L’aborto, un diritto umano che non esiste
- Bioetica
- 22 Apr 2010
L’aborto è un diritto della donna, si sente dire spesso. Ma dove sta scritto? Secondo quale legge? Oltre alla controversia etica del presunto diritto di interrompere una vita umana seppur allo stadio embrionale, nessuna legge lo ha mai dichiarato un “diritto”.
«La Corte europea non ha mai affermato che esista un “diritto all’aborto”», ha dichiarato Vladimiro Zagrebelsky, magistrato (comunista) ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Anzi, ha proseguito l’eminente giurista, la Corte «ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna». E «nemmeno la legge italiana prevede un “diritto all’aborto”».
In questo dossier, continuamente aggiornato, documentiamo meglio le parole di Zagrebelsky, dando spazio ai documenti giuridici internazionali e alla posizione di molti esperti e specialisti che si sono pronunciati in materia.
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L’ABORTO NON E’ UN DIRITTO, I PRONUNCIAMENTI
- Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade con la quale il medesimo organo di giustizia aveva riconosciuto nel 1973 il diritto di interrompere la gravidanza.
Con 6 voti a favore e 3 contrari, i giudici della Corte Suprema hanno dichiarato che «la Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale».
- Il 15 luglio 2013 Vladimiro Zagrebelsky, magistrato ed ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, è intervenuto sul tema dell’interruzione di gravidanza e sulla decisione della Corte europea, scrivendo:
«La Corte europea ha affermato che, in materia così delicata, legata come è a Valutazioni di natura etica, gli Stati hanno un margine di apprezzamento nazionale che giustifica l’adozione di soluzioni diverse. Essa non ha mai affermato che esista un “diritto all’aborto”, anzi ha negato che possa pretendersi una pura e semplice libertà di scelta da parte della donna. Secondo la Corte, la disciplina nazionale relativa all’aborto riguarda il diritto al rispetto della vita privata della donna, con la conseguenza che sono ammesse restrizioni al suo esercizio. Il diritto al rispetto della vita privata, infatti, non è un diritto assoluto, insuscettibile di limitazioni e regole […]. Nemmeno la legge italiana prevede un “diritto all’aborto”, essa regola la difficile, drammatica contrapposizione tra la prosecuzione della gravidanza e la tutela della madre».
- Il 21 giugno 2012 il giurista Cesare Mirabelli, già presidente della Corte costituzionale, ha dichiarato:
«Nelle sue sentenze passate la Corte costituzionale ha sempre affermato che non esiste alcun diritto all’aborto e che vanno tutelati anche i diritti dell’embrione e non solo quelli della madre […]. Bisogna però vedere quale dei due diritti finisca per prevalere nei casi in cui si debba scegliere tra evitare un danno per la salute della donna e salvare la vita all’embrione. E’ sempre escluso però che l’aborto possa essere un diritto, perché non esiste un diritto all’aborto, anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale».
- Il 6 gennaio 2011 il giudice della Corte suprema americana, Antonin Scalia, intervistato sul tema dell’aborto dalla rivista California Lawye, ha dichiarato:
«Volete il diritto all’aborto? Non c’è nulla a tal proposito nella Costituzione Usa. Se si attribuisce a certe parti della Costituzione un significato mutevole in modo che esse assumano quello che la società attuale pensa che debbano avere, non ci sono affatto limitazioni per la stessa società»
- Il 16 dicembre 2010 la Grand Chamber della Corte europea dei diritti umani si è pronunciata sul caso A, B e C c. Irlanda (ricorso n. 25579/05)
La Grand Chamber ha stabilito che le restrizioni vigenti in Irlanda in materia di aborto rientrano in quelle misure necessarie poste in essere in una società democratica al fine di tutelare uno di quei legittimi interessi previsti proprio dal secondo paragrafo dell’art. 8 della Convenzione, ovvero la tutela di un valore morale profondamente radicato nella cultura irlandese, il rispetto per il diritto alla vita del nascituro, rappresenta a parere della Corte un interesse sufficientemente legittimo.
In secondo luogo, la Corte ritiene che rientri nel margine di discrezionalità dello Stato definire il giusto bilanciamento con altri interessi concorrenti, come il rispetto della vita privata e familiare della donna. In questo contesto, la Grand Chamber non ritiene che tale margine di discrezionalità debba essere limitato sulla base della mera esistenza in Europa di legislazioni nazionali molto più permissive in tema di aborto.
Il tribunale europeo dunque non ha riconosciuto alcun “diritto umano all’aborto”, giustificando le leggi che lo rendono illegale o fortemente restrittivo.
- Il 28 giugno 2009 il magistrato della Cassazione, Carlo Casini, membro del Comitato Nazionale per la Bioetica e Presidente del Movimento per la Vita italiano, ha riflettuto sul diritto all’aborto.
Ha analizzato il diritto di autodeterminazione, il quale però viene sospeso laddove la propria libertà ostacola con quella dell’altro, dove iniziano i diritti di altri. Il concepito è evidentemente un “altro” e non è certo una parte della madre. Non c’è alcuna differenza in termini di qualità tra il neonato o il bimbo che sta nel seno materno, anzi, la distanza tra un feto e un neonato è meno grande della distanza tra un neonato e un adulto.
Casini continua il ragionamento dicendo che è evidente che l’utero appartenga alla donna, ma il figlio, che dopo il concepimento sta dentro l’utero, non è di proprietà di alcuno. Le unghie e i capelli sono di proprietà del soggetto, il quale ha il potere di decide se farli crescere o tagliarli. Ma l’embrione e il feto umano non possono essere paragonati ad un unghia o ad un dente da togliere.
Il diritto d’autodeterminazione esiste solo quando le scelte di un soggetto non riguardano l’altro. Esiste solo per i comportamenti del soggetto agente e non toccano la sua stessa vita, che è indisponibile. Scegliamo quando andare a letto ma non possiamo invocare l’autodeterminazione per schiaffeggiare una persona antipatica o per ucciderla. Ci si può autodeterminare anche a commettere un furto o a testimoniare il falso, ma ciò non costituisce un diritto.
- L’8 settembre 2008 nell’aula del Parlamento di Melbourne (Australia), Gianna Jessen ha tenuto una testimonianza significativa sul diritto all’aborto delle donne.
E’ una delle tante “sopravvissute all’aborto”, che ritiene di essere stata soppressa per i diritti della donna.
Dopo aver raccontato la sua storia, ha affermato:
«Sono felice di essere viva. Sono quasi morta. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto. Ho incontrato altri sopravvissuti all’aborto, sono tutti grati per la vita. Lo slogan oggi è: “libertà di scelta, la donna ha il diritto di scegliere”, e intanto la mia vita veniva soppressa nel nome dei diritti della donna»
- Il 07 aprile 2008 lo psicologo e psicoterapeuta Gaetano Giordano, presidente del Centro Studi Separazione e Affido Minori è intervenuto sul diritto all’aborto.
Riprendiamo per intero il suo intervento in quanto è esposto in maniera molto chiara e determinante:
«Il corpo mio me lo gestisco io: l’ideologia femminista assume come “corpo delle donne” quello che non è più corpo delle donne, ma è l’embrione in via di sviluppo, cioè un sistema di vita che ha una capacità autoreferenziale di definire il proprio destino e la propria crescita, e che si autodefinirà come corpo irreversibilmente diverso da quella del corpo della donna. Il diritto all’aborto viola questa autoreferenzialità dell’embrione, dotato in tal senso di una propria “autonomia”, cioè della capacità di definire sé stesso da sé stesso, sia pure con una dipendenza “diversa” rispetto al vivente già fuoriuscito dal corpo del materno. Il diritto di disporre del proprio corpo si ferma al momento del concepimento, quando la donna ha ancora la possibilità di disporre del (e solo del) proprio corpo. La libertà di scelta di ogni individuo non può che fermarsi di fronte a ciò che ormai è – sia pure con modi e tempi di sviluppo assolutamente propri – irrimediabilmente altro sistema vitale, con una propria autoreferenzialità di organizzazione e crescita. Il concetto di “indipendenza” è in realtà frutto delle prospettive dell’osservatore, che definisce come “indipendente” l’essere vivente dotato di caratteristiche simili alle sue. In realtà il vivente è appunto sempre “dipendente” da qualche altra cosa (aria, cibo, integrità fisica) e l’embrione è dipendente solo in modo differente dal vivente che invece è posto fuori dall’utero (l’embrione ha cioè solo altre regole di dipendenza per il proprio sostentamento. L’aria, il cibo, l’ambiente di sviluppo, gli devono essere forniti in modo diverso da quelli di un adulto). La dipendenza dell’embrione dalla madre è solamente “diversa” ma non inferiore alla dipendenza degli adulti umani da altre categorie e regole del vivere. L’embrione è identico all’adulto, ma solo dotato di una dipendenza dal corpo della donna che ce lo fa apparire – ma non essere – parte di quel corpo. D’altra parte, se non si rispetta il concetto di “autonomia del vivente” per definire i limiti del rispetto dovuto ai viventi, e si accetta come solo punto cardine il concetto di “indipendenza”, si aprono per il genere umano scenari da incubo, appunto, nei quali è possibile eradicare tutti coloro che non hanno come badare a sé stessi»1G. Giordano, Il corpo è mio e me lo gestisco io. Note sulla questione dell’aborto come diritto della donna, www.centrostudi-ancoragenitori.it, 07/04/2008.
- Il 19 febbraio 2008, su Il Manifesto appare un articolo intitolato “A chi piace il diritto all’aborto?“, firmato da Ida Dominijanni, filosofa e storica femminista italiana.
Dominijanni critica Giuliano Ferrara e Giorgio Merlo poiché, prendendo entrambi le distanze dal diritto all’aborto, attribuiscono questo slogan al mondo femminista di ieri e di oggi.
Ecco cosa scrive Ida Dominijanni:
«E quando mai? Qui non si tratta di un immaginario perverso, ma di una proiezione in piena regola. La traduzione del problema dell’aborto in termini di diritto (da ridurre) è tutta loro oggi, così come fu dei Radicali (per conquistarlo) negli anni 70. Ma sfidiamo i Ferrara, i Merlo e quant’altri, a trovare nella letteratura femminista in materia un solo riferimento all’aborto come diritto […] L’aborto è da sempre nel vocabolario femminista un’eccedenza irriducibile al linguaggio del diritto e dei diritti […]. Una parte significativa del femminismo degli anni ’70 era più favorevole alla semplice depenalizzazione che non alla legalizzazione dell’aborto […]. E la 194 è una legge di compromesso tra de-criminalizzazione e statalizzazione dell’aborto […], che ha funzionato – anche questo oggi si vede, dai dati – non come legge abortista, ma come cornice di regolazione e limitazione degli aborti»
- L’8 maggio 1981 Il Corriere della Sera intervista filosofo e giurista Norberto Bobbio, uno dei massimo teorici del diritto del Novecento.
Sul tema dell’aborto come diritto, Bobbio risponde magistralmente:
«Non parlo volentieri di questo problema dell’aborto. È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri. Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. C’è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c’è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite. Il primo, quello del concepito, è fondamentale; gli altri, quello della donna e quello della società, sono derivati. Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l’aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all’aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere. Le femministe dicono: “Il corpo è mio e lo gestisco io”. E’ aberrante farvi rientrare l’aborto. L’individuo è uno, singolo. Nel caso dell’aborto c’è un “altro” nel corpo della donna. Il suicida dispone della sua singola vita. Con l’aborto si dispone di una vita altrui. Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere»
- Il 9 febbraio 1975 su L’Espresso appare un’intervista a Marco Pannella, leader storico dei radicali. Diventato poi attivista per l’aborto, ma all’epoca disse:
«E l’eutanasia per quando? M’è stato chiesto in un recente dibattito sull’aborto. Deluderò nemici in agguato e amici impazienti, ma io sono contro. Nessuno ha il diritto di compiere la scelta della morte dell’altro, finché in chi soffre e fa soffrire ci sia un barlume e la speranza d’un barlume di volontà e di coscienza»2M. Pannella, citato in A. Socci, Pannella sconfessato, Libero 07/04/2006.
- Il 19 gennaio 1975 il Corriere della Sera pubblica un articolo di Pier Paolo Pasolini , intitolato: Sono contro l’aborto.
Riprendiamo integralmente le parole di Pasolini:
«Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo. Io so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell’aborto (anche se magari nel caso di un nuovo “referendum” molti voterebbero contro, e la “vittoria” radicale sarebbe molto meno clamorosa). L’aborto legalizzato è infatti – su questo non c’è dubbio – una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito – l’accoppiamento eterosessuale – a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della “coppia” così com’è concepita dalla maggioranza – questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi – da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura»
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