L’ex leader della mala del Brenta: «sono libero ma dannato, mi affido al Giudizio Divino»

Il “doge” della mala del Brenta. Giampaolo Manca racconta la sua conversione in carcere nel quale ha scontato la sua lunga pena, in attesa della giustizia divina.

 

Ha passato metà della sua vita in carcere. Parliamo di Giampaolo Manca, alias “Doge”, uno degli esponenti più noti della cosiddetta “mala del Brenta”, una banda mafiosa veneta che ha operato nell’Italia nord-orientale dagli anni 70 agli anni 90.

A carico di Manca c’è sopratutto la complicità nell’omicidio dei fratelli Rizzi su ordine di Felice Maniero. Verso la fine del 2017 il tribunale di sorveglianza di Bologna ha accolto l’istanza di affidamento in prova permettendogli di scontare gli ultimi tre anni di pena in una comunità di Rimini.

In una recente intervista (su Libero, 29/10/18) è emersa forte la sua richiesta di non essere imitato dai giovani, non vuole diventare un modello da emulare. Una preoccupazione comprensibile se si pensa quanto accaduto al criminale Renato Vallanzasca, a cui hanno dedicato film che lo hanno trasformato in eroe. Quella di Manca è una testimonianza che in qualche modo si collega alle vertiginose parole di Franco Bonisoli, l’ex brigatista condannato a quattro ergastoli di cui abbiamo raccontato qualche mese fa.

L’orribile svolta alla sua vita la diede sul finire degli anni 70 quando la polizia uccise un suo complice durante una rapina. «Non si trattava più di un gioco ed ero disposto a uccidere», ha confessato Giampaolo Manca. Rapine a banche, caveau e furgoni blindati, anche tre al giorno: «Era impossibile fermarci. Eravamo in un delirio di onnipotenza, anzi oggi penso che eravamo totalmente pazzi». Poi l’arrivo della droga, gli introiti miliardari e il passo successivo: da rapinatore e spacciatore ad assassino.

Manca ha saldato i conti con la giustizia terrena ma durante i lunghissimi anni di carcere ha scoperto che c’è un’altra Giustizia, più importante. «Il carcere in isolamento mi ha portato a parlare prima con me stesso e poi con Dio. Io parlavo con Dio, mi sono affidato a Lui. Mi sono detto: Giampaolo devi rimediare». Il suo desiderio ora è «aiutare i bambini, perché non accada a loro quello che è successo a me. Inoltre voglio esortare i giovani a non prendermi come esempio, io sono un dannato, non un’icona da emulare. Ho deciso che tutti i proventi dei quattro libri serviranno per una struttura che accolga i bambini autistici. Voglio fare del bene. Per me è un riscatto poi mi affido al Giudizio Divino».

La redazione

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Un commento a L’ex leader della mala del Brenta: «sono libero ma dannato, mi affido al Giudizio Divino»

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  1. Apocalipto ha detto

    Signor Giampaolo,

    Lei mi par di capire…ha una gran fortuna. Lei crede in Dio. Seppur non riesce a perdonarsi SA che le sue vittime ora sono nella pace. In paradiso. Si spera. Lei avra’ dei cari, defunti, beh….c e un senso.
    Anche se noi non riusciamo a perdonarci e davanti a Dio forse non riusciamo nemmeno a chiedere perdono; non ci riteniamo degni…e non lo siamo. Però c e pure di peggio di noi pubjlicani (legga la parabola) coloro che si sentono giusti e invece non vengono perdonati. Continui a fare il bene. Penso sia la medicina giusta.

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