Richard Lewontin: riconoscere limiti della scienza e del neodarwinismo

Recentemente abbiamo segnalato un bel servizio della rivista di “New Statesman” nel quale sono stati intervistati diversi scienziati in merito ai limiti intrinseci dell’indagine scientifica, proprio l’opposto della teoria che ogni scientista fondamentalista ama esporre, magari mettendo la scienza in competizione con la religione o la filosofia.

Dovremmo aggiungere ai nomi citati in quell’articolo anche quello di Richard Lewontin, biologo e genetista statunitense, luminare dell’Università di Harvard e attualmente considerato da molti il più celebre evoluzionista vivente, e quindi nemico giurato del neodarwinismo, come ebbe a dire in merito all’uscita de “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010), di Piattelli-Palmarini e Fodor: «abbiamo dedicato entrambi energie e inchiostro [lui e Gould] per controbattere alcune delle più famose fra queste derive neodarwiniste, ma pensiamo che sia necessario estirpare l’albero dalle radici; dimostrare che la teoria di Darwin della selezione naturale ha delle falle fatali».

In questi giorni a Venezia si è svolto un convegno internazionale dedicato al suo grande amico Stephen J. Gould, celebre paleontologo (anche lui ovviamente fortemente contrario al neodarwinismo) e Lewontin ha aperto il dibattito con un video-messaggio in cui ha detto: «Scienza e società esistono in simbiosi e ammettere le ombre e i limiti all’interno della scienza aiuta a scoprire la natura dell’uomo e il reale valore della scienza». La scienza, al di là degli strali dei vari Flores D’arcais e Piergiorgio Odifreddi, non è una panacea e occorre nutrire un forte scetticismo ragionevole. Bisogna ben guardarsi, riporta la giornalista scientifica Gianna Milano, dal rischio di vedere la scienza come una nuova religione e gli scienziati come dei nuovi sacerdoti.

I neodarwinisti Daniel Dennett e Richard Dawkins (criticati perfino da Telmo Pievani in “Introduzione alla filosofia della biologia”, Laterza 2005) difendono strenuamente il programma adattazionista, quindi la vecchia concezione evoluzionistica basata sui geni e sul loro presunto egoismo mentre, da sempre, Gould e Lewontin rilevano le barriere che rendono l’evoluzione limitata, non certo onnipotente, più vincolata e determinata dalle contingenze, non libera di viaggiare nella casualità delle variazioni verso l’ottimalità. La selezione naturale non è l’unica causa dell’evoluzione e il darwinismo non è sinonimo di evoluzione.

L’attuale dibattito pare dare ancora più ragione al genetista americano in quanto «sempre più spesso la scienza sta dimostrando che il processo evolutivo ha fatto i conti con molti vincoli che limitano la sua possibilità e forzano i suoi percorsi», come ha sostenuto lo psicologo evoluzionista Matt J. Rossano. L’evoluzione biologica potrebbe essere scientificamente prevedibile (qui e qui, ad esempio) e la nostra comparsa –per dirla con il celebre paleontologo Simon Conway Morris–  non sembra affatto il risultato inaspettato di una storia totalmente contingente, ma è invece in qualche modo qualcosa di implicito nelle leggi dell’Universo.


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Un commento a Richard Lewontin: riconoscere limiti della scienza e del neodarwinismo

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  1. Michele Forastiere ha detto

    Bellissimo il lavoro citato di Simon C. Morris (tra l’altro, grande studioso della fauna di Burgess – una delle più fastidiose spine nel fianco del gradualismo)! Mi piace sottolineare questa frase delle Conclusioni dell’articolo: “L’evoluzione non è estranea all’eterodossia, ma è sconvolgente quanto il mantra darwiniano continui a strangolare l’innovazione. […] Ciò che non comprendiamo è in che modo gli organismi si assemblino come entità funzionali eccezionalmente complesse, nè perché essi navighino ripetutamente vero soluzioni convergenti. Quello di cui possiamo essere certi, a mio parere, è che questi processi siano prevedibili, e che ciò dovrebbe modestamente suggerire che rimane ancora del lavoro da fare.”
    Aggiungo solo che Morris ha effettivamente cominciato a lavorarci su: http://www.mapoflife.org/

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