental systems presso l’Università del Maryland ha scritto un articolo sul “New York Times” intitolato “La sovrappopolazione non è un problema” spiegando che il fatto che «gli esseri umani stanno superando la capacità di carico naturale della terra» è «una sciocchezza. Queste affermazioni dimostrano una profonda incomprensione dell’ecologia dei sistemi umani. Le condizioni che sostengono l’umanità non sono naturali e non lo sono mai state. Fin dalla preistoria, le popolazioni umane hanno usato le tecnologie e gli ecosistemi ingegnerizzati per sostenere le popolazioni ben oltre le capacità degli inalterati ecosistemi “naturali” […]. L’idea che gli esseri umani devono vivere entro i limiti ambientali naturali del nostro pianeta nega la realtà di tutta la nostra storia. Gli esseri umani sono creatori di nicchia. Trasformiamo ecosistemi per sostenere noi stessi. Questo è quello che facciamo e hanno sempre fatto. Non c’è ragione ambientale perché le persone siano affamate, ora o in futuro. Gli unici limiti alla creazione di un pianeta per le generazioni future sarà la nostra immaginazione e i nostri sistemi sociali».

 

  • Il 17 agosto 2011 il docente di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, Alessandro Rosina, membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Statistica, del Consiglio Direttivo della Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Statistiche e del Consiglio scientifico della Società Italiana di Demografia Storica, ha risposto agli eco-allarmismi di (già stato citato) Giovani Sartori, il quale si è dichiarato “terrorizzato” da 10 miliardi di persone e ha sostenuto il controllo demografico “ad ogni costo”. Rosina ha risposto: «quello che spiazza è sopratutto l’eccessiva semplificazione nella lettura dei grandi cambiamenti in atto e la brutalità delle soluzioni proposte. Non stupisce invece che Sartori se la prenda anche con i giovani, colpevoli di essere nati e di essere generazionalmente troppo diversi da lui, quindi sbagliati per definizione. Quando si pensa all’eccesso di crescita demografica sono stranamente sempre gli altri, tanto più quanto sono diversi da noi, ad essere troppi». Ha ricordato poi che la crescita della popolazione ha permesso il miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Inoltre il secolo appena iniziato, purtroppo, «sarà quello del rallentamento e della stabilizzazione» della popolazione. La fecondità decresce e la bomba demografica risulta oramai ampiamente disinnescata». Conclude Rosina: «come molti studi però evidenziano, più che misure coercitive sulla riduzione della quantità dei figli, la vera risposta è la promozione dell’investimento sulla qualità delle nuove generazioni per tutte le ricadute positive che produce. Ma questo il Sartori non lo sa o fa finta di non saperlo».

 

  • Il 10 agosto 2011 l’economista Dermot Grenham, docente presso la prestigiosa London School of Economics, membro dell’Institute of Actuaries ed esperto di demografia ed esperto di demografia e popolazione, ha risposto alle accuse che alcuni ecologisti hanno fatto al calciatore David Beckham e a sua moglie per la nascita del loro quarto figlio (evento giudicato un brutto esempio per motivi demografici), dicendo: «Congratulazioni a David e Victoria! L’arrivo di un quarto figlio Beckham è sicuramente una grande notizia per loro, ma è anche una buona notizia per l’economia e per il futuro del pianeta! Non appena una celebrità ha tre o quattro bambini, i doomsayers [cioè i “catastrofisti”] iniziano a lamentarsi dicendo che stanno dando un pessimo esempio. Eppure i tassi di natalità nei paesi più ricchi sono già sotto il livello di sostituzione, in alcuni Paesi ben più al di sotto, il che significa che prima o poi ci sarà una diminuzione del numero dei lavoratori a sostegno degli anziani. Che tipo di società vogliamo lasciare ai nostri figli?».

 

  • Nell’agosto 2010 l’economista Phillip Longman, senior research fellow presso la New America Foundation and Schwartz Senior Fellow al Washington Monthly, ha dichiarato: «La maggior parte dei previsti 2,2 miliardi di crescita della popolazione mondiale entro il 2050, non verrà dai bambini. Infatti, in quel periodo, la popolazione dei bambini (0 a 4) prevede un calo di 49 milioni. Una popolazione giovane, in crescita, crea più domanda di prodotti e una maggiore offerta di lavoro. Incoraggiando così le persone a cercare modi più efficienti per fornire cibo, energia e altri elementi essenziali, stimolando anche l’innovazione e lo spirito imprenditoriale».

 

  • Il 22 giugno 2009 è stato pubblicato uno studio da parte della FAO e della Banca Mondiale, intitolato “Awakening Africa’s Sleeping Giant – Prospects for Commercial Agriculture in the Guinea Savannah Zone and Beyond”“. In esso si spiega che circa 400 milioni di ettari della Savana africana sono molto adatti all’agricoltura, ma solo il 10 per cento di questi sono attualmente coltivati. Secondo lo studio comunque «l’Africa ha oggi una posizione migliore per raggiungere un rapido sviluppo agricolo rispetto al nord-est della Thailandia o del Cerrado. Ci sono una serie di ragioni per questo: la rapida crescita economica, la crescita demografica e urbana, la quale ha fornito mercati nazionali diversi e ampi e l’utilizzo di nuove tecnologie».

 

  • Sempre nel 2008 il già citato economista Julian L. Simon, docente di economia aziendale presso l’Università del Maryland e Senior Fellow presso il Cato Institute, ha pubblicato il libro “The State of Humanity” (Wiley-Blackwell 2008). Nel capitolo intitolato “The Standard of Living Through the Ages”, curato dai demografi Joyce Burnette e Joel Mokyr, si dimostra che assieme alla crescita dei numeri dell’umanità, è cresciuto anche il nostro tenore di vita medio, sottolineando anche che ogni statistica su questo rivela che la popolazione è cresciuta nel tempo e la persona media sta meglio. Attraverso grafici sull’aumento del reddito pro capite, sull’aspettativa di vita media, sull’altezza media, sul consumo calorico, sul consumo di zucchero ecc.., espongono che l’incremento costante è parallelo alla crescita della popolazione nel tempo (citato in http://overpopulationisamyth.com/content/episode-4-poverty-where-we-all-started#header-3)

 

  • Nel gennaio 2008, la Banca Mondiale ha pubblicato un articolo intitolato “Urban Poverty: A Global View”, nel quale si discute degli effetti dell’urbanizzazione (cioè il processo che vede sempre più persone affollare le aree urbane). Secondo il documento, la gente che si trasferisce in aree più affollate non ha solo più probabilità di sfuggire alla povertà, ma starà meglio nel corso del tempo, perché «l’urbanizzazione contribuisce alla crescita economica che è fondamentale per la riduzione della povertà». «Nel complesso», continuano gli esperti della Banca Mondiale, «il processo di urbanizzazione ha svolto un ruolo importante nella riduzione della povertà, fornendo nuove opportunità per i migranti. L’economia urbana fornisce opportunità per molti ed è la base per la crescita e la creazione dell’occupazione».

 

  • Nel 2007, all’interno della sua previsione a lungo termine, la Social Security Administration (SSA) ha riconosciuto che a causa della diminuzione di popolazione, il tasso di crescita dell’economia degli Stati Uniti, ricavata dal totale dei beni e servizi prodotti, sarà più lento. Anche il tasso di partecipazione declinerà costantemente (oltre il 59% entro il 2081). Come rimedio suggeriscono dunque la crescita percentuale di popolazione in età lavorativa che possa così contribuire all’aumento di forza-lavoro.

 

  • Nell’marzo del 2006, durante una relazione alla Texas Academy of Science, Eric R. Pianka, zoologo evoluzionista dell’università di Austin in Texas, ha dichiarato che ««I carburanti fossili stanno finendo: sicchè dobbiamo tagliare la popolazione fino a due miliardi, un terzo di quella che c’è attualmente». Ha esordito deplorando «l’antropocentrismo», la malaugurata idea che l’uomo occupi un posto privilegiato nel mondo («Non siamo meglio dei batteri!», ha detto). La crescita della popolazione umana sta «rovinando» il pianeta e bisogna salvarlo prima che sia troppo tardi. Per farlo, ha dichiarato di fronte alla platea, occorre che la popolazione umana sia ridotta al 10% di quella attuale («oltretutto, i carburanti fossili sono alla fine»). Ha quindi lodato la politica cinese del figlio unico, con sterilizzazione forzata delle donne che infrangono la norma: «dovremmo sterilizzare ognuno sul pianeta», ha esclamato: «se no, gli incoscienti erediteranno la terra». Ha augurato lo scoppio dell’influenza aviaria, anche se «ancora non basterebbe». L’Aids è decisamente troppo lento, e quindi il primato dell’efficienza lo ha attribuito al virus dell’Ebola: «si diffonde per via aerea e ammazza il 90 % degli infettati. Pensateci», ha detto rivolgendosi al pubblico. Ha quindi ipotizzato che questo virus venga adeguatamente «mutato» in laboratorio per renderlo ancora più contagioso.

 

  • Nell’aprile 2005 l’importante economista Julian L. Simon, docente di economia aziendale presso l’Università del Maryland e Senior Fellow presso il Cato Institute, ha dichiarato in un’intervista per Religion & Liberty: «La crescita della popolazione non ha un effetto statisticamente negativo sulla crescita economica. Sappiamo che da 30 anni gli studi scientifici dicono l’opposto di ciò che la gente crede: la conoscenza umana ci permette di produrre più prodotti utilizzando sempre meno materie prime, così le risorse naturali sono sempre più disponibili. L’aria e l’acqua nei paesi ricchi stanno diventando sempre più pulite. Se guardiamo i Paesi più densamente popolati, come Hong Kong, Singapore, Olanda e Giappone, notiamo che stanno crescendo più velocemente dei Paesi meno densamente popolati, come quelli africani». In alcuni suoi testi ha portato questo piccolo esempio: il Bangladesh e Gaza (zone a basso standard di vita) sono densamente popolate, ma lo sono anche Hong Kong e Monaco (zone ad alto standard di vita). La South Korea ha 2,5 volte la densità di popolazione della North Korea, eppure presenta un maggiore standard di vita. Il Porto Rico e il Giappone sono più densamente popolati del Ruanda e dello Sri Lanka, dove la qualità di vita è minore. Gli Stati Uniti hanno la stessa densità di popolazione dello Zimbabwe ecc.. Conclude dicendo che lo standard di vita non è significativamente associato alla densità di popolazione, piuttosto lo sviluppo umano dipende in modo critico dalle economie libere, dall’assenza di guerra, di corruzione e di lotta politica. In modo ancora maggiore dipende dalle politiche governative, infatti si nota che i Paesi con peggior standard qualitativo non sono quelli più densamente popolati, ma maggiormente sono di stampo socialista e marxista.

 

  • Il 2 novembre 2004 il Sole 24Ore ha ospitato un articolo dell’economista ecologista Jeffrey Sachs, direttore del Earth Institute e consigliere speciale del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, il quale ha ancora una volta sostenuto la “bomba demografica”, riconoscendo però che «sulla questione demografica il dibattito nel mondo è confuso». Tuttavia, ha continuato, «chi teme una popolazione eccessiva ha argomentazioni migliori» e comunque «i Governi dovrebbero evitare politiche di incentivi alle nascite, anche laddove il tasso di natalità è molto basso». Sachs riconosce il calo demografico in Occidente, ma se la prende con gli abitanti del Terzo Mondo, i quali «non conoscono le tematiche della contraccezione e della pianificazione familiare». Ecco dunque riproposti i soliti allarmismi ecologisti degli anni ’70: «Due miliardi e mezzo di persone in più creeranno una pressione gigantesca sul pianeta. L’utilizzo dell’energia sta già crescendo enormemente per l’effetto combinato dell’aumento del reddito pro capite e della popolazione complessiva. Le conseguenze includono una rapida deforestazione, il depauperamento delle risorse ittiche e delle terre fertili, il degrado dell’habitat e la perdita di biodiversità. La crescita demografica nei Paesi in via di sviluppo – soprattutto Africa, India e altre aree dell’Asia – deve rallentare». E ancora: «una parte dell’opinione pubblica europea, preoccupata dal calo demografico del Vecchio continente, vorrebbe andare in una direzione opposta, cercando di aumentare la dimensione delle famiglie. Sarebbe un grave errore». Sostiene quindi che meno giovani non sono un problema, basterà alzare «l’età del pensionamento oltre i 65 anni». Inoltre ci saranno «minori spese da affrontare per l’educazione dei figli e si renderanno disponibili più risorse per maggiori investimenti in servizi pubblici. E in generale migliorerà la qualità della vita, con città meno congestionate e minore inquinamento». Conclude Sachs: «non è certo rivoluzionario un appello a frenare il boom demografico […] che porta a una pressione tremenda sulla Terra, obbligandoci a moltiplicare gli sforzi per rallentare la crescita demografica e per migliorare qualità della vita e sostenibilità ambientale».
    A Sachs risponde l’antropofenomenologo Giorgio Bianco, il quale nota che i dati citati da Sachs non sono per nulla sufficienti a dimostrare un nesso causale fra densità di popolazione e trend demografici da un lato, e povertà dall’altro. Sachs, come tutti i neomalthusiani, non notano che sono proprio i Paesi attualmente più poveri e sottosviluppati ad essere quelli meno intensamente popolati. L’equazione “sovrappopolazione = povertà” è stata già più volte smentita, e Bianco cita ad esempio “Il mondo in cifre” (Internazionale 2004), traduzione italiana di Pocket World in Figures, pubblicazione legata al prestigioso quotidiano The Economist, dove si riportano i dati stilati dall’UNDP, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, per cui l’India presenta una densità di popolazione di 312 abitanti per km2, con un PIL pro capite di 470 dollari e un Indice di sviluppo umano pari a 57,7, mentre il Belgio fa registrare una densità di popolazione di 337 abitanti per km2, un PIL pro capite di 22.370 dollari, e un indice di sviluppo umano pari a 93,9. Tutto il contrario dell’opinione di Sachs. Anche l’assunto per cui i Paesi più poveri siano quelli in cui si registra la più bassa densità di popolazione è sbagliata: la superficie del Madagascar, ad esempio, è di 587.940 km2, mentre quella del Giappone è di 377.835 km2. Tuttavia gli 11 milioni di malgasci muoiono di fame, mentre i giapponesi sono, con il loro reddito pro capite, il secondo popolo più ricco del mondo. Anche sull’argomento “risorse naturali” Sachs dimostra un approccio non scientifico, poiché vengono considerate come un dato fisso, immutabile e conosciuto (per sostenere che l’equazione “aumento della popolazione = diminuzione delle risorse”). In realtà, continua Bianco, la quantità di risorse conosciuta è sempre minore di quella che esiste in realtà: è il bisogno, strettamente legato allo sviluppo, che spinge a cercare e a trovare nuovi giacimenti di risorse conosciute, e ad inventarne delle nuove. Il concetto di risorsa non è definito dalla natura: non esiste nulla che possa essere considerato risorsa in quanto tale (oltre ad acqua e aria), sono la creatività e la tecnologia umana a trasformare, di volta in volta, sostanze, elementi, componenti della natura, magari in precedenza considerati del tutto inutili (come petrolio e silicio, ad esempio). Il progresso scientifico e tecnologico potrebbe dunque metterci a disposizione risorse che, allo stato attuale, neppure ci immaginiamo. La prima, fondamentale, imprescindibile risorsa è proprio l’uomo, con la sua capacità di adattarsi al cambiamento delle circostanze e delle relative esigenze.

 

  • Il 4 ottobre 2004 il quotidiano Il Foglio ha pubblicato in prima pagina un articolo intitolato “Il problema del mondo è che i cinesi fanno pochi figli”, in cui si riportava la dichiarazione su Newsweek di Michael Meyer, oggi speechwriter del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon: «Nel mondo stanno nascendo sempre meno bambini. Il tasso di fertilità è calato dai 6 figli per donna del 1972 ai 2,9 di oggi, e i demografi dicono che continuerà a scendere più veloce che mai. La popolazione mondiale continuerà a crescere, dagli attuali 6,4 miliardi ai 9 del 2050. Ma dopo questa data, inizierà a diminuire in modo netto». Meyer ha anche dichiarato: «La crescita dell’alfabetizzazione femminile e l’iscrizione nelle scuole ha determinato una diminuzione della fertilità, così come i divorzi, l’aborto e la tendenza a spostare sempre più avanti la data del matrimonio. L’uso dei contraccettivi, inoltre, è cresciuto drammaticamente negli ultimi decenni. Secondo le Nazioni Unite, il 62% delle donne sposate, o comunque “unite”, in età riproduttiva sta usando adesso qualche forma di controllo non naturale delle nascite».

 

  • Il 23 settembre 2004 il responsabile della sezione economica del quotidiano Repubblica, Giuseppe Turani, ha pubblicato un articolo intitolato “Il mondo invecchia e diventa più povero” nel quale commenta l’ultima analisi del Fondo monetario internazionale (Fmi): nel 2050 l’età media della popolazione mondiale aumenterà di 10 anni e crescerà sempre meno. Inevitabile un rallentamento del Pil pro-capite. Subito riconosce che sta avvenendo «proprio il contrario della vecchia teoria malthusiana secondo cui il boom demografico è strettamente connesso allo sviluppo economico». Un mondo con più vecchi, infatti, significa che diminuisce il numero di persone che produce, e questo si traduce in un’economia destinata a crescere più lentamente. Secondo il Fmi, continua l’articolo, la popolazione globale nel 2050 è stimata in crescita dello 0,25% contro l’1,25% attuale: è il risultato di un invecchiamento senza precedenti. In gran parte del paesi avanzati l’invecchiamento della popolazione è già in atto e la percentuale di popolazione attiva calerà significativamente nei prossimi 50 anni (negli USA il processo è rallentato da una forte immigrazione). Nel sudest asiatico e nell’Europa centrale e orientale, invece, questo trend prenderà il via a partire dal 2020, mentre nei paesi in via di sviluppo e in particolare in Africa e nel Medio Oriente si farà sentire solo nell’arco di alcuni decenni. Il rapporto del Fmi, continua Turani, mette anche in luce la progressiva diminuzione della popolazione dei paesi avanzati rispetto a quella del resto del mondo. Tutto questo comporterà un forte innalzamento della spesa previdenziale e sanitaria e un calo del pil pro capite, cioè un impoverimento generale. Per quanto riguarda il tasso di risparmio, il Fmi nota che in Europa e in Giappone calerà fortemente, a causa dell’invecchiamento della popolazione e del declino dei lavoratori attivi, portando anche un calo delle entrate fiscali. Per quanto riguarda il numero di persone nel 2050, secondo l’Onu, saranno 8,9 miliardi, secondo il Census Bureau Usa 9 miliardi e secondo l’IIASA (International Institute for Applied Systems Analysis) e la Banca mondiale saranno 8,8 miliardi.

 

  • Nel 2003 è uscito in Italia il libro “La terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo” (Rizzoli 2003), scritto dal politologo Giovanni Sartori e da Gianni Mazzoleni. I due autori dichiarano di voler confutare l’opinione, fra gli altri, di Gary Becker, premio Nobel per l’Economia nel 1992, secondo cui la teoria maltusiana è fallita perché la crescita della popolazione è stata fondamentale per lo sviluppo economico. Fra i principali testi di riferimento di Sartori e Mazzoleni c’è “The Limit to Growth” (1972), il già citato studio commissionato dal Club di Roma. I due autori ritengono erroneamente, come gran parte degli ecologisti, le risorse naturali come una quantità fissa, e invece il concetto di risorsa non è definito dalla natura, ma dalla tecnologia che può essere utilizzata (si pensi a petrolio e silicio). Sartori attacca invece proprio la tecnologia, la quale «ci consente di vivere e di sopravvivere in modo innaturale, oltrepassando i limiti imposti dalle risorse naturali». E’ invece proprio il progresso scientifico e tecnologico, spiega l’antropofenomenologo Giorgio Bianco su Il Domenicale (citato in J. Jacobelli, “Emergenza demografia”, Rubettino 2004, pp. 69,70), a consentire di perpetuare e moltiplicare la disponibilità di risorse agevolando la scoperta di riserve sconosciute in precedenza o consentendo lo sfruttamento di risorse precedentemente troppo costose da utilizzare. E perché esistano le tecnologie occorrono idee, e le idee, va da sé, le hanno gli uomini: più uomini, più idee, più risorse. Si comprende bene, spiega Bianco, perché l’economista libertario Julian L. Simon abbia intitolato il suo libro più importante “The Ultimate Resource”, la risorsa decisiva, il bene supremo, ovvero l’uomo. Sartori sostiene inoltre che «la fame (e ancor più la sete) sta vincendo, e vincerà sempre più, perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è di aumentare il cibo ma di diminuire le nascite, e cioè le bocche da sfamare». E si cita il solito (e unico) esempio della situazione nell’Africa subsahriana, dove esistono spaventose condizioni umane e un aumento della popolazione. Oltre al fatto che in quest’area dell’Africa ci sono anche Stati con la più bassa densità di popolazione al mondo, come la Repubblica Centrafricana (6 abitanti per kmq) o il Gabon (5 abitanti per kmq), il sottosviluppo è dovuto essenzialmente a motivi politici ed economici oltre che culturali. E non certo demografici. Lo spiega bene Anna Bono, docente di Scienze Sociali presso l’Università di Torino ed esperta di Africa, nel suo libro “La nostra Africa. Una catastrofe annunciata” (Il segnalibro 1998), la quale spiega che «mentre altre culture hanno elaborato tecniche sempre più complesse ed efficaci per trarre dalla terra risorse sicure e abbondanti, l’Africa sembra essersi fermata all’età del ferro»: si lavora male il terreno, senza bonifiche o canalizzazioni, metodi di produzione arcaici, rapporti sociali basati sullo sfruttamento della forza lavoro di donne e bambini piuttosto che uomini ecc.. Inoltre, continuare a sostenere l’equazione “sovrappopolazione = fame e sottosviluppo“, significa non riflettere sul fatto che dal 1960 ad oggi, la popolazione mondiale è quasi raddoppiata (ed è cresciuta di sei volte negli ultimi 200 anni), ma questo non si è tradotto in un disastro, bensì in un generalizzato sviluppo e in un aumento della qualità e delle aspettative medie di vita. Il boom demografico ha coinciso con una crescita della produttività, della produzione, della ricchezza, della sanità come mai nella storia dell’uomo. Questa esplosione è comunque data, come ha dimostrato lo studio preparato nel 2001 dalla Population Division del Department of Economic and Social Affairs dell’ONU, intitolato “Population, Environment and Development”, non tanto perché si nasce di più ma perché si muore di meno.

 

  • Il 3 febbraio 2003 il Corriere della Sera informava dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, nel quale si è dichiarato che la popolazione mondiale supererà appena la soglia degli 8 miliardi di persone nel 2050 (entro il 2075 potrebbe diminuire di mezzo miliardo). Si annuncia anche il crollo del tasso di fertilità, riconoscendo che le previsioni secondo cui le risorse del Pianeta a metà secolo dovranno sostenere una massa d’umanità pari a 10 o 11 miliardi di abitanti, erano errate. Le nascite in Occidente sono infatti al minimo storico (1,6 bambini per donna) e anche nei Paesi in via di sviluppo le donne oggi hanno meno figli. Larry Heligman dell’ONU, ha spiegato al Sunday Times: «I dati indicano che la fertilità sta diminuendo rapidamente anche nei Paesi in via di sviluppo e non c’ è nulla che lasci pensare che il calo si fermerà». Per le Nazioni Unite, continua l’articolo, la vera sorpresa è rappresentata da Paesi dove sino a poco tempo fa la popolazione cresceva a ritmi preoccupanti: in Iran, da 6,5 figli per donna nel 1980, si è scesi oggi ad una media di 2,75 figli. La stessa tendenza si è manifestata in Brasile, in Tunisia e in Indonesia. L’India in 30 anni è passata da 5,43 a 2,97 figli per donna, la Cina da 3,32 a 1,80, in Tailandia, negli anni ’70, le donne mettevano al mondo cinque bimbi a testa, oggi la media è 1,9. Il Corriere della Sera riporta anche il parere di Ron Bailey, autore del libro “Ecoscam: the false prophets of ecological apocalypse” (S. Martin Press 2004) e redattore scientifico del magazine Reason: «Questi sono dati che sorprenderanno gli ambientalisti che continuano a lanciare l’allarme sulla fame e sulla siccità. Le loro paure sono state alimentate principalmente dalla tesi che che gli esseri umani si comportano come gli animali: più mangiano e più si riproducono. Sembra chiaro, invece, che gli uomini si comportano esattamente nel modo opposto». La diminuzione del tasso di crescita, conclude l’articolo, comporta anche un invecchiamento graduale della popolazione: sempre meno lavoratori a mantenere sempre più anziani, con costi sempre maggiori per Welfare e pensioni.

 

  • Nel marzo 2002 il docente emerito di economia alla Humboldt State University di Arcata (California), Jacqueline Kasun, e direttore editoriale del Center for Economic Education, ha pubblicato un articolo su Population Research Institute Review, in cui accusa i creatori del mito della sovrappopolazione. Scrive infatti: «E’ facile credere che il mondo sia sovrappopolato, perché gli esseri umani hanno sempre vissuto in condizioni di sovraffollamento e lo sono in questo momento. Ma lo fanno non tanto per mancanza di spazio sul pianeta, ma a causa della necessità di lavorare insieme, per comprare e vendere, dare e ricevere beni e servizi da un altro […]. Gli esseri umani in realtà non utilizzano più del 1-3 % della superficie terrestre per le loro aree urbane (strade, ferrovie e aeroporti). Tutte le persone del mondo possono muoversi nello stato del Texas e formare una città gigante con una densità di popolazione simile ad alcune grandi città di oggi (6 miliardi di abitanti divisi per 262 mila miglia quadrate di terreno nel Texas sono pari a circa 23.000 per chilometro quadrato). Inner London ne contiene 21.000 per ogni miglio quadrato e Parigi ne ha 50.000, secondo la Encyclopedia Britannica online».

 

  • Nel 2001, un coinciso rapporto delle Nazioni Unite ha riconosciuto che «Il ventesimo secolo è stato un secolo senza precedenti per crescita demografica, sviluppo economico e cambiamenti ambientali. Dal 1900 al 2000 la popolazione è aumentata da 1,6 a 6,1 miliardi di persone. Comunque, mentre la popolazione mondiale è quasi quadruplicata, il prodotto interno lordo effettivo del mondo (PIL) è cresciuto da 20 a 40 volte, permettendo al mondo di sostenere una popolazione quattro volte maggiore, ma anche di farlo secondo standard di qualità della vita decisamente elevati. L’aumento della popolazione e lo sviluppo economico sono avvenute simultaneamente con un utilizzo delle risorse fisiche ambientali terrestri sempre meno sostenibile». Purtroppo stabilisce anche che «i tassi di crescita della popolazione stanno generalmente diminuendo […], tra il 1965-1970 e il 2000-2005, il tasso di fertilità a livello mondiale è diminuito da 4,9 a 2,7 nascite per ogni donna». Nonostante l’esplosione demografica, «la percentuale della popolazione mondiale che vive in assoluta povertà (che ha un reddito inferiore a un dollaro statunitense al giorno) si è abbassata da circa il 28 per cento nel 1987 al 24 per cento nel 1998». Per quanto riguarda la produzione agricola mondiale, essa ha «camminato più in fretta della crescita della popolazione e il prezzo reale degli alimenti è diminuito. Nel periodo tra il 1961 e il 1998 la quantità di cibo mondiale a disposizione dell’uomo, pro capite, è aumentata del 24%. Oggi si produce una quantità di cibo sufficiente a nutrire adeguatamente la popolazione mondiale».

 

  • Nell’aprile 2001 Nicholas Eberstadt, docente presso l’American Enterprise Institute e Senior Adviser al National Bureau of Asian Research, considerato uno dei maggiori esperti mondiali in campo demografico, ha scritto su Global che «la “bomba demografica” era un abbaglio» e che le economie rallenteranno proprio a causa del crollo dei tassi di fertilità. Ha continuato: «Nei decenni 70 e 70 si prospettava un futuro di carestia e impoverimento globale in seguito alla paventata “esplosione della popolazione”, mentre oggi viviamo nella fase più prospera della storia dell’umanità. Quando si fanno previsioni riguardo ai futuri sviluppi della popolazione e alle sue conseguenze, è opportuno usare una buona dose di umiltà». Eberstadt considera molto positiva la crescita della popolazione e ha affermato che: «il numero di abitanti della terra sarebbe del 50% superiore se non fossero intervenuti altri cambiamenti demografici. Al momento la popolazione mondiale assomma a circa 6 miliardi di individui, che sarebbero stati più di 9 miliardi se nel corso del XX secolo non si fossero modificati i modelli di fertilità». Ha lanciato anche un allarme sul declino demografico: «Malgrado l’ansietà creata dall’esplosione demografica non sapremmo dire se l’era “post esplosione” costituisca una prospettiva più rosea […]. Di tutti i mutamenti, il più importante è il declino secolare della fertilità, cioè la sostenuta e progressiva riduzione delle dimensione delle famiglie a causa del controllo delle nascite attuato da potenziali genitori». Ha concluso ribadendo la necessità di contrastare il declino demografico, «se vogliamo che tra 25 anni il mondo sia più umano di quello in cui viviamo oggi» (N. Eberstadt, “Liberiamo le cicogne”, Global FP numero 8 , aprile 2001, pp. 6-12).

 

  • Nel 2001 è stato pubblicato un libro, divenuto poi molto famoso, intitolato “The Death of the West” (Thomas Dunne Books 2001) e scritto da Patrick J. Buchanan, politico e noto opinionista americano, più volte candidato alle elezioni presidenziali. Basandosi su dati ufficiali, per la maggior parte elaborati dalle Nazioni Unite, Buchanan ha avvertitio che il collasso demografico dei popoli di origine europea, al contrario delle teorie ecologiste, ha raggiunto livelli così preoccupanti da far temere nel XXI secolo un evento che all’inizio del XX secolo sembrava inimmaginabile: “la morte dell’’Occidente“, cioè l’estinzione planetaria dei popoli bianchi. Agli inizi del Novecento, infatti, un abitante della terra su tre era di origine europea, e nel 1960, malgrado due catastrofiche guerre, erano ancora circa uno su quattro (750 milioni su 3 miliardi). Infatti, mentre la popolazione mondiale è raddoppiata, gli europei hanno progressivamente cessato di riprodursi diventando nel 2000 un sesto della popolazione mondiale (sarà solo un decimo nel 2050). Oggi 18 delle 20 nazioni del mondo con la più bassa natalità sono europee. Il tasso di natalità è di 2,1 figli a donna, il minimo necessario per la stabilizzazione della popolazione e molto vicino al tasso presente durante la peste nera del 1347-52. Il demografo Nicholas Eberstadt ha calcolato che nel 2050 solo il 2 % della popolazione avrà più di cinque anni, mentre il 40 % sarà ultrasessantacinquenne. E’ nota la frase di Buchanan contenuta nel libro: «L’Europa diventerà un continente abitato da vecchi, in vecchie case, e con vecchie idee» (citato in G. Piombini, Nel mondo meglio essere tanti, Il Domenicale 23/8/03 2001).

 

  • Nel 2001 le previsioni stilate dall’ONU per i futuri anni hanno indicato un forte rallentamento delle nascite, al contrario dei fautori della “bomba demografica”. Attualmente la crescita è di 76 milioni di persone annue, e la previsione parla di 43 mlilioni nel 2050. Antonio Gaspari, coordinatore scientifico del Master in Scienze Ambientali dell’Università Europea di Roma, in una recensione intitolata “Bomba demografica e relativismo morale” commenta questa previsione parlando di “inverno demografico“, poiché la percentuale di crescita demografica è inferiore allo zero, con meno di 2,1 bimbi per donna. Le Nazioni Unite prevedono che nel 2050 la Russia avrà 25 milioni di persone in meno, il Giappone meno 21 milioni, l’Italia meno 16 milioni, Germania e Spagna meno 9 milioni. L’Europa ed il Giappone nel 2100 perderanno metà della loro popolazione attuale. Nel 2050 dunque le persone sopra ai 65 anni saranno il doppio dei giovani sotto ai 15 anni, con conseguenze economiche disastrose: chiusura scuole, perdita di posti di lavoro, crisi del sistema pensionistico, crollo del commercio e rallentamento dell’innovazione tecnologica fino alla stasi (A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale).

 

  • Il 10 luglio 2000, il prof. Amartya Sen, premio Nobel per l’economia 1998, padre della rivoluzione agricola dell’India, intervenendo ad un seminario a Roma “Sulla disuguaglianza”, ha dichiarato: «Io penso che l’analisi di Malthus sulla crescita della popolazione sia completamente sbagliata. La storia e l’esperienza hanno dimostrato che l’istruzione delle donne è quella che permette di ridurre la fertilità. La produzione agricola inoltre è cresciuta sempre più rapidamente della popolazione. Non c’è quindi nessuna ragione di applicare queste idee antidemocratiche e antiumane di Malthus». Ha poi aggiunto che, nonostante l’incredibile crescita della popolazione dell’ultimo secolo, «il cibo, in termini reali, è molto più a buon mercato oggi di quando Malthus scrisse il suo Essay on population» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 4,5). Dello stesso parere anche un altro Nobel per l’economia, il professor Gary Becker, secondo cui «la teoria maltusiana non è sostenuta da nessuna prova, anzi si sono verificate alcune circostanze che dimostrerebbero il contrario e cioè che la crescita della popolazione è stata fondamentale per lo sviluppo economico. Bisogna stabilire un legame ottimista e non pessimista nei confronti della crescita demografica, visto che l’approccio maltusiano ha mostrato per intero la sua inesattezza e la sua inattendibilità» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 7).

 

  • Nel marzo 2000 l’economista John D. Mueller, Lehrman Institute Fellow in Economia, direttore del Economics and Ethics Program at the Ethics and Public Policy Center e presidente del LBMC LLC, ha scritto un articolo intitolato “The Socioeconomic Costs of Roe v. Wade. How America would be Stronger if Abortion Remained Illegal”, dove sostiene che «dopo quasi trent’anni, i dati suggeriscono che l’aborto è stato tutt’altro che buono per gli Stati Uniti. Riducendo le dimensioni della popolazione, l’aborto ha corrispondentemente ridotto le dimensioni dell’economia e dell’innovazione. L’aborto legalizzato è anche il solo responsabile degli squilibri nel sistema di sicurezza sociale pensionistico. Preso nella sua interezza, l’aborto legale è forse il più grande evento economico americano del secolo scorso, più significativo di quello della Grande Depressione o della Seconda Guerra Mondiale. Se l’aborto fosse rimasto illegale, la popolazione americana sarebbe notevolmente più grande, conterrebbe una quota maggiore di matrimoni e famiglie intatte e gli standard di vita media sarebbero più alti». Più in particolare, «gli economisti sono d’accordo che l’effetto dei cambiamenti demografici sull’economia è approssimativamente proporzionale. Cioè, se la popolazione si riduce del 10%, la dimensione dell’economia sarà corrispondentemente ridotta di circa il 10%. Nessuna prova suggerisce, almeno in un’economia moderna, che una popolazione più grande abbia un impatto negativo sul reddito pro capite. Al contrario, i paesi avanzati con più veloce crescita della popolazione sembrano avere un aumento più rapido degli standard di vita». L’economista calcola che quasi trent’anni di aborto legale hanno ridotto la popolazione degli Stati Uniti di circa dell’11%, con una perdita netta di almeno 1.170 miliardi dollari rispetto a quanto sarebbe stato se la popolazione degli Stati Uniti non si fosse ridotta. Inoltre, «una grande quantità di letteratura sostiene che il progresso tecnologico è più dinamico in un’economia con una popolazione in crescita rispetto a uno con una popolazione stagnante o in calo. L’aborto legale mina una fonte primaria di alto livello degli Stati Uniti di vita rispetto al resto del mondo: l’innovazione». Concludendo afferma: «l’aborto legale ha iniziato a ridurre drasticamente l’importanza economica relativa degli Stati Uniti, ha abbassato il tenore di vita medio delle famiglie americane, e ha scatenato un comportamento socialmente distruttivo».

 

  • Nel 1999 nel numero 889 di Tuttoscienze, supplemento scientifico de La Stampa, in un articolo titolato “L’umanità? Costituisce solo lo 0,01% delle forme di vita ”, si sostiene che: «Sei miliardi di Homo sapiens. Nessun altro mammifero si è mai avvicinato a una cifra così imponente, tanto che qualcuno ha paragonato la proliferazione umana a un cancro della biosfera […]. Ma dal punto di vista quantitativo non dobbiamo sopravvalutarci. La biomassa umana equivale a quella delle formiche e, distribuita sulla superficie dell’intero pianeta, formerebbe una pellicola spessa meno di un millimetro, quasi invisibile. L’uomo, benché abbia raggiunto i sei miliardi di individui, equivale ad appena lo 0,01 per cento della biomassa, ed è quindi quantitativamente trascurabile rispetto agli insetti e agli altri animali, per non parlare del regno vegetale».
    In un secondo articolo intitolato “Nel 2100 il mondo a crescita zero. E nel 2010 il sorpasso delle città sulla popolazione rurale”, si legge: «La popolazione mondiale dal 1900 ad oggi è aumentata di circa quattro volte, e l’aspettativa di vita è passata dai 35 anni del 1900 ai 66 di oggi. Ma grazie alla scienza e alla tecnologia nello stesso periodo di tempo il prodotto mondiale lordo è aumentato molto più rapidamente, incrementandosi di diciassette volte (da 2300 miliardi di dollari nel 1900 ai 39.000 miliardi del 1997). Anche da questo punto di vista, ammettendo che la popolazione mondiale sia destinata a stabilizzarsi intorno ai 12 miliardi, non c’è dunque un problema di risorse ma di una equilibrata distribuzione del benessere e di una educazione ecologica di massa al corretto uso dell’ambiente. Un solo dato: all’inizio del ‘900 ogni agricoltore americano produceva cibo sufficiente per nutrire altre sette persone; oggi lo stesso agricoltore può sfamarne 96». Dunque con metà delle terre coltivate oggi si producono molti più cereali di quelli prodotti negli anni 50, anche se l’incremento demografico ha ridotto del 50% pro-capite le terre coltivate a cereali. La capacità di produrre il doppio dei prodotti alimentari nello stesso spazio dove prima si riusciva a produrne solo uno, ha potuto permettere, secondo uno studio della Banca Mondiale pubblicato nel 1988 (E. Grilli e M.C. Yang, “Primary commodity Prices, Manufactured Goods Prices, and the Terms of Trade: What the Long Run Shows”, World Bank Economic Review 2, n.1 , 1988, pp. 1-47), che il prezzo reale delle derrate alimentari durante il XX secolo sia calato del 40% (e del 57% dal 1980), mentre la produzione procapite di grano sia cresciuta del 24% dal 1950. La chiave del successo risiede nello sviluppo scientifico e nell’applicazione di nuove tecniche come il miglioramento delle sementi, l’utilizzo dei fertilizzanti chimici, l’applicazione dei fitofarmaci per limitare gli attacchi dei parassiti, la diffusione di nuovi macchinari agricoli.
    In un terzo articolo, intitolato “Siamo sei miliardi e c’è ancora posto”, Piero Bianucci, tra i fondatori e direttore di Tuttoscienze, afferma: «Sei miliardi è la cifra che rappresenta l’attuale popolazione mondiale. Non è il caso di dare la stura alla retorica apocalittica sulla massa dilagante dei nostri simili e sul loro oscuro destino, cosa che i giornali hanno già fatto a sufficienza […]. Le risorse sono limitate, limitato deve essere il numero degli utilizzatori. Ma il problema più immediato non sta tanto nella scarsità delle risorse quanto nell’uso che ne facciamo». Bianucci infatti spiega, dati alla mano, che con una migliore gestione politica del pianeta potremmo “offrire una alimentazione e una sanità di base a tutti coloro che sono sotto la soglia minima di sopravvivenza».

 

  • Nel 1999 Jean Ziegler, incaricato dalle Nazioni Unite per i programmi di lotta alla fame, nel suo libro “La fame del mondo spiegata a mio figlio” (Pratiche editrice 1999), ha riconosciuto: «La teoria di Malthus è falsa e propugna una politica disumana, ma serve a placare la cattiva coscienza»<.

 

  • Sempre nel 1998 la nota attivista americana Frances Moore Lappé, autrice di diversi libri (da tre milioni di copie), co-fondatrice di tre organizzazioni nazionali che esplorano le radici della crisi di fame e della povertà, 17 lauree ad honorem da parte di molte illustri istituzioni e collaboratrice delle più importanti università americane, ha scritto (assieme a Joseph Collins, fondatore dell’Oakland-based Institute for Food and Development Policy) il libro World Hunger: Twelve Myths (Grove Press 1998). Il sito Amazon.com, la più importante compagnia di commercio elettronico, lo ha recensito con queste parole: «Il libro più autorevole sulla fame nel mondo, scritto da tre dei maggiori esperti sui prodotti alimentari e agricoltura, i quali espongono ed esplorano i miti che ci impediscono di affrontare efficacemente il problema». Il sito dell’UNESCO ha pubblicato una sintesi delle conclusioni a cui si giunge nel volume[41]. Rispetto al mito che vuole identificare l’esistenza della fame nella scarsità sia di cibo che di terreni, risponde dicendo: «La scarsità di cibo non può essere considerata la causa della fame quando anche negli anni peggiori della carestia c’è sempre stato molto cibo nel mondo, abbastanza grano da fornire a tutti 3000-4000 calorie al giorno, senza contare i fagioli, tuberi, frutta, verdura e cereali. E che dire della scarsità di terreno? Abbiamo esaminato i paesi più affollati del mondo per trovare una correlazione tra densità di popolazione e la fame. Non abbiamo trovato nulla. Il Bangladesh, ad esempio, ha appena la metà delle persone per ettaro coltivato di Taiwan. Taiwan non ha ancora “fame”, mentre la gente in Bangladesh soffre spesso la scarsità di cibo. La Cina ha più del doppio di persone per ogni ettaro coltivato rispetto a molti altri Paesi. Eppure, in Cina le persone non hanno “fame”. Al contrario, in America Centrale e nei Caraibi, dove sono denutriti fino al 70% dei bambini, almeno la metà dei terreni agricoli è usato per colture di esportazione e non per alimentare la popolazione locale». Rispetto al mito della sovrappopolazione e della conseguente scarsità di cibo, si risponde: «Se la fame è causata da “troppa gente”, ci aspetteremmo di trovare persone più affamate nei Paesi con maggior numero di persone per ettaro agricolo. Eppure non troviamo una tale correlazione. Paesi con quantità relativamente grandi di terreni agricoli per persona sono alcuni tra i più sofferenti di fame cronica nel mondo. La fame è un problema ricorrente per molte persone in Bolivia, per esempio, un Paese con oltre la metà di terreni coltivati a persona, molto più che in Francia. Il Brasile ha più terra coltivata a persona rispetto agli Stati Uniti. Il Messico, dove molti abitanti delle zone rurali soffrono la denutrizione, hanno più terra coltivata a persona di Cuba, dove oggi nessuno è praticamente denutrito». Una sintesi dei 12 miti è presentata anche sul sito dell’Institute for Food & Development Policy (http://agris.fao.org/agris-search/search/display.do?f=1991%2FXF%2FXF91023.xml%3BXF9095077 e citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, p. 12).

 

  • Nel 1998 il “Rapporto sullo sviluppo umano” stilato dall’Union Nations Develompent Programme (Undp) ha commentato l’incredibile aumento di popolazione avvenuto tra il 1932 ed il 1990 in Machakos (Kenya), cresciuta da 240.000 persone a 1,4 milioni. Non vi è stata alcuna catastrofe ma sono state introdotte nuove e moderne tecniche di miglioramento agricolo, raccolti integrati e allevamento del bestiame che hanno sviluppato la sostenibilità dell’intero sistema. Di fatti tra il 1930 ed il 1987 la produttività di cibo e i raccolti di grano sono cresciuti di più di sei volte. La produttività dell’orticoltura è cresciuta di quattro volte. Il rapporto dice: «L’esperienza di Machakos offre un’alternativa ai modelli maltusiani. Essa dimostra chiaramente che anche in una area vulnerabile al degrado della terra, un’ampia popolazione può essere sostenuta attraverso una combinazione di cambiamenti tecnologici sostenuti da un’ampia struttura politica e da molte iniziative locali» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, pp. 4,5).

 

  • Nel 1997 un rapporto dell’ONU dichiara: «La produzione alimentare mondiale è aumentata ad un tasso superiore rispetto a quello della popolazione ed oggi si può disporre della maggiore quantità di cibo pro-capite mai registrata nella storia del mondo. Ma la crescente scarsità ed il degrado delle risorse agricole e ambientali gettano seri dubbi su quanto a lungo la produzione alimentare potrà superare l’incremento demografico» (“Popolazione, ambiente e sviluppo, Rapporto ONU, 1997).

 

  • Nel 1997 Friedrich August von Hayek, premio Nobel dell’economia, nel suo libro “La presunzione fatale”, ha scritto: «L’odierna idea che la crescita della popolazione minacci di produrre un impoverimento a livello mondiale è semplicemente un errore. Essa è in larga misura la conseguenza della semplificazione eccessiva della tesi malthusiana della popolazione».

 

  • Tra il 13-17 novembre 1996 si è svolto il Vertice mondiale della FAO a Roma. Nel resoconto ufficiale, apparso sul sito web, si legge che: «A livello globale, le scorte di cibo sono più che raddoppiate negli ultimi 40 anni. Questo ha portato le scorte alimentari globali a crescere più velocemente rispetto alla popolazione, creando un sostanziale incremento medio pro capite di scorte di cibo. I dati disponibili mostrano che tra il 1962 e il 1991 la media giornaliera pro capite di scorte alimentari è aumentata di oltre il 15 per cento. Nei Paesi in via di sviluppo, l’aumento delle forniture alimentari pro capite è stato notevole, passando da quasi 1990 calorie nel 1962 a 2500 calorie nel 1991, mentre nello stesso periodo la popolazione totale è quasi raddoppiata, passando da 2,2 miliardi a oltre 4,2 miliardi di persone. Allo stesso tempo, le scorte di cibo nei paesi sviluppati sono passate da 3000 calorie nel 1962 ad un massimo di circa 3300 nel 1982, poi ridottosi a circa 3150 calorie nel 1991. L’incremento è stato particolarmente significativo in Asia, che ha pienamente sfruttato i vantaggi della rivoluzione verde, e in America Latina, che ha beneficiato notevolmente del progresso tecnologico». Più avanti si dice: «Un aumento della popolazione e un cambiamento della sua struttura, in particolare per età e sesso, porterà a cambiamenti nella richiesta di cibo […], ma questi requisiti possono essere soddisfatti da una grande varietà di combinazioni di prodotti alimentari». Dopo la presentazione di dati sulla denutrizione, si sostiene: «Una più equa distribuzione delle risorse alimentari probabilmente eliminerà la maggior parte della denutrizione. L’aumento di forniture alimentari può favorire una migliore distribuzione solo se accompagnato da politiche adeguate». E ancora: «I cambiamenti tecnologici hanno reso i prodotti alimentari meno costosi, ciò ha permesso un maggiore consumo da parte dell’uomo. A causa della riduzione dei costi, nei Paesi in via di sviluppo, si è iniziato a nutrire il bestiame con alimenti inizialmente destinati al consumo umano. L’aumento della domanda ha generato innovazioni tecnologiche, che a loro volta sono diventate meno costose da usare. L’aumento della concentrazione di popolazione ha probabilmente stimolato la produzione a causa del consumo di massa, anche se questa ipotesi non è stata ancora dimostrata». Uno dei maggiori ricercatori dell’Istituto Weizmann, Jonathan Gressel, è intervenuto durante il Summit prendendo posizione circa la disponibilità mondiale di cibo: «attraverso la biogenetica e la lotta chimica la produzione di cibo può essere quadruplicata» (citato in A. Di Robilant, “Di Burocrazia si muore”, La Stampa, 14 novembre 1996, p. 2).

 

  • Nel 1996 la dott.ssa Jacqueline Kasun docente di Economia all’Humboldt State University della California e direttore editoriale del Center for Economic Education, ha sottolineato che «uno dei motivi che ha reso così facile, per i gruppi interessati, convincere i miei studenti – e molte altre persone in tutto il mondo – dell’esistenza di una grave crisi causata dalla sovrappopolazione e dalla distruzione dell’ambiente risiede nel fatto che tutti noi sappiamo di vivere in un ambiente affollato. Eppure con una densità 1.544 persone per Km quadrato la città di San José (USA) ha un affollamento doppio di quello medio del Bangladesh». Inoltre la Kasun ha ricordato che «se tutta Ia popolazione mondiale si trasferisse nel Texas (dove la popolazione è cresciuta dell’80% dal 1960 ad oggi), per ogni persona sarebbe disponibile uno spazio paragonabile a quello della tipica abitazione americana, mentre il resto del mondo rimarrebbe totalmente disabitato» (J. Kasun, “Popolazione ed ambiente”, pubblicato da 21mo SECOLO Scienza e Tecnologia, n.1 1996.). E’ lo stesso ragionamento che ha fatto il biologo americano Francis P. Felice nel 1974, quando ipotizzò che una popolazione di 6 miliardi di persone potrebbe vivere in una gigantesca megalopoli grande come lo stato del Texas. Ogni nucleo familiare composto da tre persone di media, avrebbe a disposizione un’abitazione di 102 mq e 222 mq di giardino. Un terzo dello spazio di questa gigantesca città sarebbe destinato a parco ed un terzo alle attività produttive (F.P. Felice, “Population Growth”, The Compass 1974)

 

  • L’11 novembre 1995, durante un convegno sul tema “Popolazione e sviluppo“, organizzato dall’Associazione Medici Cattolici Svizzeri, il noto geografo, economista e demografo francese Gérard-François Dumont, docente presso l’Università di Parigi, ha tenuto un incontro dal titolo “La mythologie contemporaine en démographie”, durante il quale ha detto, tra l’altro: «Accettare l’affermazione seguente: “La popolazione mondiale aumenterà nel secolo XXI fino a 12 miliardi”, significa ammettere il seguente sillogismo: la popolazione mondiale raddoppierà. Ora, un raddoppio della popolazione suppone condizioni economiche e sanitarie soddisfacenti, quindi nel secolo XXI le condizioni economiche e sanitarie saranno soddisfacenti». Ha poi spiegato: «non è l’aumento dell’effettivo di una popolazione che si può mettere in relazione con i luoghi di carestia, ma piuttosto i torbidi politici. Gli esempi della Cambogia, della Somalia, del Sudan, del Mozambico e della Liberia illustrano disgraziatamente questa realtà. L’aumento contemporaneo della popolazione e della mortalità è dunque un mito, perché due processi contrari non possono svolgersi insieme. O la popolazione aumenta perché l’umanità riesce a nutrirsi, oppure l’umanità non riesce a nutrirsi e la popolazione non può aumentare». Ha continuato confutando altri miti: «Una delle grandi fiction demografiche attuali», considera la natalità «come responsabile della crescita demografica degli ultimi due secoli. Questa affermazione, che è una fiction, porta a una conseguenza prevedibile. Poiché la natalità è considerata il fattore determinante della crescita demografica mondiale, come il fattore responsabile della povertà, sarà necessario e sufficiente ridurre la natalità». Si prevede dunque come unica misura concreta la pianificazione famigliare. Ma, «se bastasse frenare la crescita della popolazione per giungere alla ricchezza lo si saprebbe e, a contrario, gli Stati Uniti d’America figurerebbero fra i paesi più sottosviluppati, avendo presente la loro eccezionale crescita demografica da due secoli a questa parte». La pianificazione familiare (aborto, sterilizzazione ecc..) «non può essere efficace perché poggia su una fiction. Infatti, l’attuale crescita della popolazione mondiale non è dovuta a una natalità sbrigliata, che sarebbe aumentata da due secoli a questa parte, ma a una mortalità che è crollata, aumentando considerevolmente lo scarto fra mortalità e natalità […]. È inutile voler controllare d’autorità la natalità quando non sono presenti le condizioni per un cambiamento di natura del livello di mortalità. Questo spiega, in passato, i numerosi fallimenti dei programmi di pianificazione familiare un poco ovunque nel mondo». Nel suo ironico discorso prende anche forti posizioni: «La paura della “sovrappopolazione” costituisce indubbiamente oggi, dopo che il marxismo è passato di moda, l’ideologia più penetrante nel mondo. Io la chiamo l’Ossessione del Sovraffollamento del Pianeta, che corrisponde alla sigla O.S.P.», un’ideologia, dice, che sembra andare e venire ciclicamente nella storia dell’uomo e che porta con sé tre misteri: il «misconoscimento dei meccanismi demografici da parte di una grande percentuale di delegati […], l’interesse sempre più ostentato di occuparsi delle “generazioni future”», preoccupandosi poco di quelle presenti, e «enunciare nuovi concetti» per mascherare gli errori del passato.

 

  • Sempre nel 1995, lo scrittore, conferenziere, ed editorialista di “The New Republic”, Gregg Easterbrook, ha scritto il libro “A moment on the earth, the coming age of environmental optimism” (Penguin 1996), dove ha confutato la convinzione popolare sull‘insufficienza della terra a contenere la crescente popolazione mondiale: «perché altrimenti la così densamente popolata Olanda sia prospera e ragionevolmente pulita, mentre il Sudan spopolato è povero e segnato da numerosi fenomeni di rovina dell’ambiente? E perché la Svizzera, densamente popolata è ricca e linda, mentre nel Mozambico povero e con le risorse idriche inquinate vivono così poche persone?» (G. Easterbrook, A moment on the earth, the coming age of environmental optimism, New York: Viking, 1995, p.479).

 

  • Nel 1995 è uscito il volume “The cost of abortion” (Four Winds 1995) scritto da Lawrence F Roberge, docente presso l’Elms College (Springfield) e il Lesley College (Cambridge), ricercatore di medicina riproduttiva, genetica, neuroscienze e biotecnologie e membro della New York Academy of Science, nel quale viene dimostrato come il danno economico si riscontri molto più probabilmente nelle società con pochi figli, dove spariscono le opportunità di lavoro per insegnanti, medici, produttori e rivenditori (di giocattoli, pannolini e prodotti per l’infanzia). Interi settori industriali, infatti, sono oggi orientati verso i bambini e le famiglie.

 

  • Nel 1995 su Technology in Society è uscito uno studio realizzato da Paul E. Waggoner, ex presidente del The Connecticut Agricultural Experiment Station, docente presso la Yale’s School of Forestry and Environmental Studies, vice presidente della Connecticut Academy of Science and Engineering e membro della National Academy of Sciences (NAS). Egli ha calcolato che (già allora) 10 miliardi di persone potrebbero essere nutrite adeguatamente se solo si fossero utilizzati metodi più moderni ed efficienti nelle fattorie già esistenti, usufruendo oltretutto dei terreni meno coltivabili[30].

 

  • Nel 1994 lo specialista ambientale del Cato Institute, Jerry Taylor, ha compilato una statistica circa la disponibilità conosciuta delle 13 più importanti risorse naturali nel periodo tra il 1950 ed il 1990. Contrariamente dalle previsioni degli ambientalisti radicali, le riserve si sono moltiplicate nel giro di 50 anni (J. Taylor, “Sustainable Develompent”, pubblicato su Regulation 1, 1994, p.37). I dati forniti da Taylor sono ampiamente confermati anche dalle statistiche compilate dalla Banca Mondiale nel 1992. Più nel dettaglio, le risorse di Bauxite (alluminio) sono cresciute del 1.436%, quelle di Cromo del 500%, quelle di Rame del 250%, quelle di minerale di ferro del 663%, quelle di piombo del 75%, quelle di manganese del 96%, quelle di Nickel del 247%. Le riserve di Petrolio e gas sono invece aumentate del 733%, quelle di carbone del 27% mentre quelle di zinco del 107%. Solo le riserve di stagno risultano diminuite del 30%, ma la causa è la scarsa richiesta sul mercato e non certo un’improvvisa scarsità (World Bank Development Report 1992, Banca Mondiale 1993, Washington).

 

  • Nel 1994 il ricercatore statunitense Robert L. Sassone, nel suo libro “Handbook on Population” (Springer 2006), ha scritto: «Benché sia vero che la terra ha una spazio circoscritto, molti cittadini che vivono in città credono che il mondo intero sia sovraffollato come le città, ma non sanno che meno dell’1% della superficie terrestre è coperta dalle città. A differenza che nel passato quando l’agricoltura era la maggiore attività produttiva, oggi la mappa della popolazione registra un’accresciuta densità nelle città ed uno spopolamento delle campagne. Oggi, come nel passato, gli esseri umani si riuniscono insieme, non perché manchi lo spazio sul pianeta, ma perché abbiamo bisogno di lavorare in gruppo, acquistare e vendere, fornire e ricevere servizi l’un l’altro. Le nostre città e metropoli sono sempre state congestionate dalla gente e dal traffico; cavalli, somari e cammelli in passato, veicoli a motore oggi» (R.L. Sassone, “Handbook on Population”, American Life League, Inc. Stafford 1994, p.41.). Sassone rileva anche che l’urbanizzazione è un processo che mentre fa crescere la densità di popolazione nella città riduce quello relativo alle campagne, per cui esistono più spazi rurali o in campagna di quanto ci fosse nel passato.

 

  • Nel 1993, l’americano David Foreman, redattore della rivista ecologista Earth First e dirigente del gruppo ecologista Deep Ecology, ha sostenuto: «L’umanità rappresenta il cancro del mondo vivente. L’AIDS non è una maledizione, esso deve essere salutato come un rimedio naturale per ridurre la popolazione del pianeta». Similmente, Ann Torphy, sempre su Earth First: «Come ambientalisti radicali, riteniamo che l’AIDS non sia un problema ma una necessaria soluzione. Parafrasando Voltaire: se questa epidemia non esistesse, gli ambientalisti dovrebbero inventarla».

 

  • Nel marzo del 1993 è stato pubblicato il libro “Market Liberalism: A Paradigm for the 21st Century” (Cato Inst 1993), presentato alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo. Nel 21° capitolo, titolato “La crescente abbondanza delle risorse naturali”, Jerry Taylor, senior fellow presso il Cato Institute e ricercatore di politica ambientale, ha dimostrato che «nel momento stesso in cui la lobby della conservazione [delle risorse naturali] convinceva milioni di americani e le legislature di tutto il mondo che la scarsità delle risorse era in agguato dietro l’angolo, l’economia globale assisteva alla più grande esplosione di abbondanza di risorse nella storia dell’umanità». Rispetto all’energia, dopo aver presentato i dati, afferma: «Contrariamente alla credenza popolare, le scorte di energia di ogni genere, sia fossile che non fossile, sono aumentate costantemente e il prezzo si è abbassato. Siamo di fronte ad un’abbondanza senza precedenti, non alla scarsità». Rispetto alle risorse minerarie, ha concluso: «L’esame delle risorse minerarie in ultima analisi indica che abbiamo solo iniziato a sfruttare le ricche e abbondanti vene della terra. I dati del US Geological Survey rivelano che, se continueranno le attuali tendenze di consumo, le risorse minerarie recuperabili dureranno per centinaia, migliaia e persino decine di migliaia di anni. Il 99,9 % di tutta la domanda di metalli minerali è praticamente inesauribile, per qualsiasi orizzonte temporale concepibile». Per le risorse agricole nota che «il prezzo degli alimenti è diminuito dell’83 per cento dal 1950. Chiaramente, se la produttività agricola della terra sarebbe stata superata dalla domanda di cibo a causa della esplosione demografica, i prezzi agricoli sarebbero in forte aumento piuttosto che in drammatica caduta come i dati indicano». E anche lui (citando diversi economisti) conferma che «è chiaro che la produzione agricola del pianeta è aumentata in modo esponenziale nel corso dei secoli passati. Sebbene la popolazione mondiale sia raddoppiata dalla seconda guerra mondiale, la produzione mondiale di cereali è triplicata e l’abbondanza agricola si è tradotta in una migliore salute, anche per i più poveri del Terzo Mondo. Inoltre, ci sono buone ragioni per credere che il pianeta potrà sfamare decine di miliardi di persone per molte generazioni a venire […]. L’erosione del suolo non è il risultato della moderna agricoltura ad alto rendimento, ma dei tentativi di utilizzare, a basso rendimento, le tecniche agricole tradizionali su terreni fragili». Affronta anche il timore del disboscamento, sostenendo che «ben poche prove, oltre ad aneddoti, sono mai state avanzate a sostegno di questa convinzione purtroppo diffusa. Secondo i dati più recenti delle Nazioni Unite, le foreste coprono 4 miliardi di ettari (più del 30 per cento della superficie totale). Questa cifra non è cambiata sensibilmente dal 1950, anche nel bel mezzo dell’esplosione demografica». Inoltre, «Dal 1920 le foreste Stati Uniti sono aumentate del 57 per cento, e nello stesso periodo la popolazione degli Stati Uniti raddoppiata». Conclude accennando ad uno dei più grossi errori dei catastrofisti: «il difetto fondamentale nel paradigma ambientalista è la premessa che le risorse mondiali siano create dalla natura e così fissate e finite. Ma nessuna singola risorsa materiale è mai stata creata dalla “natura”. E’ la conoscenza umana e la tecnologia che creano le risorse. Le dimensioni della nostra torta delle risorse è determinata non dalla natura, ma dalle istituzioni economiche e sociali che definiscono i limiti del progresso tecnologico».

 

  • Nel 1992, l’economista americano, David Osterfeld, specialista in crescita economica, sviluppo ed intervento dello Stato, docente di scienze politiche presso l’Università di Cincinnati, ha pubblicato il libro “Prosperity Versus Planning: How Government Stifles Economic Growth” (Oxford University Press 1992), nel quale, parlando della disponibilità di terra coltivabile, sottolinea che «gran parte del Midwest americano era foresta e palude. Oggi è tra le terre più fertili del mondo. L’eliminazione della mosca tse-tse permetterebbe la coltivazione di circa 200 milioni di ettari di terra africana, un’area più grande del totale dei terreni agricoli negli Stati Uniti». E ancora: «Tenuto conto delle risorse in funzione della conoscenza umana, e poiché il nostro bagaglio di conoscenze è aumentato nel tempo, non dovrebbe sorprenderci il fatto che le risorse fisiche si siano anch’esse espanse». In un articolo intitolato “Il perenne mito della sovrappopolazione”, ha invece attaccato l’informazione eco-terrorista circa l’imminente morte di fame per milioni di persone per mancanza di cibo. «I catastrofisti», afferma, «hanno predetto rovina e oscurantismo per secoli. La cosa forse più straordinaria di questo perenne esercizio è che i catastrofisti sembrano non essersi mai fermati abbastanza a lungo per far sapere che le loro predizioni non si sono mai materializzate». Affrontando i loro cavalli di battaglia spiega: «La popolazione è cresciuta di sei volte negli ultimi 200 anni e questa esplosione è stata accompagnata, ed in larga parte è stata resa possibile, da una esplosione nella produttività, nelle risorse, nell’informazione, nelle comunicazioni, nella scienza e nella medicina […]. La produzione di cibo ha ecceduto la crescita della popolazione (l’1% all’anno) dal 1940. Vi è attualmente abbastanza cibo da sfamare chiunque nel mondo e molti esperti ritengono che senza nessun avanzamento nella scienza o nella tecnologia noi attualmente abbiamo la capacità di sfamare adeguatamente, su basi sostenibili, 40 o 50 miliardi di persone (otto o dieci volte l’attuale popolazione)». Senza contare l’uso della biotecnologia. La gente soffre di fame «a causa della guerra o delle politiche dei governi», non per il sovraffollamento. Rispetto alle risorse naturali, «come il cibo, non sono mai state così abbondanti come oggi. Praticamente tutte le risorse sono meno costose oggi rispetto a qualsiasi altro periodo. Le risorse non sono cose che troviamo in natura, sono le idee che creano le risorse. Più gente significa più idee. Non c’è ragione dunque di credere che popolazione crescente significhi riduzione delle risorse disponibili. Storicamente, è stato vero l’opposto […]». Rispetto allo spazio vitale, è vero che più gente significa meno spazio: «Ma è anche irrilevante. Per esempio, se l’intera popolazione del mondo fosse messa nello stato dell’Alaska, ogni individuo riceverebbe 3,500 piedi quadrati di spazio (circa la metà del lotto a disposizione della famiglia americana media). Ci sono più case, più aree verdi e più stanze per persona che mai prima d’ora. In breve, così come il cibo e le risorse, lo spazio vitale è diventato, dal punto di vista di una misurazione significativa, più abbondante». Ricorda, concludendo, che comunque l’esplosione della popolazione ha iniziato purtroppo a rallentare.

 

  • Nel 1992 il ricercatore dell’Istituto Nazionale di Demografia di Parigi, Harvey Le Bras, , ha scritto che: «Non esistono prove per dimostrare che la densità demografica è in contrasto con una buona qualità della vita» (H.Le Bras, “The Myths of Overpopulation, in Proyections”, volume 7-8, 1992)

 

  • Nel maggio 1991 un terribile tifone ha colpito il Bangladesh uccidendo almeno 138.000 persone e lasciando ben 10 milioni di senzatetto. Jacques Cousteau, uno degli ambientalisti più famosi al mondo, ha commentato così l’accaduto: «Non date la colpa al mare. La vera tragedia del Bangladesh sono gli uomini, una popolazione incontenibile […]. Dovremo essere in 700 milioni in tutto, allora si che la vita sulla Terra diventerebbe paradisiaca. Per stabilizzare la popolazione mondiale, dobbiamo eliminare 350 mila persone al giorno. E’ una cosa terribile a dirsi, ma è anche peggio non dirla».

 

  • Nel 1989, il docente presso l’Università di Groningen, Angus Maddison, per molti anni direttore del centro Ricerca e Sviluppo dell’OECDA, ha smentito l’assunto maltusiano secondo cui la crescita demografica porterebbe al disastro economico impoverendo la società. Ha infatti rilevato che l’aumento della ricchezza procapite nel mondo è avvenuta proprio in quei Paesi dove maggiore è la densità demografica. Secondo l’esperto, i 43 paesi più densamente popolati rappresentano attualmente tre quarti degli individui che vivono sulla Terra e molto di più del 75% in termini di produzione economica. Tra il 1920 ed il 1989 la produzione procapite dei cittadini dell’Europa occidentale, del Nord America e dell’Australia è cresciuta di ben 13 volte e tra il 1820 ed il 1890 lo stesso gruppo di paesi ha visto raddoppiare la produzione che ha replicato nuovamente nei successivi sessanta anni e triplicato tra il 1950 ed il 1989. Lo stesso fenomeno è avvenuto in Corea del Sud, in Taiwan, in Tailandia e in Giappone (A. Maddison, The World Economy in the Twentieth Century, OECD, Parigi 1989).

 

  • Nel 1989 viene fondato il Population Research Institute, organizzazione non-profit di ricerca e organizzazione educativa dedicata all’approfondimento delle questioni legate alla demografia, interessata ad invertire le tendenze portate dal mito della sovrappopolazione. Il suo ricco sito web è www.pop.org

 

  • Nel 1980 il presidente del WWF italiano, Fulco Pratesi, ha pubblicato il libro “Ecologia domestica” (Nuova Ecologia 1989) in cui ripropone le solite isterie ecologiste sulla bomba demografica e si dichiara «un verde credente e praticante, nonché leggermente fanatico». Dedica un capitolo ai consigli per una corretta destinazione delle proprie spoglie: il cadavere (anzi, «la carcassa umana», come lui la definisce) non andrebbe messa in casse da morto («occorre legno per costruirle»), nemmeno nei cimiteri («terra iperfertilizzata in cui vegetano solo crisantemi e cipressi»), ma bisognerebbe fare così: «Una bella buca sotto una quercia in campagna, due palate di terra ed ecco che possiamo tornare al ciclo della natura». Oppure, «si potrebbero adoperare i carnai, gli appositi terreni recintati e sorvegliati, impiegati dalle associazioni naturalistiche come il Wwf e la Lipu per alimentare i rapaci (soprattutto gli avvoltoi in Sardegna e i capovaccai sulle colline a nord di Roma). In quei carnai i nostri resti mortali potrebbero servire da cibo agli ultimi grifoni. Il tempo medio di distruzione della salma è di poche ore. Restano le ossa, è vero. Ma a questo inconveniente si potrebbe ovviare se al festino partecipasse anche l’avvoltoio barbuto, che lancia le ossa sulle rocce per divorarne il midollo. In pochissimi giorni, delle nostre spoglie non resterebbero che escrementi mineralizzati». Pratesi consiglia quindi, come ha fatto un ecologo inglese, «di portarsi in un luogo ricco di carnivori e lì attendere la morte in un luogo di difficile accesso». Propone anche l’alternativa ideata dall’ecologa Laura Conti, cioè quella di «creare scatolette di cibo per cani e gatti in cui la carne umana sostituisca quella di altri animali». Per chi si fa cremare, le proprie ceneri dovrebbero «essere usate per concimare i propri vasi e le aiuole» (citato in http://www.loccidentale.it/autore/dario+giardi/).

 

  • Nel 1988 la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) ha dichiarato che «le più recenti proiezioni della Banca Mondiale prevedono in futuro una popolazione mondiale di 10-12 miliardi di persone, circa il doppio della dimensione attuale. A quel punto gli esseri umani occuperanno il due per cento delle terre emerse ed useranno un quinto della superficie terrestre per l’agricoltura. Attualmente gli agricoltori utilizzano meno della metà delle terre coltivabili disponibili» (citato in A. Gaspari Bomba demografica e relativismo morale, p. 12). La disponibilità di spazio terrestre dunque abbonda, così come hanno ammesso anche due simpatizzanti della teoria maltusiana, come Paul e Anne Ehrlich: gli esseri umani occupano sul pianeta un’area inferiore all’uno per cento della superficie terrestre emersa (P.M. Vitousek, P.R. Ehrlich, A. Ehrlich e P.A. Matson, “Human Appropriation of the Products od Photosynthesis”, BioScience, vol. 36, n. 6, giugno 1986, p. 369.). Oggi sul sito web della FAO c’è un’area dedicata alle FAQ (domande frequenti). In una delle risposte si legge: «Il mondo attualmente produce cibo a sufficienza per tutti, ma molte persone non hanno accesso ad esso». La FAO identifica la causa della mancanza di cibo alle errate politiche sociali e non alla sovrappopolazione.

 

  • Nell’agosto 1988 il principe Filippo di Edimburgo, massone, fondatore e presidente internazionale del WWF, ha dichiarato alla Dpa, l’agenzia di notizie tedesca: «Nel caso io rinasca, mi piacerebbe essere un virus letale, così da contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione» (Deutsche Press Agentur, agosto 1988). E nel suo libro “Down to Earth” (edizione paperback 1989), ha scritto: «Fertilità e procreazione, dopo aver compensato le perdite, producono dei surplus. Predazione, variazioni climatiche, malattie, fame, e guerre e terrorismo -nel caso di quello che viene impropriamente chiamato Homo Sapiens – sono i mezzi principali che mantengono sotto controllo il numero della specie» (HRH Prince Philip, “Down to Earth: Collected Writings and Speeches on Man and the Natural World”, (edizione paperback 1989, capitolo: “Il fattore demografico”)

 

  • Nel settembre 1987, l’economista Thomas De Gregori, docente presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Houston, ha scritto l’articolo “Resources Are Not; They Become: An Institutional Theory”, apparso sul Journal of Economic Issues. In esso sostiene che «se c’è la fame nel mondo è a causa della cattiva distribuzione del cibo, non dell’insufficiente produzione globale […]. L’uomo è l’agente attivo, ha idee che usa per formare l’ambiente per scopi umani. Le risorse non sono fisse e finite, perché non sono naturali. Si tratta di un prodotto dell’ingegno umano derivante dalla creazione della tecnologia e della scienza» (T. De Gregori, “Resources Are Not; They Become: An Institutional Theory”, Journal of Economic Issues 21; citato in http://www.cato.org/pubs/chapters/marlib21.html).

 

  • Nel 1986 la National Academy of Sciences ha pubblicato uno studio accurato in totale contrasto con le tesi maltusiane e contro l’idea popolare che più siamo e meno ci sarà da mangiare. Negli anni 1970-75, ad esempio, l’aumento della produzione è stata del 3% a fronte di una crescita della popolazione del 2,4%. Mentre nel periodo 1987-1992, l’aumento della produzione di cibo è stata del 4,4% e quella della crescita della popolazione è stata dell’1,9%. I ricercatori hanno così affermato: «L’India potrebbe sostenere due volte e mezza la popolazione prevista per l’anno duemila. Lo Zaire dispone di un enorme potenziale agricolo, sarebbe in grado di sostenere 62 volte in numero di popolazione prevista per l’anno duemila. Lo Zaire inoltre potrebbe produrre cibo a sufficienza per l’intera popolazione dell’Africa» (National Research Council, Population Growth and Economic Development: Policy Questions, Washington 1986).

 

  • Nel 1981 il fondatore del Club di Roma, Aurelio Peccei, associazione specializzata negli anni Settanta a diffondere ecobufale e notizie allarmanti sulla popolazione mondiale ed anche italiana, prevedendo catastrofi e distruzioni a causa di un presunto eccesso di popolazione. Nel libro Peccei ritiene che medicina ed igiene sono mezzi buoni che raggiungono fini cattivi, e cioè la “proliferazione cancerosa” di uomini che continuano a «vivere sul pianeta come vermi sulla carogna»(A. Peccei, Cento pagine per l’avvenire, Mondadori, 1981).

 

  • Il 24 aprile 1974 è stato pubblicato negli USA il «Memorandum 200» per la Sicurezza Nazionale, intitolato «Implicazioni della crescita mondiale della popolazione per la sicurezza degli Stati Uniti e i suoi interessi all’estero». Nel documento Henry Kissinger proponeva che «lo spopolamento dovrebbe divenire la prima priorità della politica USA verso il Terzo Mondo». Il memorandum sottolineava la necessità di offrire maggiori aiuti per i paesi del Terzo Mondo che intendono attuare programmi di sterilizzazione e di spopolamento, il cambiamento radicale di mentalità volto ad imporre il modello della famiglia ridotta e quello di società a basso tasso di natalità. Viene raccomandato il trasferimento nel Terzo Mondo della “tecnologia contraccettiva”, la sterilizzazione, l’aborto, il condizionamento della popolazione e dei leaders politici, l’uso di propaganda da trasmettere nel mondo, via satellite. Si prospetta anche che gli aiuti economici e il cibo dovranno essere condizionati all’impegno, dimostrato dal paese richiedente, sul fronte della riduzione del tasso di fertilità interno. Il rapporto venne indirizzato, tra l’altro, al presidente americano Gerald Ford, ai Ministeri della Difesa, dell’Agricoltura, al Direttore della CIA e agli amministratori della AID (Agency for International Development). Il 26 novembre 1975, le raccomandazioni politiche del “Memorandum 200”, insieme ai suggerimenti proposti da Kissinger, vennero accolti dall’Amministrazione americana, entrando a far parte della politica estera degli Stati Uniti[9].

 

 

  • Nel 1972 è stato pubblicato il famoso studio dal titolo “The limit to growth” commissionato dal Club di Roma, associazione specializzata negli anni Settanta a diffondere notizie allarmanti sulla popolazione mondiale ed anche italiana, prevedendo catastrofi e distruzioni anche nel nostro paese a causa di un presunto eccesso di popolazione. Si è sostenuto scientificamente che la crescita della popolazione collegata ai consumi sempre crescenti avrebbe esaurito le risorse del pianeta in pochi anni. Nel libro, considerato il testo sacro del movimento ambientalista, tradotto in venti lingue e diffuso in nove milioni di copie, si prevedeva che a livelli di consumo del 1972 l’oro si sarebbe esaurito nel 1981, il mercurio nel 1985, lo stagno nel 1987, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992, e il rame, il piombo e il gas nel 1993. Dichiararono quindi: «All’attuale tasso di espansione argento, stagno e uranio potrebbero essere molto scarsi e raggiungere prezzi altissimi entro la fine del millennio»(D.H Meadows, D. Meadows, J. Randers, W.W. Beherens III, “The limits to growth, A report for the Club of Rome’s Project on the predicament of mankind” Universe Book, New York 1972. Edizione Italiana: “I limiti dello sviluppo”, Mondadori, Milano 1973). L’errore fu clamoroso: a distanza di circa 40 anni, se si guardano i dati forniti dal Dipartimento delle Miniere degli Stati Uniti del 1991 (U.S. Department of the Interior, Bureau of Mines, Mineral Commodity Summaries 1991), risulta che i prezzi reali di antimonio, mercurio, platino, argento, stagno e tungsteno sono crollati del 50%. Quelli di rame, piombo e magnesio sono crollati del 20%. Addirittura argento, stagno, uranio e piombo, hanno un prezzo minore di quello che avevano nel 1972.

 

  • Nel 1958 il figlio di Thomas Huxley (definito “Il mastino di Darwin”), Aldous, nel suo celebre “Ritorno al mondo nuovo”, afferma: «Il nostro sregolato capriccio non solo tende a sovrappopolare il pianeta, ma anche, sicuramente, a darci una maggioranza di uomini di qualità biologicamente inferiore».

    Oltre la bomba demografica e l’aborto, Huxley si è sempre dichiarato favorevole alla sterilizzazione obbligatoria per certe categorie di persone considerate inadatte e all’eutanasia.

 

  • Nell’ottobre 1914 lo scrittore ateo Giovanni Papini (6 anni prima della conversione cristiana) celebrava la guerra affermando: «Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita».

 

  • Nel 1798 l’economista e demografico Thomas Robert Malthus nel suo “Il saggio sulla popolazione” (Utet, Torino 1868), sostenne tra i primi che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza per giungere all’arresto dello sviluppo economico: «Bisogna ridurre le nascite, altrimenti il mondo va in rovina. Ogni bambino nato in sovrannumero rispetto all’occorrente per mantenere la popolazione al livello necessario deve inevitabilmente perire. Per agire in modo coerente, pertanto, dovremmo facilitare, invece che stupidamente e vanamente cercare di impedire, le operazioni della natura nel produrre questa mortalità. Invece di raccomandare l’igiene ai poveri, dovremmo incoraggiare abitudini contrarie. Nella nostra città, dovremmo fare strade più strette, e il ritorno della peste. In campagna, dovremmo costruire i nostri villaggi vicino a pozze stagnanti, e soprattutto incoraggiare l’insediamento in zone paludose e malsane». Ipotizzò dunque un “controllo preventivo” da parte dell’uomo sull’aumento della popolazione. Questa teoria, oltre a influenzare Charles Darwin per la formulazione della sua teoria evoluzionista, ispirò la dottrina economica del “malthusianesimo“, la quale attribuisce principalmente alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame nel mondo. Queste speculazioni vennero confutate già allora, sia da Ralph Waldo Emerson che da Karl Marx, i quali sostenevano che invece l’incremento della capacità inventiva e tecnologica dell’essere umano consentirebbe una crescita esponenziale indefinita della popolazione. Secondo i calcoli di Malthus, oggi la popolazione mondiale dovrebbe essere di 256 miliardi di individui. Tutti possono osservare che dal 1700 a oggi la popolazione europea è si enormemente aumentata (siamo a circa 7 miliardi), ma, invece di impoverire, si è al contrario, arricchita. Tuttavia nel tempo è nato un movimento di maltusiani o neomaltusiani, che intende portare avanti queste ecobufale.

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