Francesco Guccini: «sono un agnostico inquieto in cerca dell’infinito»

Ieri ha compiuto 70 anni il grande cantautore italiano Francesco Guccini. Un vero laico come purtroppo ce ne sono sempre meno (l’UAAR lo ha catalogato come “famoso ateo”, bisognerebbe comunicarglielo per vedere la reazione…). Uno che non è mai riuscito a credere in Dio, ma questo non gli ha impedito di continuare a cercare un senso, un significato della vita, senza mai cadere in posizioni rinunciatarie, di chiusura, di ottusità come vanno aggressivamente di moda oggi. Nel 1998, in un’intervista, espresse tutta la sua statura d’uomo: «c’è sempre stata, pudica, sottile, nelle mie canzoni, una domanda sull’infinito, sul senso ultimo delle cose. Ma da agnostico, da vago panteista e spiritualista quale sono, da uomo che non crede nell’esistenza dell’anima ma forse coglie un fondo di infinitezza, di immortalità nel nostro destino, mi fermo alla domanda, all’interrogativo. L’importante è, però, che questa domanda non cessi mai, perché è uno dei sintomi preziosi della nostra vitalità come uomini» (Mattei, Anima Mia, Piemme 1998, pag. 158). Intervistato da Avvenire nei giorni scorsi, Guccini è ritornato su una delle sue canzoni più famose, Dio è morto. Ha detto: «i censori Rai si rivelarono più papisti del Papa. Perché mentre RadioRai decise di ignorare la canzone, quella Vaticana, che ne aveva capito il senso, non si fece problemi a trasmetterla. Alcuni cattolici di Assisi addirittura, nell’inverno del ’68, mi chiesero di suonarla dal vivo» . In altre interviste aveva detto: «Papa VI definì giustamente questa canzone un lodevole esempio di esortazione alla pace e al ritorno ai giusti e sani principi morali. Sarà che sono un vecchio agnostico inquieto, però devo confessare la sorpresa e la gratificazione di vedere nel corso degli anni che tanti gruppi cattolici hanno preso sul serio le mie canzoni e le hanno approfondite laddove io non avrei mai pensato. Mai avrei pensato che le mie canzoni convivessero addirittura con la Bibbia e la cosa non può che farmi piacere» (Mattei, Anima Mia, Piemme 1998, pag. 161). Nell’intervista a Il Sussidiario, gli viene ricordata la sua canzone Gli amici, dove canta, rivolgendosi Dio: “E quindi ci sopporti, ci lasci ai nostri giochi, cosa che a questo mondo han fatto in pochi. Voglio vedere chi sceglie con tanti pretendenti, fra santi tristi e noi più divertenti. (Voglio) Veder chi è assunto in cielo, pur con mille ragioni, fra noi e la massa dei rompicoglioni”. Lui ha commentato: È un po’ il Padre Eterno de “La Genesi”, questa figura burbera da vecchio padre un po’ incazzato, ma benevolo. Speriamo che fra 30, 50 anni ci sia un tavolo di carte e una bottiglia di vino o qualcosa di simile. È un Paradiso poi da poco”.