Nuovo studio: diffusione contraccettiva non riduce i tassi di aborto

Contraccettivi 

di Renzo Puccetti*
*bioeticista e specialista in medicina interna

 

Sera del 25 ottobre 1917: i ministri russi sono arrestati durante l’assalto al Palazzo d’inverno. 25 dicembre 1991 ore 18,35: la bandiera sovietica che sventolava da 74 anni sul Cremino viene ammainata. Sono le due date in cui si inscrive la vita del settantennale regime comunista in Unione Sovietica.

L’8 novembre 1920 è il giorno in cui il regime comunista, primo Stato nel mondo, legalizza l’aborto, una misura volta alla operaizzazione femminile e all’indebolimento della famiglia, istituzione considerata dal regime come elemento di aggregazione sociale indipendente dall’onnipotente apparato statale. Il 27 giugno 1936 Stalin, preoccupato della situazione demografica, proibisce l’aborto e condanna a  uno o due anni di prigione i medici responsabili con l’eccezione di una serie di condizioni sanitarie previste dalla legge o di motivazioni eugenetiche. A partire dal 1955 l’aborto diventerà nuovamente legale e gratuito e l’Unione Sovietica per decenni sarà il paese con i più alti livelli di abortività al mondo.

È stato da poco pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista scientifica PLOS ONE volto ad indagare i motivi per cui, partendo da livelli omogenei, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la proclamazione d’indipendenza dei vari Stati, la riduzione dell’aborto sia avvenuta con maggiore ampiezza in Ucraina ed in Belarus rispetto alla Russia post-sovietica. I ricercatori hanno analizzato dati di abortività e contraccezione provenienti sia dalle banche dati nazionali che da rilevazioni campionarie dei tre stati. Secondo le statistiche ufficiali l’impiego della contraccezione è complessivamente lievemente maggiore in Russia rispetto agli altri due paesi esaminati. Per quanto riguarda invece pillola e spirale, soprattutto per il minore uso di quest’ultima, la Russia mostra tassi d’impiego lievemente inferiori. A questo proposito è bene ricordare il meccanismo microabortivo della spirale, per cui un tasso di aborti inferiori associato al maggior uso della spirale non necessariamente significa un minore numero di esseri umani soppressi.

Secondo invece i dati ottenuti dalle rilevazioni a campione nella Russia l’uso della contraccezione moderna è più elevato del 16% rispetto al Belarus e del 41% rispetto all’Ucraina; parallelamente le coppie che esprimono una richiesta di metodi per il controllo delle nascite non soddisfatta è risultata del 13% in Russia, del 16% in Belarus e del 18% in Ucraina. Si tratta di risultati che gli stessi ricercatori hanno connotato come “un paradosso”; “insieme con il più alto livello di aborti, la Russia non mostra il più alto bisogno di pianificazione familiare insoddisfatto”, hanno scritto. Ciò non è risultato sufficiente comunque a convincere gli autori che hanno confermato la loro visione secondo cui per quanto riguarda i tassi di abortività tra i tre paesi “le maggiori discrepanze poggiano sui comportamenti contraccettivi”, più ostacolati in Russia, a loro dire, dal parlamento e dalla Chiesa ortodossa.

Come leggere correttamente questi risultati? Mi pare si possa affermare che essi forniscono un’ulteriore, ennesima conferma della grande mole di dati già a disposizione che indicano come la diffusione contraccettiva sia un debolissimo, se non in molti casi inesistente elemento volto ad ottenere una riduzione dei livelli di abortività. Se questo lo si vuole considerare come un paradosso, allora i lettori devono essere informati che il paradosso riguarda Italia, Francia, Inghilterra, Scozia, Spagna, Svezia, nazioni oggetto di valutazioni numeriche che smentiscono l’assunto che vorrebbe nella diffusione dei contraccettivi la strada per sconfiggere l’aborto. Più che un’eccezione alla regola, il paradosso contraccettivo sembra essere esso stesso la regola.

Elizabeth Ansombe, la più importante allieva di Ludwig Wittgenstein, considerata tra le più influenti menti femminili della filosofia del XX secolo, ha scritto nel 1972: “La cristianità ha insegnato che gli uomini devono essere casti così come i pagani pensavano dovessero esserlo le donne, la moralità contraccettiva insegna che le donne siano così poco caste come i pagani pensavano dovessero esserlo gli uomini”. Io non so se le cose siano andate seguendo in modo diretto questa strada indicata dalla filosofa di Oxford, ma vedo la realtà che ci circonda, e qualunque sia stato il tragitto seguito dalla morale negli ultimi cinquant’anni, l’approdo cui si è giunti nell’occidente secolarizzato, vecchio, impoverito e impregnato di barriere contro la vita umana è proprio quello che Miss Anscombe aveva previsto.

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I contraccettivi gratuiti non prevengono l’aborto, ecco perché

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Renzo Puccetti, medico-chirurgo, specialista in medicina Interna, membro della Research Unit della European Medical Association, referente per l’area bioetica della società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo e socio fondatore dell’Associazione Scienza & Vita»

 

di Renzo Puccetti*
*bioeticista e specialista in medicina interna

 

“Studio mostra che i contraccettivi gratis riducono il tasso di aborto” (New York Times) “Studio mostra che la contraccezione gratis significa meno aborti e gravidanze tra le adolescenti” (Washington Post), “La contraccezione gratis può prevenire gli aborti” (CNN), “Aborti in calo grazie ai contraccettivi gratuiti” (Le Matin), “La contraccezione gratuita aiuta a diminuire gli aborti negli Stati Uniti” (El Mundo), “Studio: la contraccezione gratis porta a meno aborti” (The Guardian), “Usa: con la distribuzione gratuita di anticoncezionali si registrano meno aborti” (Quotidiano Nazionale). Sono solo alcuni dei titoli che le maggiori testate giornalistiche hanno usato per informare il pubblico di uno studio appena pubblicato sulla rivista Obstetrics & Gynecology, organo ufficiale della Federazione Mondiale dei Ginecologi e degli Ostetrici (FIGO).

Senz’altro un bel aiutino per quella riforma sanitaria voluta dal presidente Obama che obbliga tutti i datori di lavoro a pagare ai propri dipendenti i contraccettivi e indirettamente anche gli interventi di aborto e che ha fatto coalizzare la Chiesa Cattolica Americana con gli Evangelici e la galassia protestante conservatrice sui temi etici aggrediti nel fondamentale diritto alla libertà religiosa garantito dalla costituzione americana. Fino a questo momento infatti i presunti benefici che l’amministrazione americana ha promesso grazie alla diffusione gratuita della contraccezione poggiavano su affermazioni altisonanti, ma su evidenze davvero misere. Basta pensare a questo proposito che per conferire un alone di scientificità alle proprie politiche il ministero della salute americano ha commissionato all’Institute of Medicine un rapporto (Clinical Preventive Services for Women: Closing the Gaps) volto ad identificare le misure necessarie a garantire la salute delle donne in cui gli esperti hanno dedicato ampio spazio a suggerire la più ampia espansione possibile dei servizi di cosiddetta salute riproduttiva, alias contraccettivi e aborto. Quando a pagina 105 di quel documento gli esperti hanno sostenuto che la contraccezione riduce il ricorso all’aborto non sono riusciti a fare di meglio che citare due sole voci bibliografiche di cui una non è nemmeno uno studio peer reviewed, ma una semplice brochure di Heather Boonstra, responsabile della promozione nella legge e nei regolamenti federali dell’agenda del Guttmacher Institute, istituto scientifico con strettissimi legami con la Planned Parenthood, la grande organizzazione americana con centinaia di cliniche per aborti in America ed in mezzo mondo.

In quello che doveva essere un contributo scientifico della massima accuratezza, gli esperti dell’Institute of Medicine hanno inspiegabilmente omesso revisioni come quella di Inamura e colleghi pubblicata nel dicembre 2007 sull’European Journal of Public Health, o quella di Douglas Kirby del marzo 2008, nessuna menzione del nostro studio pubblicato nel 2009 sull’Italian Journal of Gynaecology & Obstetrics, silenzio sugli studi del professor David Paton, docente di economia alla Nottingham University Business School, niente sul fallimento delle politiche inglesi, scozzesi, svedesi, francesi che nonostante una diffusione più che capillare della contraccezione hanno raccolto come risultato livelli di abortività tra i più alti in Europa; omesso anche lo studio del professor José Luis Dueñas, primario ginecologo dell’Ospedale Universitario La Virgen Macaren di Siviglia, che sul numero di gennaio 2011 della rivista Contraception ha mostrato il parallelo incremento di contraccezione e aborto in Spagna nel periodo 1997-2007. Niente, nichts, rien, nada, silenzio tombale, solo il refrain radicaloide servito in salsa anglosassone “più pillola, meno aborti”.

Eppure anche nel 2012 si sono accumulate ulteriori evidenze che mostrano un quadro del tutto opposto. Sul numero di febbraio dello Scandinavian Journal of Public Health la ricercatrice del dipartimento di sociologia dell’Università di Stoccolma Veronica Halvarsson ha mostrato che in Svezia per ogni 100 prescrizioni in più di pillola contraccettiva si registra un incremento di 3,3 aborti tra le ragazze di 16 anni. Questo, in estrema sintesi, il desolante panorama scientifico su cui si sono mossi gli artefici di una ideologizzata selezione delle informazioni che hanno salutato come manna lo studio dei ricercatori della Washington University di St. Louis, una pubblicazione che hanno da subito cominciato a brandire come la prova definitiva della bontà delle loro teorie: la contraccezione è il solo modo realmente efficace per contrastare gli aborti. Se le cose stessero davvero così, tutti, a prescindere dalle personali posizioni etiche sulla contraccezione, avrebbero il dovere di prendere atto della realtà, tanto più che questo studio è uscito dal confronto accademico per essere citato sui blogs, i forum di discussione e i social networks. È per questo che ritengo necessario offrire ai lettori qualche informazione aggiuntiva rispetto alla limitatezza di un titolo o nel caso migliore di un breve resoconto dello studio in oggetto.

Gli autori nel periodo compreso tra agosto 2007 e settembre 2011 hanno arruolato 9256 donne di età media pari a 25 anni (il nome attribuito allo studio è stato Contraceptive CHOICE Project). Il 16% di queste era rappresentato da donne arruolate nelle cliniche per abortire, altre erano pazienti dei medici che lavoravano nelle stesse cliniche per aborti. Le donne partecipanti dovevano essere già sessualmente attive o quanto meno prevedere di esserlo entro 6 mesi, non dovevano usare contraccettivi oppure, se li usavano, dovevano essere intenzionate a cambiare il metodo. Al momento in cui venivano contattate per partecipare allo studio le donne ascoltavano un breve scritto che le informava circa l’efficacia e la sicurezza dei metodi contraccettivi a lunga durata d’azione (LARC, Long Acting Reversibile Contraception) e poi, se effettivamente incluse nello studio, venivano sottoposte ad una sessione educativa sulla contraccezione. Il 42% delle donne aveva abortito e per oltre il 50% era formato da donne di colore. Secondo i risultati riportati dai ricercatori quello che era l’end-point primario dello studio, il tasso di aborti ripetuti nell’area di St. Louis dove si è svolto lo studio, si è ridotto di ben poco: dal 48% al 45%, mentre nella limitrofa area di Kansas City il tasso di abortività è aumentato di circa 4 punti percentuali. Più accentata la riduzione del 20,6% registrata nel numero di aborti nell’area di St. Louis rispetto al resto dello Stato del Missouri. Ancora più marcato il divario del tasso di abortività tra le oltre 9000 donne studiate (4,4-7,5 ogni 1000 donne in età fertile) e quello rilevato a livello regionale (13,4-17,0 ogni 1000 donne in età fertile). Questi risultati sono tali da consentire di affermare che la diffusione gratuita dei contraccettivi riducono gli aborti? La risposta obiettiva non può che essere negativa e le ragioni sono molteplici.

Pur non volendo considerare la strana omissione degli autori nel fornire i dati di abortività grezzi e non soltanto quelli aggiustati secondo età e sesso (peraltro con procedura non specificata), volendo inoltre tralasciare che il tasso di abortività nel campione non è stato rilevato in modo oggettivo, ma mediante interviste telefoniche, si deve innanzi tutto sottolineare che il campione studiato non è affatto rappresentativo della popolazione generale: ben il 42% aveva avuto almeno un aborto (un livello triplo rispetto alle coetanee nella popolazione generale) e oltre il 50% delle donne era di colore (la percentuale di donne di colore nello stato del Missouri è invece inferiore al 12%). Nel campione studiato ben il 75% delle donne ha scelto come contraccettivo la spirale, un mezzo cioè il cui meccanismo d’azione non è soltanto contraccettivo, ma anche micro-abortivo (la spirale agisce in parte ostacolando l’annidamento nell’utero materno dell’embrione eventualmente concepito), oppure un impianto sottocutaneo a rilascio prolungato di progestinico. Non stupisce quest’alta preferenza nel campione per i LARC dal momento che già Henshaw in America nel 1984 e Moreau nel 2010 in Francia avevano dimostrato la tendenza delle donne dopo l’aborto a virare spontaneamente verso mezzi di controllo delle nascite connotati da maggiore efficacia. Nel campione esaminato la propensione ad abortire era molto elevata ed era un criterio di ammissione il fatto che queste donne fossero già sessualmente attive o lo diventassero a breve. È quindi esclusa la possibilità che in questo campione si potesse verificare quella compensazione del rischio che gli studi hanno dimostrato essere un meccanismo di primaria importanza per spiegare il fallimento della contraccezione nel ridurre gli aborti tra la popolazione generale. È abbastanza verosimile (ed era già stato dimostrato nel gennaio 2012 dallo studio neozelandese di Rose e Lawton e in agosto da quello scozzese di Cameron, entrambi per l’abortività ripetuta) che in una popolazione così selezionata, caratterizzata dall’attivo esercizio della sessualità e dall’altissima propensione ad abortire, l’introduzione di mezzi (spirali e impianti sottocutanei) ad elevata efficacia e non abbisognevoli di un’assunzione reiterata, possa condurre ad un abbassamento dell’abortività. Ma che cosa succederebbe se la stessa offerta di contraccettivi gratuiti venisse fatta alla popolazione generale? Lì la promozione dei LARC si rivolgerebbe a molte donne, particolarmente le più giovani, sessualmente non attive, ma che secondo il modello comportamentale conosciuto come rational choice model, comincerebbero a trovare conveniente avere una vita sessuale liberata dalla paura della gravidanza, è poi verosimile prevedere che nella popolazione generale, dove i rapporti non sono così regolari come nella popolazione valutata nello studio, un numero assai minore sceglierebbero la contraccezione di lunga durata preferendo ad essa altri mezzi, come la pillola, i cerotti, l’anello vaginale e il preservativo, tutte metodiche caratterizzate da un tasso di fallimenti nettamente superiore.

Non si capisce quindi la ragione per cui gli autori dello studio non abbiano riportato i tassi di abortività del campione studiato suddivisi per il metodo contraccettivo scelto. Che cosa è successo infatti tra le 1686 donne che nello studio hanno scelto una qualche forma di preparato estro-progestinico? Gli autori hanno omesso a questo proposito qualsiasi informazione. Che cosa succederebbe delle donne che invece opterebbero per il condom? Che cosa succederebbe delle molte donne che dietro la promessa che attraverso la contraccezione il sesso può diventare un gioco e che poi si troverebbero a provare sulla propria pelle che non è così? In Francia il 91% delle donne sessualmente attive usa la contraccezione, i due terzi di quelle che abortiscono hanno usato la contraccezione nel mese in cui sono rimaste incinte, in America la percentuale è del 50%, ma un altro 40% ha comunque usato la contraccezione precedentemente, è cioè stato plasmato dalla mentalità contraccettiva. Usare pertanto il campione CHOICE per affermare che fornire gratis la contraccezione porta alla riduzione degli aborti costituisce un esempio assai chiaro di quella fallacia di composizione che gli statistici individuano quando si vuole trasferire automaticamente il dato di un particolare campione all’intera popolazione.

Che dire poi del fatto che gli autori non hanno minimamente accennato al rischio potenziale derivante dalla diffusione dei LARC riguardo le malattie sessualmente trasmesse? Eppure sullo stesso numero di ottobre di Obstetrics & Gynecology un gruppo di lavoro comprendente anche Jeff Peipert, lo stesso ricercatore che ha condotto lo studio CHOICE, ha messo in evidenza che l’utilizzo dei LARC si associa nelle donne HIV negative ad un dimezzamento dell’uso costante del preservativo, confermando precedenti studi riportati nella revisione dell’argomento pubblicata nel 2011 sulla rivista Infectious Diseases in Obstetrics and Gynecology dalla ricercatrice del Center for Disease Control and Prevention di Atlanta, Maria Gallo. È confortante leggere che queste considerazioni sono le stesse con cui Michael J. New, professore all’Università dell’Alabama ed esperto di politiche sanitarie, ha pesantemente criticato la lettura superficiale e ideologica dello studio in questione.

Al termine di questa disamina voglio appena accennare alla mia partecipazione al congresso mondiale di ginecologia che si è appena concluso a Roma, dove ho illustrato e discusso uno studio che conferma la necessità di cautela nel trarre conclusioni definitive da dati parziali. Ai colleghi intervenuti nella sessione dedicata alle tematiche di salute pubblica ho mostrato il lavoro condotto insieme al professor Noia, il dottor Oriente, il professor Natale e la professoressa Di Pietro nel quale si evidenzia come nelle aree degli Stati Uniti dove maggiore è il ricorso ai metodi di contraccezione efficace e reversibile non si registra affatto un minore tasso di aborti, mentre addirittura laddove più elevato è l’impiego del condom, il ricorso all’aborto aumenta in modo statisticamente significativo. Uno studio ecologico come il nostro non è indicativo di un rapporto di causa-effetto, ma è comunque suggestivo circa la necessità di indagini specificamente mirate ad approfondire e svelare la realtà.

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Il fallimento della contraccezione: il caso inglese

Troppi aborti tra le giovanissime? Un numero eccessivo di gravidanze indesiderate? No problem: basta promuovere più contraccezione e tutto si sistema. E’ più o meno questo il ragionamento che, ormai da molti anni, uomini delle istituzioni e talvolta anche celebri intellettuali propongono allorquando viene ricordato loro il problema mai risolto degli aborti tra donne anche molto giovani. Ora, posto che la gran parte delle pillole contraccettive – anche se taluni si ostinano a negarlo – sono potenzialmente abortive ed anche se numerosi studi hanno confutato questa credenza, riteniamo non ci sia lezione più autorevole di quella dei casi concreti. Prendiamo quindi, per stare all’attualità, il caso inglese.

Per chi non lo sapesse la Gran Bretagna è un Paese dove da alcuni anni – allarmati dal fenomeno abortivo tra le adolescenti e dal fatto che il numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza, anziché calare, abbia ripreso a salire – si è deciso di investire massicciamente nella diffusione di contraccettivi. Ebbene, con questo tipo di programma si è verificato un fatto totalmente inaspettato: le cose sono peggiorate.

Il numero degli aborti, anche se di poco, ha infatti continuato a crescere – nel 2011 sono stati 189.931, mentre nel 2010 furono 189.574 – ma soprattutto tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli: nel 2010 in 485 hanno abortito per la terza volta, in 57 per la quarta, in 14 per la quinta, in 4 per la sesta e in 3 per la settima. Orbene, non occorre molto per capire che in un Paese dove quasi 500 adolescenti all’anno abortiscono per la terza volta è in corso un disastro educativo di immense proporzioni e, quel che è peggio, destinato a crescere.

Lo hanno confermato pochi giorni fa gli esiti di un’indagine condotta dalla società Insight Research Group, che ha intervistato donne e medici di famiglia rilevando come la crisi economica-finanziaria sia tra le cause dell’aumento degli aborti volontari. Ora, che fare? Come corrispondere al problema crescente delle gravidanze tra le adolescenti? E’ il caso di insistere con la promozione della contraccezione o si deve correre ai ripari organizzando corsi per mamme a ragazzine di 14 anni, come si è recentemente provveduto a fare nella contea di Merseyside?

La sola possibilità concreta sembra quella di voltare completamente pagina prendendo atto di una realtà: la politica contraccettiva è fallimentare contro gli aborti. Non serve. Anzi, ci sono studi che hanno messo in luce come un maggior accesso alla contraccezione, anche se nell’immediato può arginare i tassi di gravidanza e conseguentemente gli aborti, nel lungo periodo, a causa della mentalità sessualmente disinvolta che indirettamente incoraggia, finisce col favorire un aumento delle gravidanze. Un dato suffragato dal fatto che oltre la metà delle donne intenzionate ad abortire – secondo quanto emerso in alcune ricerche – in precedenza faceva regolare ricorso alla contraccezione.

La contraccezione come fallimento, dunque. Anche se la cosa sorprende assai poco, dal momento che costituisce una risposta inadeguata e materiale ad un problema (quello delle gravidanze tra giovanissime) sì reale ma anzitutto educativo. In tal senso è più che ragionevole ritenere che sostituendo la corrente apologia della contraccezione con una sana introduzione all’affettività e potenziando l’implementazione di interventi di gruppo che indirizzino il comportamento sessuale degli adolescenti, si possa effettivamente ridurre l’incidenza del fenomeno delle gravidanze indesiderate.

A questo punto però è opportuno chiedersi: saprà la cultura anglosassone riconoscere il proprio fallimento educativo? Sappiamo che più della metà dei genitori inglesi – verosimilmente delusi dai “successi” della cultura contraccettiva e consapevoli dei manifesti limiti della stessa – già ora non vuole che l’educazione sessuale venga insegnata ai bambini a scuola. Il fatto è che, per voltare pagina, occorre un ripensamento molto più trasversale, che coinvolga le istituzioni e che ricuperi con convinzione valori oggi impopolari quali la castità, la famiglia, la fedeltà coniugale. Insomma, per ripartire serve prima ammettere di aver sbagliato. Sapranno dunque i governanti inglesi fare questa coraggiosa ammissione oppure proseguiranno nell’attuale disastro?

Giuliano Guzzo

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La diffusione dei contraccettivi aumenta il numero di aborti

Segnaliamo un interessante articolo di Francesco Agnoli comparso su La Bussola Quotidiana, dove viene spiegato che i dati scientifici dimostrano ormai molto bene che la disponibilità di anticoncezionali non favorisce la diminuzione dei concepimenti e degli aborti (cfr. Ultimissima 6/4/11), ma al contrario, la contraccezione è sempre più diffusa in molti paesi “moderni”, dalla Francia, all’Italia, a Cuba, eppure il numero degli aborti di minorenni in questi Paesi è sempre in costante crescita, oppure, in certi periodi, costante.

Agnoli spiega il motivo: mettere a disposizione dei giovani metodi per non avere figli, in una cultura pansessualista come la nostra, non fa altro che incoraggiarli ad avere un maggioro numero di rapporti: “tanto, non c’è il pericolo di rimanere incinte”. Si crea così un circolo vizioso: l’idea che si possa fare “sesso sicuro” determina una crescita del sesso tra minori, e, inevitabilmente, per la fallacia degli anticoncezionali, per incuria, e per mille altri motivi, questo facilita gravidanze indesiderate e premature. L’unica soluzione, sostiene, non è indicare un presunto “male minore” (come se dicessimo ai figli: “mi raccomando, se butti per terra le carte, per piacere, buttane poche”), ma educare alla distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tendere sempre al bene, cioè nel nostro caso, far capire ai giovani che il rapporto carnale tra due persone non è un gioco, un passatempo qualsiasi, bensì qualcosa che esige amore vero, rispetto, maturità, senso di responsabilità.

Rinunciare all’educazione e proporre l’anticoncezionale, oltre a non risolvere il problema, significa assecondare l’istinto più brutale, il pansessualismo imperante, la infinita serie di bisogni sessuali indotti propri di una società che propina sesso senza amore in tv, sui giornali, per radio…ad ogni ora del giorno. Si favorirà l’edonismo, il consumismo, la de-responsabilità a discapito del concetto di amore, di fedeltà e di auto-dominio.

L’unico vero controllo delle nascite, scriveva G. K. Chesterton, è l’autocontrollo. Nella società degli anticoncezionali, spiega il giornalista, non aumentano solo le gravidanze premature, ma anche il numero di aborti (come “rimedio” all’errore), il disprezzo per i figli, considerati un peso, aumenta la sterilità femminile (precocità dei rapporti), l’impotenza maschile (eccesso di sesso), i tradimenti, le separazioni e i divorzi.

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Raddoppiano aborti nonostante l’abuso di contraccettivi

La rivista medica Contraception ha pubblicato i risultati di un nuovo studio, ripreso da LifeNews, che pare confutare il ritornello per cui l’impiego di metodi contraccettivi abbasserebbe il numero di aborti.

SPAGNA. Lo studio, che ha seguito donne spagnole in età fertile dal 1997, è stato effettuato rilevando ogni due anni l’utilizzo di metodi contraccettivi e se le donne fossero rimaste incinte o avessero abortito. Lo studio ha rilevato che l’utilizzo complessivo di metodi contraccettivi è aumentato dal 49,1% al 79,9% nel decennio 1997-2007. L’utilizzo di condom è salito dal 21% al 38,8% mentre le donne utilizzano maggiormente la pillola: dal 14,2% al 20,3%. Nonostante la fiducia riposta nella contraccezione, il tasso di aborto volontario è salito da 5,52 a 11,49 aborti ogni 1000 donne [ovvero è raddoppiato in soli dieci anni!].

INGHILTERRA. Anche la pillola del giorno dopo è stata acclamata dai sostenitori dell’aborto come un metodo per ridurre gli aborti, ma le statistiche degli Stati Uniti e di altri paesi dimostrano il contrario. Secondo il London Daily Mail, i tassi di gravidanza delle adolescenti sono ora più alti di quanto fossero nel 1995 e il numero di gravidanze tra le ragazze sotto i 16 anni è anch’esso al massimo valore rilevato dal 1998. Tutto questo nonostante il governo britannico spenda 300 milioni di sterline (360 milioni di euro) nel tentativo di dimezzare il numero di gravidanze fra le adolescenti facendosi promotore di una vasta campagna di educazione sessuale. Il tasso di aborto tra le adolescenti britanniche ha avuto un aumento stabile dal 1999, anno in cui il governo ha messo in atto il suo programma Teenage Pregnancy Strategy [strategia (per il controllo) della gravidanza nell’adolescenza.

SVEZIA. Nel 2008, funzionari svedesi hanno riportato che il numero di aborti in Svezia era aumentato del 17% dal 2000 al 2007 nonostante nello stesso periodo le vendite della pillola del giorno dopo fossero aumentate. La pillola del giorno dopo nel 2001 è diventata in Svezia un farmaco che può essere acquistato senza ricetta medica. Le vendite sono triplicate nella capitale e raddoppiate in tutto il paese. Ciononostante, le nuove cifre nazionali indicano 37.205 aborti in Svezia nel 2007, circa il 17% in più rispetto ai 30.980 effettuati nel 2000. In Svezia vi è un numero di aborti in proporzione doppio rispetto all’Italia, “nonostante” una elevatissima diffusione dei metodi contraccetivi. A Stoccolma sono stati effettuati 10.259 aborti, con un aumento del 6,9% in un solo anno, rispetto alle cifre del 2006.

SCOZIA. Lo scorso anno il numero di aborti in Scozia è aumentato per il terzo anno consecutivo, nonostante una forte propaganda affinché le donne usino la pillola del giorno dopo. Gli aborti in Scozia sono aumentati del 4% secondo un rapporto del British National Health Service ed ora ammontano a 13.703. Questo aumento giunge dopo che lo stesso NHS aveva riportato 13.081 aborti nel 2006 e 12.603 nell’anno precedente: un aumento di circa il 3,8%. L’aver maggiormente promosso la pillola del giorno dopo non solo ha avuto come risultato un maggiore, e non minore, numero di aborti, ma anche l’aumento del numero di donne che abortiscono più volte. Il NHS riferisce che un quarto delle donne, il 26,3%, che hanno abortito in Scozia nel 2008 avevano abortito almeno un’altra volta in precedenza. Il che significa che 3’600 donne avevano abortito una o più volte in precedenza, secondo le statistiche governative.

STATI UNITI. Infine, una relazione di Planned Parenthood del West Washington mostra che gli aborti sono in aumento nello stato del Washington nonostante Planned Parenthood abbia partecipato al programma pilota “Take Charge” nello stato del Washington, programma cominciato nel 2001 per fornire gratuitamente contraccettivi a donne con basso reddito non ancora sotto copertura Medicaid. Tuttavia il rapporto annuale di Planned Parenthood West Washington mostra che gli aborti sono saliti del 16%, dai 7.790 del 2006 ai 9.059 del 2007.

Uno studio americano ha recentemente dimostrato che ciò che riduce veramente l’aborto (del 15%) sono leggi che richiedono il coinvolgimento dei genitori prima che i minorenni optino per questa possibilità

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