Mosè separò le acque, ora la scienza dice che fu possibile

Il National Centre for Atmosphere Research conferma la verosimiglianza del racconto biblico sulla separazione delle acque da parte di Mosè. Non avrebbe violato le leggi naturali, ovviamente è impossibile stabilire se fu opera di Dio o una fortuita coincidenza.

 
 
 

E se la scienza confermasse la possibilità delle acque di separarsi, come fece Mosè nel racconto biblico?

Ovviamente non si può stabilire che fu opera di Dio, ma uno studio basato simulazioni da parte dello Us National Centre for Atmosphere Research e dall’università del Colorado, sostiene che naturalmente è possibile e verosimile che sia accaduto.

 

Mosè e la separazione delle acque: cosa dice lo studio.

Pubblicato dalla rivista online Public Library Research, riportato in Italia su La Repubblicai ricercatori hanno spiegato che un vento con una velocità di 100 chilometri orari, che spirasse per almeno dodici ore, avrebbe realmente potuto creare un “ponte” di terra lungo 5 chilometri e largo 3 per all’incirca quattro ore.

Più che sufficiente per consentire a Mosè ed al suo popolo di passare dall’Egitto al Sinai nel loro viaggio verso la Terra Promessa, verso Israele.

Non appena il vento si fosse arrestato, le acque si sarebbero rapidamente ricongiunte, spiegando perché l’esercito inviato dal Faraone fu sommerso e dovette rinunciare all’inseguimento.

Inoltre, analisi di reperti archeologici e misurazioni satellitari hanno permesso agli studiosi di stimare i flussi e le profondità delle acque di 3 mila anni fa nello spicchio di mare descritto dalla Bibbia.

La ricerca smentisce il libro sacro solo su un punto: la traversata non sarebbe avvenuta all’altezza dell’odierna Suez, bensì una quarantina di chilometri più a nord, dove un ramo del Nilo sfiora una laguna costiera, vicino a dove oggi sorge Port Said.

Nel testo biblico si legge: «Mosè stese la sua mano sopra il mare e il Signore sospinse il mare con un forte vento dell’est tutta la notte e mise a secco il mare. L’acqua ritornò e coprì i carri, i cavalieri e tutto l’esercito del Faraone, invece i figli d’Israele avevano camminato in mezzo al mare e l’acqua fu per loro un muro a destra e a sinistra» (Libro dell’Esodo 14: 28-29).

 

Il forte vento confermato dal generale Tulloch.

Il nuovo studio aggiunge al racconto anche una conferma storica: il generale Alexander Tulloch, un alto ufficiale dell’esercito britannico, nel 19° secolo si trovò nella laguna dove Mosè avrebbe effettuato la sua traversata e vide arrivare «una colonna di vento e diventare così forte che dovetti smettere di lavorare», come si legge sul suo diario.

Il mattino seguente, prosegue, «il lago era scomparso e i nativi lo attraversavano a piedi camminando nel fango». E quel vento spirava “da est”, scrive l’ufficiale, proprio come quello che salvò Mosè.

 

«Racconto biblico è scientificamente verosimile»

«La separazione della acque può dunque essere attribuita alle leggi della fisica e alla dinamica dei fluidi», commenta il prof. Carl Drews, curatore della ricerca.

«Molta gente si è chiesta se la storia dell’Esodo è basata su fatti storici», ha spiegato lo studioso, «il nostro studio suggerisce che la narrazione biblica è perfettamente verosimile. Per i credenti sarà un miracolo del Signore, per i non credenti un miracolo della Natura, ma il risultato è lo stesso».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Monte Sinai: nuove conferme per l’Antico Testamento

Har Karkom, in ebraico “Monte Zafferano”, è una montagna ricca di santuari e luoghi di culto eretti nei millenni da diverse popolazioni, accanto ad altari, circoli di steli, menhir, sepolture, grandi disegni di pietre riconoscibili solo dal cielo, incisioni rupestri ecc…il tutto nel cuore del deserto in cui avvenne la fuga dei figli d’Israele dall’Egitto: il Negev.

L’archeologo Emmanuel Anati -come spiega nel libro La riscoperta del Monte Sinai, (edizioni Messaggero, 2010) – lo identifica con il monte Sinai. Un’ipotesi all’inizio aspramente osteggiata dal mondo accademico, oggi accolta da buona parte degli archeologi e dei biblisti come molto probabile. Una scoperta che, se confermata definitivamente, rivoluzionerà gran parte delle “conoscenze” ereditate dalla tradizione.

Avvenire intervista l’archeologo: «Dopo 30 anni di spedizioni abbiamo rilevato 1.300 siti e milioni di reperti che testimoniano culti religiosi e centinaia di accampamenti di uomini che si fermarono ai piedi di quella montagna. Proprio come racconta l’Antico Testamento. Il luogo fu sacro da quando l’homo sapiens ci mise piede (il più antico santuario risale a 40mila anni fa), ma tra il 4000 e il 2000 a.C., nell’antica età del Bronzo, c’è una vera esplosione di sacralità: in altre parole, quando il popolo di Israele arriva qui e vi adora il Dio della Bibbia. In tutto il Negev non esiste una sola montagna con una così rilevante evidenza archeologica, per non parlare della impressionante corrispondenza tra quanto la Bibbia narra e quanto abbiamo trovato ad Har Karkom».

L’archeologo spiega così le reazioni critiche avute in passato: «Le scoperte dimostrano che l’esodo avvenne 800 anni prima rispetto a quanto sostiene l’esegesi in voga da due secoli. La tradizione, cioè, poneva l’esodo nel 1200, invece oggi sappiamo che avvenne tra il 2200 e il 2000 a.C.». Tutto questo «dimostra che Esodo, Deuteronomio e Numeri non sono mito, e la narrazione biblica va a innestarsi nella storia. Ora un immenso patrimonio di reperti, chiuso in casse nei magazzini in Israele, attende solo di essere studiato da antropologi, storici delle religioni, teologi, esegeti e archeologi, che finalmente vedono coincidere i loro dati senza più contraddizioni».

La redazione

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Roma, scoperte le più antiche immagini degli apostoli

Fabrizio Bisconti, sovrintendente archeologico ai lavori delle catacombe di Santa Tecla a Roma ha annunciato la scoperta delle icone di Pietro, Andrea e Giovanni, grazie all’utilizzo della tecnica laser. Barbara Mazzei, direttrice dei lavori di restauro, ha dichiarato che “la scoperta dimostra l’introduzione e la diffusione del culto degli apostoli nelle origini del Cristianesimo”.

Un anno fa nelle catacombe romane era emersa la figura di San Paolo e in questi giorni anche quelli degli apostoli (ne avevamo già parlato in Ultimissima 16/6/10). La Repubblica riporta che alla conferenza stampa sui dettagli dell’importante ritrovamento archeologico, Bisconti ha annunciato: “sono le più antiche immagini degli apostoli e risalgono alla fine del IV Secolo. Per Andrea e Giovanni si tratta delle più antiche rappresentazioni in assoluto, mentre immagini dell’apostolo Pietro si hanno già verso il 350″.

Il laser, con la consulenza gratuita del Cnr di Sesto Fiorentino (in particolare Siano dell’Istituto di Fisica applicata), ha svelato l’immagine di un collegio apostolico con Cristo al centro tra gli apostoli, come di solito era raffigurato nelle absidi delle basiliche romane. Le immagini degli apostoli sono situate a circa mezzo chilometro dalla basilica di San Paolo fuori le mura e le icone sono disposte sul soffitto di un cubicolo fatto edificare da una nobildonna del tardo Impero romano, che commissionò la decorazione della tomba. Secondo l’archeologo, “tutto coincide” con la vita religiosa cristiana di Roma di quel tempo: “Alla fine del 300 a Roma vive San Girolamo, che dà avvio a una sorta di ascetismo quasi monacale, coinvolgendo diverse matrone della città. E la donna sepolta in quel cubicolo poteva essere una di queste aristocratiche che, convertita al Cristianesimo, viaggia poi in Terra Santa per vedere i luoghi degli apostoli. Poi, al ritorno, fa riprodurre le loro immagini sulla tomba”. La notizia è anche ripresa da RadioVaticana e da Il Corriere della Sera.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace

Archeologia, altre sorprendenti scoperte nella catacomba di Santa Tecla

E’ di un anno fa la formidabille notizia apparsa su L’Osservatore Romano (ma anche su Il Corriere della Sera o Adnkronos ecc..), della scoperta nella catacomba romana di Santa Tecla della più antica icona di San Paolo sulla via Ostiense (a pochi metri dalla sede-baracchino UAAR). In questi giorni sono avvenute altre sorprendenti scoperte, effettuate dai restauratori nel cubicolo della medesima catacomba: nella volta dell’ambiente sono comparse, attraverso l’uso del laser, altre effigi di immagini sante, che si pongono anch’esse come le più antiche del genere. Le importanti scoperte saranno illustrate in una conferenza stampa, che si terrà il 22 giugno alle ore 11.30 presso la Basilica di San Paolo fuori le mura. Ne hanno dato notizia in molti (ad esempio Andkronos e Radio Vaticana) e anche ArcheoRivista, una rivista online di archeologia, storia e arte antica.

Condividi su:
  • Aggiungi su Facebook
  • Aggiungi su Twitter
  • Aggiungi su Windows Live
  • Aggiungi su MySpace