Il vantaggio di essere cristiani: credenti e non creduloni


 

del card. Giacomo Biffi,
arcivescovo emerito di Bologna

da Avvenire 3/09/12

 

Vi do una notizia un po’ riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è «cristiano»; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C’è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci – disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito – alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe «politicamente corretto», nella generale confusione delle idee e dei comportamenti.

Conoscere il senso di ciò che si fa
È già una fortuna non piccola e non occasionale – che ci viene dalla nostra professione di fede – quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. Un altro esempio: un po’ d’anni fa eravamo tutti eccitati e in tripudio per il suggestivo traguardo del Duemila che ci sarebbe stato dato di raggiungere: ma l’emozione e la festa dei credenti erano meglio motivate. Noi non ci sentivamo emozionati e in festa soltanto per la rotondità della cifra (duemila!); eravamo presi e allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario dall’ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana. Quell’anno appunto ci veniva più intensamente richiamata la memoria dell’Unigenito del Padre che è divenuto nostro fratello e si ravvivava in noi con vigore singolare la grande speranza che duemila anni fa ha incominciato ad attraversare la terra. Come si vede, tutta l’umanità festeggiava il Duemila; ma la nostra festa era innegabilmente più consistente e più razionalmente fondata.

Conoscere il senso di tutto
Chi è «di Cristo» riceve in dotazione anche la certezza dell’esistenza di Dio. Ma non di un Dio filosofico, che all’uomo in quanto uomo non interessa granché; non di un Dio che viene chiamato in causa solo per dare un cominciamento e un impulso alla macchina dell’universo, e poi lo si può frettolosamente congedare perché non interferisca e non disturbi; non di un Dio che, dopo il misfatto della creazione, parrebbe essersi reso latitante. Questa è, press’a poco, la concezione «deistica», e non ha niente a che vedere né con l’insegnamento del Signore né con la nostra vita. C’è anzi da dire che tra il deismo e l’ateismo, per quel che personalmente ci riguarda, la differenza non è poi molta. Il nostro Dio è «il Padre del Signore nostro Gesù Cristo», come amava ripetere san Paolo. E lo si incontra, incontrando Gesù di Nazaret e il suo Vangelo: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio – lo ha detto lui esplicitamente – e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27).

Credenti e creduloni
Coloro che si affidano a Cristo – che è «Luce da Luce», cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio – sono inoltre abbastanza difesi dalla tentazione di affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche questa è una fortuna non da poco. È stato giustamente notato come il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all’esistenza degli extraterrestri, al new age, alla metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a tutto, appunto. Perciò la distinzione più adeguata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni.

La sfortuna dell’ateo
Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene. Non c’è nessuno contro cui ribellarsi, e ogni sua contestazione, a ben pensarci, risulta un po’ comica. Di solito, in mancanza di meglio, finisce coll’aggredire i credenti; ma è un bersaglio che non è molto appagante, perché i credenti (se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli prestano molta attenzione. Un ateo, se non vuol clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni coerenza, è privato perfino della soddisfazione di bestemmiare. E questa è la più comica delle disavventure. Clave Staples Lewis (l’autore delle famose Lettere di Berlicche), ricordando il tempo della sua incredulità, confessava: «Negavo l’esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva».

Un Dio buono, che non permette il male
Gesù poi – rivelandoci, attraverso il mistero della sua passione e della sua gloria, che anche l’umiliazione, la sofferenza, la morte trovano posto in un disegno d’amore che tutto riscatta e alla fine conduce alla gioia – ci preserva anche dalla follìa di chi arriva a ipotizzare, fondandosi sulla sua stessa personale esperienza, che un Dio probabilmente esiste; ma, se esiste, è malvagio e causa di ogni malvagità. È il sentimento espresso, per esempio, nella spaventosa professione di fede di Jago nell’Otello di Verdi all’atto secondo: «Credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé». Il Dio che ci è fatto conoscere dal Redentore crocifisso e risorto, è un Dio che ci vuol bene e, come dice san Paolo, fa in modo che «tutto concorra al bene per quelli che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (cf. Rm 8,28); tutto concorre al nostro bene anche quando noi sul momento non ce ne avvediamo. È la verità consolante ed entusiasmante che Gesù ci confida, quasi suprema sua eredità, nei discorsi dell’ultima cena: «Il Padre vi ama» (Gv 16,27). Il Padre ci ama: con questa certezza nel cuore ogni difficoltà, ogni tristezza, ogni pessimismo diventa per noi superabile.

Conoscendo il Padre conosciamo noi stessi
Facendoci conoscere il Padre, Gesù ci porta anche alla miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro penare sulla terra, quale ultima sorte ci attenda. «Cristo – dice il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes 22). Così veniamo a sapere – e nessuna notizia è per noi più interessante e risolutiva di questa – che siamo stati chiamati ad esistere non da una casualità anonima e cieca, ma da un progetto sapiente e benevolo. Veniamo a sapere che l’uomo non è un viandante smarrito che ignora donde venga e dove vada né perché mai si sia posto in viaggio, ma un pellegrino motivato, in cammino verso il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso una vita senza fine. Il dilemma tra l’essere increduli e l’essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati entro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d’amore. L’alternativa, a ben considerare, sta fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvìo alla disperazione e una vocazione alla speranza. Perciò san Paolo può ammonire i cristiani di Tessalonica a non essere malinconici e sfiduciati come gli altri; «come gli altri – egli dice – che non hanno speranza» (1Ts 4,13). Questa è dunque la sorte invidiabile di coloro che sono «di Cristo»: dal momento che «conoscono le cose come stanno», non sono costretti ad appendere ai punti interrogativi la loro unica vita.

«Dove c’è la fede, lì c’è la libertà»
Un’altra grande fortuna di coloro che sono «di Cristo» è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo riguardo una precisa promessa: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32). Il principio di questa prerogativa inalienabile del cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo: «Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2Cor 3,17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Vale a dire, come abbiamo appena visto, ci chiarifica «le cose come stanno». Sant’Ambrogio enuncia icasticamente questo caposaldo dell’antropologia cristiana, scrivendo in una sua lettera: «Dove c’è la fede, lì c’è la libertà».

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24 commenti a Il vantaggio di essere cristiani: credenti e non creduloni

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  1. Piero ha detto

    il Card. Biffi? Ma siete pazzi? O_O
    E’ lecito soltanto citare il compianto card. Martini, deformato oltretutto dall’ottica di Mancuso & Augias.
    Aspettatevi turbe inferocite con cartelli “PECCATI SI PECCATORI NO” sotto la redazione 😉

  2. Vincenzo ha detto

    Articolo molto bello, il cardinale Biffi sa anche scrivere molto bene, in modo piano, leggero, comprensibile. L’unico aspetto che mi lascia un po’ perplesso è il modo sbrigativo con cui viene trattato il problema di” Dio e il male”. Questo è il problema più serio che si possa porre per conciliare fede e ragione: Vedasi a tal proposito le drammatiche considerazioni di Dostoevskij nei “Fratelli Karamazov” sulla sofferenza dei bambibi innocenti. A ragione di ciò, a mio avviso, il passaggio alla fede implica ad un certo punto un “salto”oltre la ragione (non contro la ragione)che non tutti si sentono in grado di fare.

  3. mariel ha detto

    Sì, la fede ci fa liberi. Liberi anche di amare Gesù e capaci di superare qualsiasi ostacolo. Ho scoperto, che vi è una strada sicura per incontrare e amare Gesù e sperimentare la bellezza, la pace e la gioia che si prova nel portarLo agli altri nelle situazioni più diverse. Alcuni anni fa mi trovavo in gita con delle religiose e con alcune amiche laiche (= appartenenti al popolo di Dio) in un posto molto bello e attraente. Il tempo però non prometteva nulla di buono e molte di noi erano preoccupate di non poter gustare appieno le attrattive che il luogo offriva. Una suora rimproverò bonariamente la mancanza di fiducia e fece animo a tutte sollecitando a fare affidamento nel Signore. Alzò gli occhi al cielo e con un bel sorriso sulle labbra e lo sguardo luminoso, invocò il Signore ad alta voce. Confesso che provai un po’ di “sana” invidia. Alzai così anch’io gli occhi al cielo e dissi: “Gesù, perché io non posso amarti come questa suora? Perché lei può e io no? Vorrei tanto anch’io amarti così!”. Sta di fatto che le nuvole si diradarono, la giornata si aggiustò e, da allora, il mio rapporto con Gesù è cambiato. Egli ha esaudito la mia preghiera ed io parlo volentieri di Lui, sul bus, sul treno, negli incontri occasionali… Un giorno ho consolato una signora durante il tragitto del bus. Si lamentava del mondo che ci circonda e diceva di essere preoccupata per i suoi figli, ribadiva che non avevamo più speranza in questo mondo senza regole e senza giustizia. Io ho risposto ad ogni sua lagnanza con tranquillità e invitandola ad avere fiducia: il male non potrà mai prevalere sul bene. Mi ha chiesto come facevo ad essere così serena e fiduciosa. Allora le ho parlato di Gesù. Lei mi ha risposto parlando male della Chiesa. Le ho spiegato che non si devono attribuire alla Chiesa le colpe dei suoi membri e di come la Chiesa sia bersagliata all’esterno, ma soprattutto all’interno. Ho messo in evidenza le difficoltà che la Chiesa ha nel trasmettere il messaggio cristiano in questa società che, invece di educare, corrompe la gioventù e toglie l’innocenza ai bambini. Avendo la signora una certa età, le ho consigliato di ripensare alla sua infanzia agli insegnamenti religiosi ricevuti, al rispetto a cui ci educavano. Lei assentiva e ricordava dei suoi genitori: “… avevamo poco, ma eravamo sereni, ci volevamo bene, speravamo …” Le ho consigliato di entrare in una chiesa, di salutare Gesù presente nel Tabernacolo e poi le ho suggerito di mettersi ai piedi della Croce: lì avrebbe trovato la risposta ad ogni sua preoccupazione. Le ho detto che nella Croce troviamo il conforto alle nostre sofferenze e che comprendiamo il senso della nostra esistenza… Le ho detto molto altro… e il suo cambiamento di tono e di atteggiamento, mi dicevano che avevo risvegliato in lei il seme della fede… della speranza cristiana… “Chiedete e vi sarà dato…”. Chiediamo con cuore sincero: Gesù mantiene sempre ciò che promette e ci aiuterà a portarlo nei cuori di coloro che questo prezioso seme non l’hanno avuto!
    Mariel

  4. lorenzo ha detto

    Martini e Biffi: tanto il primo creava sconcerto quanto il secondo crea sicurezza.
    Biffi, sei un grande.

  5. Leonardo83 ha detto

    Grazie card. Biffi, ci rendi orgogliosi di essere cattolici!

  6. André ha detto

    Credo che solo agli albori della sua storia l’essere cristiani andasse così tanto contro le vie del mondo quanto accade ora, il che è solo un bene, giacchè il Regno di Dio non è di questo mondo, che è schiavo del peccato. È davvero bello, in questo tempo, potersi dire cristiani, andare contro la mentalità della morte con il messaggio della vita e della vita eterna; ma ciò che è ancora più bello è che nessuno al mondo potrà privarci di questa speranza.

  7. Lorenz ha detto

    Scusate, ma che grossa sequenza di banalità…Trattengo a stento uno sbadiglio.

    • Vincenzo ha detto in risposta a Lorenz

      Allora scrivi tu qualche cosa di “intelligente”…!

      • Lorenz ha detto in risposta a Vincenzo

        “Conoscere il senso di ciò che si fa”: sono ateo.Mangio il panettone ma non festeggio la nascita di Cristo.Accidenti, che disdetta!Non ne sento la mancanza.Festeggio il Natale come occasione per stare insieme alla mia famiglia e per poter dedicargli una qualità migliore del tempo.

        “Conoscere il senso di tutto”: chi crede in Dio è certo della sua esistenza. Bene, ok, quindi? Mi sembra quasi lapalissiano

        “Credenti e creduloni”: quanti cristiani credono a maghi,cartomanti e cose di questo tipo?
        Come ateo del tipo “non ho prove, non credo” non ritengo validi cartomanti etc.
        Direi che è la solita difesa del potere…

        “Un Dio buono, che non permette il male”: se per voi c’è una prospettiva futura ben venga per voi, comunque in questo mondo di male ce n’è abbastanza. Io combatto nel mio piccolo perchè mia figlia abbia adesso un futuro migliore, quando sarò morto vedremo cosa succede.

        “La sfortuna dell’ateo”: accidenti, non posso bestemmiare!Quanto incontro delle difficoltà raccolgo le energie e vado avanti.La vita è così, sta a me superare le mie difficoltà e ne sono fiero.Non posso parlare dei miei problemi esistenziali?Perchè, non posso parlare con mia moglie, con gli amici?Salvo restando che i problemi esistenziali si risolvono da soli (o se serve con l’aiuto di uno psicologo), non ho bisogno di un prete.

        “Conoscendo il Padre conosciamo noi stessi”: ho una mia etica, viva con e per essa.
        La mia vita segue dei principi, perchè sono diversi dai vostri non è da disprezzare e non mi ritengo collocato “entro un guazzabuglio insensato”.Io dò senso alla mia vita.

        «Dove c’è la fede, lì c’è la libertà»: anche qui il ragionamento è legato ad un’ottica solo di tipo cattolico.Se per voi va bene così ok, niente da dire.La cosa non mi tange.

        • Pino ha detto in risposta a Lorenz

          Lorenz scrive “Mangio il panettone ma non festeggio la nascita di Cristo” allora dai ragione al Card. Biffi quando dice “tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano”.

          • Lorenz ha detto in risposta a Pino

            Come potrebbe essere diversamente?Siete credenti ed io no!

            • Pino ha detto in risposta a Lorenz

              guarda che io non ne faccio una critica, ci sono tantissimi non credenti che apprezzo e rispetto, anzi, senza volerlo hanno una concezione cristiana dell’esistenza superiore a molti frequentatori di sacrestie. Ma sei tu che hai fatto un post di critica per quello che ha detto il Card. Biffi.

              • Gattaca ha detto in risposta a Pino

                Suppongo che Lorenz stia mettendo in evidenza come l’articolo non offra spunti significativi di riflessione per coloro che non sono credenti.

                Inoltre, da un punto di vista giornalistico, il titolo, che ha un ruolo fondamentale in questo tipo di interazioni, è piuttosto aggressivo, perchè sembra che il mondo si divida in credenti e creduloni. Ovvio che dopo ti attiri delle piccole critiche.

              • lorenz ha detto in risposta a Pino

                Non prenderla come una critica “dura”.Dico solo che alcune cose sono scontate, altre sono inesatte.Con questo non dico che il card. Biffi sia un idiota o che lo sia tu, ma che in questo caso atei e cristiani sono solo differenti.
                Il “vantaggio” cristiano in diversi punti non lo vedo e non leggo un discorso così “alto”.
                Sono riuscito a spiegarmi :)?

            • Pino ha detto in risposta a Lorenz

              Assolutamente, no! Caro Lorenz, anzi ti dirò che il testo, l’ho letto per puro caso. Ciao!

    • nell_star ha detto in risposta a Lorenz

      se puoi dare le tue motivazioni per questa affermazione, forse ci aiuti a capire, altrimenti rimane uno slogan sterile che non serve a nessuno.
      grazie

    • lorenzo ha detto in risposta a Lorenz

      In una lettera indirizzata ad un certo Diogneto, un anonimo autore dei primi secoli scriveva: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano…”
      Come vedi, gia nella seconda metà del II secolo potevano essere scritte, parlando dei cristiani, una “grossa sequenza di banalità…”.
      E’ proprio questa la grandezza del cristianesimo e del cattolicesimo in particolare: diventare santi nella banalità di ogni giorno.

      • lorenz ha detto in risposta a lorenzo

        Siete voi che parlate ancora di voi stessi.Autoreferenzialità.
        In quanto all’essere santi nella vita di ogni giorno lo fanno tutte le persone di buona volontà, non solo i cristiani,
        Anche io, nel mio piccolo, ho avuto giornate “da santo” (quando difendi una persona rischiando di prenderle, quando ti ostini a seguire la soluzione “onesta” quando quella “furba” sarebbe più veloce ed efficace…)
        Non siete gli unici, insomma.

        • lorenzo ha detto in risposta a lorenz

          Non parlo della “santità” tipo la difesa del più debole o del rifiuto della soluzione “furba”, ma proprio dell’ordinario quotidiano.
          Prosegue infatti la lettera a Diogneto: “… Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi… ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo…”.
          Non si tratta affatto di ne’ di autoreferenzialità ne’ di supponenza, ma solo di cercar di far di capire che la vita e la azioni di ogni giorno, per noi cattolici, hanno un valore che trascende le apparenze stesse.
          Prendiamo ad esempio il S. Natale: anche per noi è sicuramente una “occasione per stare insieme alla mia famiglia e per poter dedicargli una qualità migliore del tempo”, ma questa e solamente una conseguenza, piacevole ma pur sempre secondaria, di ciò che noi festeggiamo in quel giorno.

          • Pino ha detto in risposta a lorenzo

            la mia personale impressione è che Lorenz sia quella specie di “non credente” per modo di dire. Sono infatti molti i “non credenti” che sono tali perchè ce l’hanno con i preti, con il “Vaticano” e così via. Ho spesso notato che mentre la maggioranza dei credenti ha ben chiaro cosa voglia di esserlo, lo stesso non accade per i non credenti riguardo alla loro “non credenza”.

  8. nell_star ha detto

    Ringrazio il card Biffi, per questa lezione e analisi lucida, seria e vera. Questo mi fa capire la grande ricchezza che c’è nella chiesa, di fede, intelligenza e ragione. Non trovo la stessa ricchezza da nessuna parte e non trovo da nessuna parte lo stesso desiderio grande di compimento. Al massimo gente che si accontenta. Ho incontrato nel web moltissime persone non credenti i quali vittime del loro ateismo hanno sviluppato una ira repressa contro la chiesa, Dio e i credenti. Posso dire che quello che scrive il card Biffi corrisponde a ciò che incontro.

  9. Pino ha detto

    Ho letto il testo, ma, a caldo, non so dare un giudizio, ma ho apprezaato il contenuto . Ciao!

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