Da biochimico cattolico sì all’evoluzione, no all’Intelligent Design

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L’intervista del venerdì è dedicata al biochimico Paolo Tortora (Università Bicocca): da cattolici di fronte all’Intelligent Design, al creazionismo e all’evoluzione.


 

L’evoluzione biologica continua ad affascinare e far discutere.

Mentre tra i fratelli protestanti le tesi creazioniste sono ampiamente diffuse, in ambito cattolico la spiegazione biologica evolutiva non è mai stata messa veramente in discussione.

Se i creazionisti veri e proprio sono quasi inesistenti, non si può dire lo stesso dei sostenitori cattolici del cosiddetto “Intelligent Design” (ID) o “Disegno Intelligente”.

Una teoria tipicamente statunitense secondo cui la complessità delle strutture e dei processi presenti nella natura si potrebbero spiegare scientificamente solo con l’intervento di una Causa intelligente che avrebbe ordinato la natura in modo finalizzato.

E’ questo l’intento del libro di padre Martin Hilbert intitolato A Catholic Case for Intelligent Design (Discovery Institute 2024), sacerdote della comunità dell’Oratorio di San Filippo Neri (Toronto) e docente di Filosofia della scienza al St. Philip’s Seminary.

Ne parliamo oggi con Paolo Tortora, professore ordinario di Biochimica presso l’Università di Milano Bicocca, dove è anche coordinatore del dottorato in Biologia. Oltre a essere referee per diverse riviste scientifiche internazionali, collabora con l’Istituto Iinserm U710 di Montpellier (Francia).

 

Intervista al biochimico Paolo Tortora

DOMANDA – Prof. Tortora, quali sono secondo lei le debolezze scientifiche della teoria ID e vede differenze con il creazionismo della Terra giovane?

RISPOSTA – Per quello che posso argomentare dalla mia limitata prospettiva, mi permetto di affermare che la domanda si fonda su un errore metodologico.

Intendo dire che la visione dell’Intelligent Design NON è una teoria scientifica, in quanto non è, popperianamente parlando, verificabile o falsificabile. Quindi non ha neanche molto senso parlare di debolezze se non si tratta di teoria scientifica.

L’altro elemento che vorrei introdurre è che l’evoluzione è un dato inconfutabile, come ho documentato partecipando al libro di Gianpaolo Bellini intitolato Alle frontiere della conoscenza (Franco Angeli 2024).

Ma una cosa è dire evoluzione, altra è parlare di teoria evolutiva.

 

Si può essere evoluzionisti e creazionisti!

DOMANDA – E per quanto riguarda il creazionismo?

RISPOSTA – Per quanto riguarda il concetto di creazionismo, devo capire di cosa si parla esattamente.

Se si intende con questo che la creazione è avvenuta secondo le modalità (anche cronologiche) che si evincono dalla Bibbia, questa è una visione che già J. Ratzinger definisce indifendibile.

Se si tratta di riconoscere l’esistente come prodotto di un atto creativo, ebbene io sono creazionista, ma al contempo aggiungo che giudico questa posizione del tutto ragionevole (altrimenti non l’avrei fatta mia!), ma non documentabile in base a una investigazione scientifica.

 

DOMANDA – E’ in buona compagnia, anche Dobzhansky si definiva un “creazionista evoluzionista”

RISPOSTA – Sì, qui si arriva ad uno dei punti chiave del problema.

A certe visioni evoluzionistiche è sottesa implicitamente l’idea che tutto ciò che esiste sia limitato al mondo materiale, cioè immanente, e che quindi qualsiasi riflessione che ecceda quanto documentabile dalla investigazione scientifica si occupi di qualcosa inesistente o comunque non abbia rilevanza nei percorsi conoscitivi.

Il minimo che si potrebbe controbattere a chi sostiene queste posizioni è che costui ha anche l’onere della prova.

 

Osservazioni corrette dell’Intelligent Design

DOMANDA – Tornando al libro di padre Hilbert, si afferma che il moderno paradigma evolutivo affronti una “ondata crescente di prove sfavorevoli”, a partire dalla messa in discussione del gradualismo di stampo neodarwinista.

RISPOSTA – A questa domanda ho già in parte risposto.

Prima di ogni altra considerazione vorrei affermare che possiamo discutere in lungo e in largo circa i meccanismi evolutivi, ma questa è una discussione che ha rilevanza puramente scientifica, senza alcuna implicazione di altra natura.

In particolare, bisogna dare atto a Charles Darwin di avere avuto un’intuizione di grande valore nel concepire un aspetto base dei meccanismi evolutivi, ma oggi sappiamo che le dinamiche sono enormemente più complesse.

In particolare, oggi il gradualismo non è più sostenibile (si veda il contributo di Eldredge), ma questo nulla toglie al valore del contributo di Darwin.

D’altronde questo è un modo normale di procedere della conoscenza scientifica: intendo che di regola una teoria innovativa, una volta proposta, nei successivi sviluppi viene quasi invariabilmente integrata e ritoccata, e questo non fa problema a nessuno, per lo più neppure ai titolari della scoperta.

 

L’evoluzione biologica è una teoria scientifica?

DOMANDA – Prima diceva che l’ID non è una teoria scientifica in quanto non verificabile: qualcuno potrebbe obbiettare che anche parti della teoria evolutiva soffrono dello stesso problema (la macroevoluzione ad esempio).

RISPOSTA – E’ un’osservazione spesso trascurata in questo ambito di problemi: anche nelle investigazioni circa i meccanismi evolutivi il metodo scientifico non è pienamente applicabile.

In termini semplificati il metodo si basa sul paradigma popperiano: osservazione –> ipotesi –> esperimento/i di verifica –> verifica o falsificazione.

Nel caso delle dinamiche evolutive noi non possiamo fare esperimenti, ma solo ipotesi e osservazioni e questa è anche la ragione per cui nel foro di discussione si confrontano posizioni anche molto diverse.

C’è chi asserisce che la teoria evolutiva non sia neppure una teoria scientifica in quanto non verificabile o falsificabile, un’osservazione formalmente corretta, ma io non mi spingerei così lontano.

 

Evoluzionisti credenti, perché non c’è contraddizione

DOMANDA – Come risponde ai sostenitori del creazionismo e dell’ID secondo cui gli evoluzionisti credenti assumerebbero una posizione di compromesso che “mischia il cristianesimo con il naturalismo”?

RISPOSTA – Non è affatto così!

Non riesco a capacitarmi di come sia così difficile cogliere che il riconoscere che l’atto creativo della realtà non rappresenta un’ipotesi scientifica. Inversamente, una teoria evolutiva, comunque sia strutturata, non è una teoria filosofica o teologica.

Vale a dire che essa, come tale, non può rappresentare una chiave di comprensione della totalità del reale.

A questo proposito mi rifaccio a certe posizioni di evoluzionisti di visione materialista, i quali vedono la teoria darwiniana come il contributo che ha espunto qualsiasi pretesa di trascendenza, in quanto fornirebbe una chiave di lettura completamente immanente, in particolare riguardo l’origine dell’uomo.

E’ senz’altro vero che nello sviluppo del pensiero cristiano la fede è stata legata alle visioni cosmologiche implicite nel racconto biblico, ma questa è stata semplicemente una tappa nella maturazione del pensiero. Oggi non esiste alcuna obiezione a riconoscere una visione che tenga conto degli sviluppi successivi della conoscenza.

Trovo persino disarmante il fatto che chi sostiene che la teoria darwiniana abbia fatto piazza pulita di ogni visione trascendente, non riesca a rendersi conto che la domanda circa l’origine di tutto resta completamente intatta anche dopo Darwin, anzi si riproponga per certi aspetti anche più imponente di prima.

 

L’evoluzione aiuta la fede, ecco come

DOMANDA – E’ molto interessante questo aspetto, può approfondire?

RISPOSTA – Mi rifaccio a quanto sappiamo oggi sull’origine della vita e l’evoluzione biologica.

Si suggerisce infatti una intrinseca e persistente propensità della materia a generare una sempre nuova e inesauribile complessità: si tratta di un’osservazione pienamente scientifica, che va sotto il nome di “evolvability“, una linea di ricerca vera e propria che ha portato a contributi pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche.

In una parola, il progresso della conoscenza porta alla nostra attenzione molteplici suggerimenti, come quello appeno menzionato (assieme a molti altri), che non dimostrano nulla in termini scientifici ma non possono non lasciare aperta una domanda a chi, con lealtà, si pone di fronte al mistero che inesorabilmente la realtà propone alla riflessione dell’uomo.

Si può credere o non credere, ma ciò che trovo radicalmente irragionevole, è quel pensiero ideologico che in modo dittatoriale esclude ogni possibilità di trascendenza, pensiero che surrettiziamente pretende di basarsi sul progresso della conoscenza scientifica.

 

Intelligent Design da cattolici: si o no?

DOMANDA – Se dovesse riassumere sinteticamente la sua posizione tra evoluzionismo, creazionismo e Intelligent Design?

RISPOSTA – Direi che sono certo dell’evoluzione biologica (evitando il termine evoluzionismo che può essere ambiguo), e al contempo sono creazionista perché credo che la realtà fisica sia stata creata.

Credo anche in un intelligent design, vale a dire credo che la realtà sia stata creata con una finalità. Ma non lo posso dimostrare scientificamente perché questo non è oggetto dell’investigazione scientifica.

Eppure giudico questa mia posizione perfettamente ragionevole perché ci sono modi di conoscere la realtà anche al di fuori del metodo scientifico.

 


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Autore

La Redazione

5 commenti a Da biochimico cattolico sì all’evoluzione, no all’Intelligent Design

  • Lorenzo ha detto:

    Paolo Tortora è, come minimo, intellettualmente incoerente a motivo dell’ideologia: prima, giustamente, afferma “che l’ID non è una teoria scientifica in quanto non verificabile”, e poi attesta che se anche “C’è chi asserisce che la teoria evolutiva non sia neppure una teoria scientifica in quanto non verificabile o falsificabile, un’osservazione formalmente corretta, ma io non mi spingerei così lontano.”
    L’evoluzione rimarrà sempre una teoria perché non riuscirà mai a spiegare il salto di specie: il salto di specie è opera del cosiddetto DNA spazzatura.

    • Natale ha risposto a Lorenzo:

      Commento inutilmente dissacrante (ma com’è che più si è tradizionalisti e più si usa violenza verbale??). Non c’è nessuna contraddizione nelle due frasi perché Tortora si riferisce ad alcuni aspetti della teoria evolutiva (è specificato nella domanda) mentre in altri aspetti (la microevoluzione) gli esperimenti sono fattibili e sono utilizzati ogni giorno da tutti gli allevatori del mondo.

      Da neofita della materia stai quindi confondendo vari piani della teoria evolutiva, tra l’altro la frase “l’evoluzione rimarrà sempre una teoria” non ha senso. Anche quella di gravità rimarrà sempre una teoria, che è il punto massimo a cui può giungere una spiegazione scientifica. Consiglierei di studiare prima qualcosa prima di commentare.

      • Lorenzo ha risposto a Natale:

        Ti consiglieri di dare un senso reale alle parole che usi: quella che tu e tanti altri soloni definite “microevoluzione”, è solo fumo negli occhi per non usare il temine appropriato di “adattamento all’ambiente”.
        L’adattamento all’ambiente è una cosa provata che nulla ha in comune con il salto di specie: solo un approccio ideologico che vuol falsare la realtà può legare i due eventi nettamente distinti tra loro definendoli microevoluzione e macroevoluzione.

      • Lorenzo ha risposto a Natale:

        Riguardo poi all’uso che ho fatto del termine “teoria”, conosci il differente uso di “teoria” e “teoria scientifica”?

  • Paolo Giosuè ha detto:

    La dimensione antropologica rimane implicita nell’intervista del Prof. Tortora. La sua analisi – pur essendo chiara e metodologicamente solida – rimane principalmente epistemologica: distingue scienza, filosofia e teologia; chiarisce i limiti del metodo empirico; afferma una ragionevole apertura alla trascendenza. Ma ciò che non sviluppa appieno (forse deliberatamente, essendo uno scienziato della natura empirica, non un filosofo o teologo) è la crisi antropologica: la perdita della consapevolezza dell’uomo della propria dignità di imago Dei.

    Porterei all’attenzione su tre punti e una conclusione:

    1. L’evoluzionismo come “filosofia prima”

    Una intuizione del Cardinale Caffarra era questa: quando la teoria evoluzionistica cessa di essere un modello scientifico e diventa un sistema metafisico, usurpa il ruolo un tempo ricoperto dalla “filosofia prima” – la spiegazione ultima dell’essere e dell’origine. Non si tratta di un errore scientifico, ma di un’inversione ontologica: un ordine inferiore di conoscenza (empirico) diventa l’orizzonte totale dell’intelligibilità. La conseguenza, come noti, è l’erosione della solitudine originaria – la consapevolezza dell’uomo di essere persona davanti a Dio, chiamato al dialogo, non semplicemente un sottoprodotto della materia.

    Tortora accenna a questo pericolo quando critica l’immanentismo, ma non arriva a svelarne le conseguenze antropologiche: la perdita di personalità, vocazione e responsabilità morale.

    2. L’auto-chiusura epistemologica

    Il secondo punto – la negazione da parte dell’uomo della sua capacità di conoscere la realtà così com’è – identifica la ferita epistemologica della modernità.
    Anche in questo caso, completerei ciò che Tortora si limita a sottintendere.
    Quando parla dei limiti della scienza, difende la modestia metodologica; ma mi muoverei piuttosto nel senso di interpretare, vedere come un’umiltà metafisica che si è drammaticamente trasformata in scetticismo. Il soggetto moderno ( che assume come slogan, divisa ideologica: “non faremo mai un solo passo al di fuori di noi stessi”, il famoso “cogito” cartesiano), ha trasformato la conoscenza in una costruzione autoreferenziale – un crollo del realismo.

    Questo è l’esatto opposto di ciò che sostiene la dichiarazione conclusiva di Tortora: che ci sono modi di conoscere la realtà anche al di là del metodo scientifico.
    Questa non è una questione secondaria, ma il cardine stesso della dignità dell’uomo, poiché la trascendenza (verso la realtà, verso gli altri, verso Dio) definisce la nostra vocazione umana.

    3. La vita “come se Dio non esistesse”

    Questo è il punto più devastante nelle sue conseguenze esistenziali (bioetiche) e giuridico- politiche (biopolitiche).
    Una volta che Dio viene ritenuto non necessario, “un’ipotesi superflua”, l’uomo diventa o un idolo autonomo o orfano dei genitori dopo un incidente. Questo descrive il clima culturale che acutamente Dietrich von Hildebrand diagnosticò come la relativizzazione di ogni assoluto. Non si tratta di un mero relativismo teorico, ma di un livellamento morale e ontologico: la dimensione sacra della vita umana viene appiattita e l’uomo viene ridotto a un evento biochimico.

    Tortora contesta indirettamente questa mentalità attraverso il suo appello alla “trascendenza”, ma una lettura più approfondita rivela che l’urgenza pastorale risiede qui: non si tratta semplicemente di conciliare l’evoluzione con la fede, ma di salvare l’antropologia stessa dalla dissoluzione.

    4. La necessità di ricentrare il dibattito

    In conclusione, l’ elemento antropologico non è sufficientemente enfatizzato nell’intervista, sebbene sia implicitamente presupposto nella sua visione del mondo. L’enfasi è posta sull’integrità epistemica, non sull’integrità antropologica, che è la ferita più profonda della modernità.

    La modestia metodologica della scienza deve essere completata da un coraggio metafisico nei confronti dell’uomo.

    Il dialogo tra fede e scienza non può limitarsi alla compatibilità; deve recuperare la verità sull’origine, la natura e il destino dell’uomo.

    Solo un’antropologia cristiana rinnovata può salvaguardare ciò che viene definito dall’antropologia cristiana, il “fondamento della dignità dell’uomo”: la sua solitudine davanti a Dio, la sua autotrascendenza e il suo rapporto con l’Assoluto.