10 anni di Neuroetica: un corso estivo per approfondire

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Alberto Carrara LC, scienziato, filosofo e neurobioeticista, professore assistente presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, tecnico di laboratorio chimico-biologico (1999) e dottore in Biotecnologie mediche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Padova (2004). Dal 2009 è membro del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Regina Apostolorum, dal 2010 è membro della International Neuroethics Society e collabora con altre istituzioni accademiche, tra cui la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani con sede a Roma»

 

di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista

 

Molti sono gli anniversari che si festeggeranno nel 2012. Uno di questi riguarda il 10° anniversario della “nascita” della neuroetica. Di cosa si tratta? Cosa si intende con questo neologismo? L’applicazione sempre più rapida ed immediata all’uomo delle scoperte neuroscientifiche, frutto dell’abbondante ricerca che mira a decifrare i misteri del cervello e della mente umana, ha fatto sorgere nell’opinione pubblica sentimenti spesso antitetici.

In quasi tutti i contesti socio-culturali, il suffisso “neuro” sta trovando largo impiego e successo per le finalità più svariate: dal vendere (neuro-marketing) al convincere (neuro-freedom). Si parla già di neuro-mania, neuro-fobia e di neuro-filia. Le immagini di risonanza magnetica fanno già parte della nostra cultura quotidiana: termini come PET (tomografia ad emissione di positroni) o risonanza magnetica funzionale (fRMN) sono parte integrante della nostra memoria, li abbiamo uditi ed ascoltati ripetutamente per radio, in televisione, li abbiamo letti su Internet nelle circostanze più disparate.

Il termine neuroetica appare nella letteratura scientifica sin dal 1989 in un contesto prettamente bioetico riguardante le decisioni sul fine vita. È il neurologo R. E. Cranford che in un articolo scientifico del 1989 utilizza l’accezione “neuroeticista” sancendo l’ingresso dei neurologi all’interno dei comitati etici ospedalieri [1]. In ambito filosofico, questo neologismo entra in scena per la prima volta nella discussione circa le prospettive filosofiche riguardanti il sé (Self) e il suo legame-rapporto col cervello. È la filosofa P. S. Churchland ad affrontare le “neuroethical questions” in una sua conferenza a fine novembre del 1990 [2].

Nonostante il concetto neuroetica fosse già ventilato in diversi ambiti del sapere, la “paternità” del neologismo viene attribuita storicamente alla prima definizione “canonica” risalente al maggio 2002. In questa data, a San Francisco (USA), si tenne il primo congresso mondiale di esperti intitolato: “Neuroethics: mapping the field”. In tale contesto, William Safire, politologo del New York Times recentemente scomparso, suggerì la seguente definizione contemporanea di neuroetica definendola: quella parte della bioetica che si interessa di stabilire ciò che è lecito, cioè, ciò che si può fare, rispetto alla terapia e al miglioramento delle funzioni cerebrali, così come si interessa di valutare le diverse forme di interventi e manipolazioni, spesso preoccupanti, compiuti sul cervello umano [3].

È il 2002 che si considera l’anno fondativo della neuroetica e gli atti delle conferenze di San Francisco segnano la nascita di questa nuova disciplina e ne sono l’emblema e il punto di riferimento privilegiato. Numerosi in tutto il mondo sono i raduni, le conferenze, le tavole-rotonde che proliferano attorno alle tematiche neuroetiche. Una in particolare attrae l’attenzione di molti esperti: quella relativa alla libertà umana. Sin dai tempi più remoti, il tema del libero arbitrio ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. Oggigiorno, mentre da una parte vengono confermati i risultati neuroscientifici condotti, sin dagli anni settanta, da Benjamin Libet [4], dall’altra si diffonde un clima scettico relativo alla nostra libertà d’azione.

Alcuni neuroscienziati arrivano a concludere che questa peculiarità dell’essere umano, altro non sarebbe che una mera illusione funzionale, frutto dell’ingegno evolutivo del nostro cervello. La problematica è notevole: siamo davvero esseri dotati di coscienza e libertà, o automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Proprio su questa tematica porrò la mia attenzione con alcune conferenze durante il corso estivo internazionale di alto perfezionamento, dedicato alla neurobioetica che dal 2 al 13 luglio 2012 si terrà presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in collaborazione con il Gruppo di Neurobioetica e la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (www.uprait.org).

La finalità sarà quella di offrire a professionisti e studiosi provenienti dai vari ambiti, una metodologia di  approccio pluri e interdisciplinare alle questioni etiche delle Neuroscienze e alle Neuroscienze dell’etica. Favorire il confronto e il dibattito interno sugli argomenti di maggior rilievo, avvalendosi di un’analisi approfondita e critica dei dati neuroscientifici. Integrare tale metodologia con l’apporto dei fondamenti filosofici e antropologici, secondo una visione personalista. In ultimo, ricercare forme di “integrazione” dei saperi e delle loro applicazioni, essendo ciascuna Persona “una unità e una totalità di dimensioni biologiche, psicologiche, sociali spirituali”, anche quando fragile, malata o prossima alla morte naturale.

Inoltre, in occasione del 10° anniversario della nascita della neuroetica, offrirò presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Regina Apostolorum durante il primo semestre dell’anno accademico 2012-2013, un corso su: Coscienza e libertà tra filosofia e neuroscienze. A mio avviso, per una corretta valutazione delle interpretazioni neuroscientifiche, la tradizione filosofica che in Tommaso d’Aquino trova uno dei massimi sintetizzatori, potrebbe contribuire a fornire alcuni concetti e chiavi di lettura che contribuirebbero a rasserenare e a rendere più realistiche certe conclusioni ed inferenze. L’antropologia tommasiana unitiva ed integrativa, potrebbe costituire un valido fondamento neuroetico per evitare tanto il dualismo cartesiano, quanto un monismo cerebrale unitotalizzante.

 

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Note
[1]. Cf. R.E. Cranford, «The Neurologist as Ethics Consultant and as a Member of the Institutional Ethics Committee. The Neuroethicist», Neurologic Clinics 7 (1989), 697-713
[2]. Cf. P.S. Churchland, «Our brain, our selves – Reflections on neuroethical questions», in: D.J. Roy – B.E. Winne – R.W. Old (a cura di),  Bioscience-Society: Report of the Schering Workshop, Berlin 1990, November 25-30, Wiley and Sons, New York 1991, 77-96
[3]. Cf. W. Safire, «Visions for a new field of “neuroethics”», in: S. Marcus (ed.), Neuroethics: Mapping the Field. Conference Proceedings, Dana Press, New York 2002, 3-9.
[4]. Benjamin Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, in «Behavioral and Brain Sciences», volume 8, pp. 529-566

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12 commenti a 10 anni di Neuroetica: un corso estivo per approfondire

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  1. credino ha detto

    Sembra davvero un bel corso… ma 500 euro di iscrizione mi sembrano un po’ troppi, almeno per me. Vedo che sono previsti sconti ai “religiosi”… qualcuno sa per caso quale documentazione occorre presentare?

  2. Antonio72 ha detto

    A quanto mi risulta gli esperimenti di Libet dimostrano che la nostra libertà d’azione è limitata, tanto che offrono il destro ad Odifreddi nel suo libro indirizzato al Papa.
    Ricordo che Libet riduce la libertà cosciente ad una sorta di veto cosciente.
    A questo punto forse è più interessante la neuroscienza dell’etica, piuttosto che l’etica della neuroscienza.
    Non vorremmo fare tutti la fine del toro telecomandato di José Delgado.

    • Lucio ha detto in risposta a Antonio72

      Ciao Antonio,
      Io penso che ad una attenta analisi non potremo mai avere da temere dagli sviluppi delle neuroscienze. Come insegna giustamente Tommaso d’ Aquino la scienza rettamente intesa e la fede non possono essere in contraddizione. Sono invece le concezioni dello scientismo che si oppongono alla fede. Proprio per questo avremo sempre bisogno di persone adeguatamente formate in grado di mostrare dove finisce l’affermazione scientifica (per altro sempre parziale e suscettibile di modifiche) e dove inizia invece l’ideologia scientista.
      Da questo punto di vista credo che, con il tempo, anche le affermazioni di Libet mostreranno inevitabilmente limiti e contraddizioni (vedi al riguardo il bellissimo articolo del Prof. Forastiere su neuroscienze e libero arbitrio) e che alla fine, anche se non senza fatica, risultera’ chiaro che il paradigma secondo cui il libero arbitrio non esiste finira’ con il rivelarsi per quello che realmente e’: una follia che svuota di ogni significato la ricerca della verita’ scientifica. Da un punto di vista logico, se si negano realta’ come il libero arbitrio e l’autocoscienza, non puo’ piu’ avere nessun senso sostenere che una affermazione puo’ essere vera o falsa.

      • Antonio72 ha detto in risposta a Lucio

        Ciao Lucio,

        Il mio commento non voleva essere una critica nei confronti del libero arbitrio, ma solo una puntualizzazione, in quanto nell’articolo viene detto implicitamente che gli esperimenti di Libet dimostrerebbero il libero arbitrio, cosa tra l’altro impossibile per qualsiasi esperimento scientifico, almeno secondo me. In realtà gli esperimenti di Libet dimostrano che la preparazione del movimento volontario avviene prima che il soggetto ne abbia coscienza, ovvero in maniera inconscia. Che poi Libet si dichiari apertamente un dualista, anche se non in senso cartesiano (tanto che ipotizza una teoria definita del Campo Mentale Cosciente) e creda nell’esistenza del libero arbitrio e forse anche dell’anima (anche se di questo non ne sono sicuro), dimostra che qualsiasi esperimento scientifico può essere interpretato in maniera differente, ovvero soggettivamente (ed anche dagli stessi scienziati). Non a caso il filosofo materialista Dennett attacca questa interpretazione di Libet, e chiede addirittura alla Churchland (anch’essa appartenente alla parrocchia di Dennett) di ripeterne gli esperimenti.
        Le neuroscienze possono spiegare il libero arbitrio pressappoco come si potrebbe spiegare il sorgere del sole studiando il canto del gallo. Quando leggo da qualche parte che le nuove scoperte delle neuroscienza sulla libertà umana un giorno porteranno ad una riforma adeguata del sistema giuridico, mi viene da piangere, o da ridere, visto che la cosa mi ricorda un certo Dostoevskij, il quale, molto prima che si parlasse di qualsiasi neuro e qualcosa, aveva previsto quest’assurda eventualità.

        • Lucio ha detto in risposta a Antonio72

          Ciao Antonio,
          da profano direi che se davvero la preparazione del movimento volontario avviene prima che il soggetto ne abbia coscienza, da questo non necessariamente deriva che sia sbagliato parlare di movimento volontario. In relazione al libero arbitrio la difficolta’ nascerebbe, anche da un punto di vista logico, qualora il movimento volontario (e non la sua preparazione) avvenisse prima della volonta’ di muoversi. Penso che il libero arbitrio, comunque, dovrebbe essere messo alla prova sulle realta’ piu’ profonde e piu’ complesse del metapensiero piuttosto che sul semplice movimento volontario.
          Concordo con te sul fatto che ogni esperimento scientifico possa essere interpretato in maniera diversa; ma mi sentirei anche di aggiungere che non tutte le interpretazioni possono avere lo stesso valore e che, inoltre, quelle piu’ corrette possono essere riconosciute in maniera oggettiva.
          Anch’io credo che le neuroscienze, da sole, non potranno mai chiarire un fenomeno complesso come quello del libero arbitrio poiche’ questo, come e’ logico pensare, riguarda piu’ la filosofia che la scienza. Ritengo comunque che anche le scoperte della scienza, depurate dalla ideologia scientista, possano contribuire ad approfondire ed a chiarire la realta’ del libero arbitrio. Non mi inchino alla scienza ma non intendo neanche svalutarla.

    • Jack ha detto in risposta a Antonio72

      Libet dava un’interpretazione ai suoi studi molto diversa da quella che venne data da altri, credeva nel libero arbitrio e lo difese con grande sapienza.

      Ti rinvio cmq agli articoli di Michele Forastiere (su questo sito nella sezione in alto “scienza e fede”)

      • Antonio72 ha detto in risposta a Jack

        Lo so, e l’ho anche scritto nel mio commento delle 15:11. Inoltre possiedo anche un suo libro, e quindi so bene o male ciò che pensa Libet e conosco i suoi esperimenti dalle sue proprie parole scritte.

        Grazie.

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