Cura del creato, la sua radice nel monachesimo medievale

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Il monachesimo medievale e la cura del creato come dono di Dio. Ne parliamo con Francesco Salvestrini, storico del Medioevo a Firenze.


 

Il 9 luglio scorso Papa Leone XIV ha celebrato una Messa per la cura del creato.

Un’iniziativa che ha fatto storcere il naso a qualcuno, c’è chi ha parlato di “ideologia ambientalista” e chi di “messa ecologista”.

Durante l’omelia, il Santo Padre, parlando a braccio, ha chiesto: «Dobbiamo pregare per la conversione di tante persone, dentro e fuori della Chiesa, che ancora non riconoscono l’urgenza di curare la casa comune».

Ma davvero la custodia e la cura del creato promossa dalla Chiesa e dal Papa è figlia dell’ideologia ambientalista, molto più pagana che cristiana?

Quando Francesco nella “Laudato sì” chiedeva di «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio» e quando Leone invita a elaborare «modalità nuove ed efficaci di custodire la natura a noi affidata» si stanno piegando al modernismo?

Eppure quest’attenzione per la cura del creato in quanto dono di Dio ha radici molto antiche nella Chiesa, quando ancora nessuno se ne preoccupava.

Nel Medioevo cristiano, infatti, i monaci «contemperarono già la colonizzazione e il rispetto dell’ambiente, guardando alla foresta e agli altri luoghi non coltivati come a elementi costitutivi del loro giardino spirituale»1F. Salvestrini, Il giardino monastico, in P. Caraffi e P. Pirillo, “«Prati, verzieri e pomieri». Il giardino medievale. Culture, ideali, società, Edifir 2017, p. 117.

 

Cura del creato, intervista allo storico del Medioevo

Di tutto questo abbiamo parlato con Francesco Salvestrini, professore ordinario di Storia Medievale presso l’Università di Firenze e grande esperto di monachesimo medievale. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

 

DOMANDA – Professore, nei suoi studi emerge che i monasteri medievali intrattenevano un rapporto profondo e rispettoso con l’ambiente naturale. Un legame motivato solo dalla necessità di trarre il massimo beneficio dalle risorse naturali o c’era una consapevolezza del valore del creato?

RISPOSTA – La risposta a questa domanda deve essere articolata.

I monaci benedettini guardavano con grande rispetto al Creato perché esso era opera di Dio. Tuttavia erano profondamente convinti che la natura fosse stata posta in essere dal Creatore per risultare utile all’uomo, sua creatura prediletta e privilegiata. L’uomo doveva impiegare le risorse ambientali con rispetto.

Spesso piante e animali fornivano esempi e metafore di qualità morali (o anche di vizi e di peccato) che il religioso era tenuto ad osservare per trarne insegnamenti e modelli comportamentali.

E’ comunque vero che i grandi monasteri non hanno esitato a modificare l’ambiente a fini economici e produttivi perché la Natura non era considerata “buona” in sé (anzi le selve erano spesso abitate da demoni), ma solo dopo che i contemplativi vi avevano introdotto le loro espressioni di “civiltà”.

 

I monaci e la cura del creato, non un’ecologia integrale

DOMANDA – Quindi non c’era l’idea che la custodia del creato fosse un valore in sé e per sé? Una sorta di “ecologia integrale” moderna che alcuni attribuiscono addirittura a San Francesco d’Assisi…

RISPOSTA – Non si può parlare di coscienza ecologica dei monaci (e neppure dei frati minori). La natura non aveva rilievo in quanto tale, ma solo come espressione dell’amore divino.

Parlare di ecologia integrale in rapporto al monachesimo non ha alcun senso. I monaci, specialmente benedettini, hanno sempre modificato i territori nei quali si sono insediati perché proprio il lavoro sulla terra esprimeva al massimo grado la loro scelta di vita consacrata.

 

DOMANDA – Alcuni temono che l’urgenza per la cura del creato sottolineata da Papa Francesco e Leone XIV, sia una moda o una sottomissione a un’ideologia ambientalista. La riscoperta dell’ecologia monastica può aiutare a recuperare una visione equilibrata della natura?

RISPOSTA – Indubbiamente dietro alle legittime e doverose posizioni prese oggi dai massimi rappresentanti della Chiesa verso la tutela dell’ambiente vi è la suggestione generata dai movimenti ecologisti. D’altro canto ritengo anche giusto che i sommi pontefici parlino agli uomini del presente impiegando il linguaggio del presente.

Il monachesimo, però, non intendeva che la natura selvaggia dovesse essere lasciata a se stessa, perché in una natura selvaggia l’uomo non avrebbe trovato posto. Come diceva Bernardo di Chiaravalle, la natura era un libro da leggere, una realtà da vivere e con la quale interagire nel rispetto delle sue leggi volute da Dio per il bene dell’uomo.

 

L’equilibrio dei monaci: cura ma anche utilizzo della natura

DOMANDA – Nel rilancio di Leone XIV a “vivere quell’armonia con il creato che è per noi guarigione e riconciliazione” vede una riflessione moderna o trova qualche corrispondenza con i testi medievali?

RISPOSTA – L’armonia del creato è fonte di consolazione e riconciliazione per l’uomo. I monaci, così come Francesco d’Assisi, trovavano nella natura l’essenza della vita, e immersi in essa si sentivano più vicini a Dio.

Ma l’immersione nella natura non era passiva contemplazione, ma invito ad agire, a confrontarsi col creato, a santificare col lavoro lo spazio sacro (inteso come sacer, quindi anche in senso negativo) dei deserti e delle selve.

La natura esisteva per l’uomo e l’uomo doveva saperla gestire così come doveva amministrare la propria casa o la propria fattoria (redde rationem villicationis tuae).

 

DOMANDA – In un suo contributo parla di “giardino spirituale” vissuto dai monaci medievali riguardo alla foresta. Ci spiega meglio?

RISPOSTA – La foresta era in qualche modo un giardino spirituale, ma risultava più importante per i movimenti eremitici (di cui era scrigno) che per quelli cenobitici, spesso insediati ai margini delle città.

I monaci non sono stati sempre e solo dissodatori (neppure i cistercensi), ma anche le foreste e i prati per loro potevano acquisire un’importanza produttiva e dovevano essere oggetto di cure al pari dei campi o dei frutteti, dei pascoli o degli orti. Il giardino monastico era espressione di una natura addomesticata dall’uomo, non di una natura selvaggia.

Solo dopo il lavoro dell’uomo la natura esso acquisiva i connotati di uno spazio santo (ossia istituzionalmente votato al bene). L’azione dei padri fondatori – da Benedetto a Romualdo di Ravenna, da Roberto di Molesme a san Bernardo – lo evidenzia chiaramente.

 

DOMANDA – Se dovesse sinteticamente indicare un messaggio chiave che i monasteri medievali ci lasciano sul rapporto tra uomo e ambiente, quale sarebbe?

RISPOSTA – L’ambiente è Creatura di Dio, che lo ha generato perché sia di supporto alla vita degli uomini. Vivere in armonia con l’ambiente significa vivere più serenamente con se stessi e avvicinarsi a Dio.

L’Altissimo “parla” attraverso la natura agli uomini, i quali devono solo imparare a leggere le grandi pagine del libro del mondo per ritrovare la vera armonia fra l’ecosistema e la loro stessa interiorità. Tuttavia l’ambiente può anche essere aspro e pericoloso, e gli uomini hanno il diritto-dovere di gestirlo e “addomesticarlo”, trovando così, in questa azione, un senso alla loro esistenza terrena.

 


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Autore

La Redazione

4 commenti a Cura del creato, la sua radice nel monachesimo medievale

  • Gabriele ha detto:

    Mi sembra però che il professore dica che per i monaci medievali la cura del creato non può essere scissa da Dio, dal fatto che il creato è appunto stato creato e non ha un valore a sé stante. Penso sia questa la pietra d’inciampo tra un’ecologismo laico e l’etica ambientale promossa soprattutto dagli ultimi pontefici

  • Laura ha detto:

    Penso che su San Francesco i medievalisti dovrebbero veramente farsi sentire, non è più possibile vederlo accostato e usato dagli ecologisti pagani che più lontani non si può dalla sensibilità della chiesa e dallo stesso Francesco.

  • Li ha detto:

    Grazie per questo chiarimento così necessario!