Borges: il più importante scrittore del ‘900 e il suo rapporto con Dio

Jorge Luis Borges è stato uno scrittore e poeta argentino. È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo, sicuramente l’uomo argentino del ‘900 più conosciuto al mondo. Ringraziò spesso sua nonna per averlo educato al Cristianesimo e per avergli insegnato la Bibbia (sopratutto il Nuovo Testamento), opera che lo influenzò più di tutte.

Si autodefiniva “teologo ateo” e la sua inquietudine è ben rappresentata da questa citazione: «Gli uomini hanno perduto un volto, un volto irrecuperabile e tutti vorrebbero essere quel pellegrino che a Roma vede il sudario della Veronica e mormora: “Gesù Cristo, Dio mio, Dio vero, così era dunque la tua faccia?”. Abbiamo perduto quei lineamenti, possiamo scorgerli e non riconoscerli». Lo scrittore argentino confessa di “non vedere” personalmente il volto di Cristo nella sua vita, tuttavia: «Insisterò a cercarlo fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra». (Borges, “Paradiso, XXXI, L’artefice”, Tutte le opere, vol 1). Il suo lavoro è invece rappresentato da quest’altra frase: «L’impossibilità di penetrare il disegno divino dell’universo non può, tuttavia, dissuaderci dal tracciare disegni umani, anche se li sappiamo provvisori» (L. Borges, “L’idioma analitico di John Wilkins”, Altre inquisizioni, Tutte le opere, vol. 1, p. 1005). Disegni provvisori in attesa della fede.

Il quotidiano La Stampa pubblica un’intervista del 1976, dove lo scrittore parla della sua posizione filosofica: «Gesù Cristo non ha mai usato argomentazioni, usava lo stile, usava certe metafore. Usava frasi che facevano colpo. Non diceva: non sono venuto a portare la pace ma la guerra, bensì: non sono venuto a portare la pace ma la spada. Cristo pensava per parabole. Blake diceva che un uomo, se è un cristiano, non dovrebbe essere solo intelligente, dovrebbe essere anche un artista, perché Cristo ha insegnato l’arte attraverso il suo modo di predicare, perché ognuna delle frasi di Cristo, se non ogni singola parola, ha valore letterario e la si può prendere come metafora o come parabola». Il celebre scrittore era dunque assolutamente affascinato da Cristo e dal cristianesimo (anche se non provava molta simpatia per la Chiesa cattolica), tanto da inserirLo in ogni suo libro e renderLo oggetto di studio quasi quotidiano.

Nell’ottimo volume di Riccardo Ricceri, “Dante e il dantismo immanente nell’opera di Jorge Luis Borges” (Prometheus 2007) si conclude che l’amore verso Dante ha portato Borges ad un “dantismo immanente”, in quanto «i riferimenti ai concetti danteschi legati alla tradizione cristiana presenti nell’opera borgesiana si traducono in una immanenza che non si risolve necessariamente in una perdita di sacralità”.

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