Emanuela Orlandi, il flauto ritrovato è ragionevolmente il suo
- Ultimissime
- 27 Set 2025

Nel 2013 Marco Accetti fece ritrovare il flauto di Emanuela Orlandi. Il maestro di musica Loriano Berti dubita dell’autenticità ma 4 argomenti rendono più plausibile che appartenga davvero alla cittadina vaticana.
• E’ presente un importante aggiornamento del 28/09/2025 in fondo all’articolo.
La Commissione parlamentare ha ripreso a pieni ritmi l’attività di indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’ultimo a essere ascoltato il 25 settembre scorso è stato Loriano Berti, maestro di flauto della giovane cittadina vaticana, che ha dichiarato le stesse cose già espresse nel 2014 in un’intervista al giornalista Pino Nicotri.
Riferendosi al flauto fatto ritrovare dal reo-confesso Marco Accetti nel 2013 come “prova” del suo ruolo nel caso Orlandi, il maestro Berti non sembra averlo riconosciuto.
Nonostante ciò, continuiamo a ritenere più probabile l’autenticità dello strumento.
Non certo per una difendere una posizione precostituita o perché quella di Berti non sia una testimonianza importante, piuttosto riscontriamo almeno 4 argomenti che ci portano a ritenere più ragionevole che quel flauto appartenne davvero a Emanuela.
Il flauto e la testimonianza di Loriano Berti
Il maestro Berti ha dichiarato alla Commissione che «ho sempre avuto dubbi che» quello rinvenuto nel 2013 fosse di Emanuela, pur non ricordando precisamente «il flauto che aveva».
L’unica certezza, afferma, è che quello di Emanuela «era nichelato, di maggiore qualità» e secondo lui la marca era «Yamaha nichelato». Accetti invece consegnò un Rampone e Cazzani.
Berti ha aggiunto che non consigliava quella marca e, se Emanuela lo avesse avuto, «penso gli avrei detto di cambiarlo, ma non ricordo di averglielo mai detto».
Il maestro si è anche espresso sullo spartito musicale fatto ritrovare dal telefonista “Americano“ riconoscendolo come un esercizio musicale che utilizzava nelle sue lezioni, ma esprimendo dubbi sul fatto che una allieva del primo anno come Emanuela potesse suonarlo. «Si usava nella scuola ma più dal terzo, quarto anno».
Di fronte a queste dichiarazioni, i quotidiani hanno titolato all’unisono in modo perentorio: il flauto di Accetti non è quello di Emanuela.
Quattro motivi sull’autenticità del flauto
Consideriamo la figura di Marco Accetti centrale nei casi Orlandi-Gregori (e anche Skerl) e ci basiamo su elementi oggettivi emersi dalle indagini, non certo su simpatie o schieramenti ideologici riscontrabili tra gli esperti del caso Orlandi (ognuno più interessato a difendere le proprie tesi, i propri gruppi social e i propri libri).
La testimonianza di Loriano Berti, come detto, è importante: sia perché era il maestro di Emanuela, sia per la competenza tecnica sullo strumento.
Ma se si considerano più dettagliatamente gli elementi a disposizione, la sua deposizione non è così decisiva. Almeno per 4 motivi.
1) Il maestro Loriano Berti ha più dubbi che certezze
La sua testimonianza rivela più dubbi che certezze. E’ comprensibile, come potrebbe a distanza di decenni ricordare esattamente il flauto di Emanuela la quale, prima della scomparsa, era per lui una qualunque delle molteplici allieve a cui impartiva lezioni?
L’unica cosa certa, dice, è che il flauto fosse nichelato. Il resto, a partire dalla marca dello strumento, sembrano sue ipotesi.
Per quanto riguarda lo spartito musicale va notato che lo riconosce come effettivamente utilizzato da lui presso la scuola Ludovico da Victoria. Una coincidenza sorprendente dato che esistono migliaia di esercizi per flauto traverso e ogni scuola e ogni maestro adotta quelli che preferisce.
Certo, l'”Americano” (cioè Accetti stesso, secondo la confessione di una sua complice, Gabriella Boggiani), avrebbe potuto informarsi nella scuola o da qualche compagna di Emanuela su quali spartiti si studiavano.
Ma nessuno ha mai testimoniato un interessamento in questo senso da parte di Accetti o di qualche estraneo prima o dopo la scomparsa di Emanuela.
Inoltre, l’“Americano” si sarebbe all’epoca preso un rischio enorme nel far trovare agli inquirenti uno spartito estraneo ad Emanuela. Qualunque compagna di classe, lo stesso Berti o la direttrice della scuola di musica avrebbe potuto subito contraddirlo, vanificando tutto all’istante. Smentita che però non arrivò da parte di nessuno.
Il fatto che poi fosse uno spartito per classi più avanzate, come riporta Berti, non esclude automaticamente il fatto che Emanuela potesse esercitarsi ugualmente su di esso.
Infine va ricordata la testimonianza di Marta Szepesvari, una compagna della scuola Ludovico da Victoria. Rivelò che sarebbe stata lei a prestare quello spartito ad Emanuela per farne delle fotocopie e proprio il 21 giugno, giorno della sparizione della cittadina vaticana, le avrebbe dato appuntamento a fine lezione per farselo restituire.
2) Contraddizioni e dimenticanze di Loriano Berti
Durante l’audizione, Berti ha negato di essere stato sentito in passato dall’allora giudice Ilario Martella ma la stessa Commissione gli ha fatto notare che ciò contraddiceva i verbali delle indagini.
Il maestro ha anche negato di aver svolto all’epoca lezioni private a pagamento e per questo, ha riferito alla Commissione, «non dava il suo numero di telefono agli studenti», neanche a Emanuela. Eppure sempre dai verbali risulta che al giudice Martella disse il contrario.
Qui non si tratta di ricordare la marca di uno specifico flauto appartenuto a una delle tante allieve oltre 40 anni fa. Si parla di un’epoca più recente (l’interrogatorio con Martella) e di attività compiute direttamente dal maestro, sulle quali però dimostra di non avere buona memoria.
In un ipotetico processo, il maestro non verrebbe considerato un testimone pienamente affidabile: le contraddizioni emerse su aspetti tanto rilevanti mostrano una memoria incerta anche su circostanze dirette e relativamente recenti.
È dunque legittimo dubitare che, se fatica a ricordare con chiarezza questi macro-elementi, possa farlo ancor di più con i micro-elementi, come la marca esatta del flauto usato da Emanuela nel 1983.
3) La famiglia Orlandi ha subito riconosciuto il flauto
Nel 2013, in tempi assolutamente non sospetti, la sorella Natalina Orlandi riconobbe come autentico con una certa sicurezza il flauto fatto ritrovare da Marco Accetti.
Nel nostro dossier sul caso Orlandi è presente un video in cui la donna osserva il flauto e commenta: «Eh sì, potrebbe proprio essere lui. Questo è di argento placcato come il suo».
Poi aggiunge: «E’ uguale la scatola, sono uguali gli angoli consumati», salvo però riconoscere che tutti i flauti antichi sono consumati.
Anche Pietro Orlandi lo riconobbe immediatamente e lo considerò, almeno inizialmente, una prova dell’autenticità di Accetti1F. Peronaci, Il Ganglio, Fandango 2014, p. 18.
In un’intervista al “Corriere della Sera” aggiunse che «il modello coincide», riferendosi al marchio Rampone e Cazzani.

Perfino nella memoria presentata dallo stesso Pietro Orlandi contro la sentenza di archiviazione del 2015, viene esplicitato in maniera ufficiale che il flauto è stato riconosciuto dai familiari come autentico.

Nel 2024, ascoltata dalla Commissione parlamentare, Natalina Orlandi ha ulteriormente confermato l’autenticità «in tutto e per tutto a quello che utilizzava Emanuela».
Stranamente dopo la testimonianza resa da Loriano Berti non è ancora uscita alcuna dichiarazione di Pietro o Natalina Orlandi, né dell’avvocata Laura Sgrò, solitamente sempre molto celeri a commentare notizie di stampa (soprattutto quando riguardano il Vaticano). Silenzio anche dalla sorella minore, Cristina Orlandi, la quale si dice avrebbe pulito più volte il flauto di Emanuela.
Sottolineiamo ulteriormente le parole di Pietro Orlandi sulla coincidenza del modello e quelle di Natalina Orlandi sulla certezza che il flauto fosse “di argento placcato”. Dichiarazioni in contraddizione (dette in tempi non sospetti) con quelle recenti del maestro Loriano Berti.
4) Un rischio suicida per Marco Accetti
Consideriamo per un attimo le azioni di Marco Accetti.
Il regista e fotografo si presenta dal nulla nel 2013 auto-accusandosi della sparizione di Emanuela (e di Mirella Gregori) e, per avvalorare la sua testimonianza, fa ritrovare quello che dice essere il flauto appartenuto alla giovane.
Varie testimonianze e intercettazioni telefoniche dimostrano che l’uomo si interessò direttamente del caso Orlandi già dal 1983 (i famigliari testimoniarono ad esempio di averlo sorpreso scrivere lettere e fare telefonate sulla vicenda già nel 1983), quindi la scelta di recarsi dagli inquirenti nel 2013 fu ben ponderata, non un gesto impulsivo.
Come si può pensare quindi che Accetti faccia ritrovare un flauto dotato di matricola e marca, pur sapendo essere falso e quindi appartenuto ad altri?
Chi produce una prova falsa tende a ridurre al minimo i dettagli verificabili, proprio per non offrire appigli che possano essere confutati. Presentarsi in Procura con uno strumento falso ma ben identificabile è un gesto suicida, esponendosi ad un rischio altissimo di smascheramento. Tantomeno lo farebbe qualcuno che ha atteso 40 anni prima di “costituirsi”.
La famiglia avrebbe infatti potuto conservare fotografie dettagliate dello strumento, ricevute di acquisto o elementi che avrebbe consentito un confronto diretto, e le tracce di DNA potevano individuare il vero proprietario. Accetti non poteva sapere in anticipo che nulla di questo si sarebbe verificato e, consegnandolo, ha lasciato agli inquirenti la possibilità di confutarlo platealmente.
Il flauto per lui era fondamentale: il costo reputazionale e giudiziario di un’eventuale smentita avrebbe compromesso fin da subito ogni sua credibilità.
E’ lo stesso rischio che ha corso nel citare agli inquirenti i nomi di Gabriella Boggiani e Antonella Fini, chiedendo loro di verificare. Così come ha invitato la squadra mobile a far visionare le foto di Katy Skerl a Stefano Coccia. Di questo abbiamo parlato alcune settimane fa.
Le dichiarazioni di Accetti riguardo al flauto nel 2013 sono state queste:
«Sono stato io a consentire il ritrovamento del flauto. Si tratta di quello appartenuto a Emanuela. Ne ho avuto disponibilità nei primi tempi, dopo la scomparsa della ragazza nell’estate 1983, in quanto partecipai all’azione, e in un periodo successivo, dal 1987. Lo avevamo nascosto in una nicchia sotterranea della basilica di Santa Francesca Romana, dove mandai una giovane tedesca a recuperarlo»2F. Peronaci, Il Ganglio, Fandango 2014, p. 17
In passato Accetti ci riferì che il flauto di Emanuela sarebbe stato tenuto in custodia anche da una delle ragazze “complici”, anch’essa suonatrice di flauto traverso.
Nulla di quanto scritto dimostra senz’ombra di dubbio che il flauto appartenne effettivamente ad Emanuela Orlandi, piuttosto rende ragionevolmente più probabile quest’ipotesi piuttosto che il contrario.
AGGIORNAMENTO del 28/09/2025
Un nostro attento lettore ci ha segnalato due commenti del giornalista Pino Nicotri risalenti all’ottobre 2015 in cui si chiarisce meglio la vicenda del flauto. Riporta infatti un chiarimento proveniente dallo stesso Pietro Orlandi.
Il maestro Loriano Berti probabilmente si ricorda il flauto Yamaha perché effettivamente Emanuela ne utilizzava uno ma era di proprietà della scuola, mentre il suo personale conferma essere il Rampone & Cazzani, lo stesso fatto ritrovare da Marco Accetti.

AGGIORNAMENTO del 07/10/2025
Pietro Orlandi è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare e rispetto al flauto ha dichiarato: «Il flauto di Emanuela non era uno Yamaha ma un Rampone & Cazzani». Ha detto di essere tornato nel negozio dove era stato acquistato all’epoca.
Inoltre ha aggiunto: «Non credo neanche che il flauto fatto trovare da Accetti fosse quello di Emanuela, perché fu fatto analizzare dagli inquirenti e non è stata trovata la minima traccia del DNA di mia sorella».
Come fa l’assenza di tracce di DNA ad escludere automaticamente che lo strumento fatto trovare da Marco Accetti nel 2013 sia quello autentico? Al massimo non ne conferma l’autenticità. Ma a qualcuno quel flauto è appartenuto e l’assenza di tracce significa semplicemente che il DNA si è degradato a causa del tempo.
Persiste l’attuale volontà della famiglia Orlandi di escludere a priori il ruolo di Accetti. Il motivo? Sospettiamo che dipenda dal fatto che credere alla sua versione significhi accettare che Emanuela (e Mirella) fosse consenziente (pur sotto inganno) all’allontanamento da casa.
















7 commenti a Emanuela Orlandi, il flauto ritrovato è ragionevolmente il suo
Allo stato attuale Accetti non è neppure indagato?
No ma da quanto ho capito stanno facendo accertamenti su quello che sta rivelando, la cosa scandalosa è che la Commissione parlamentare non l’ha ancora chiamato!!
Cercano di parlarne il meno possibile e se ne parlano lo riducono subito a pazzo mitomane. C’è una sua ex complice sui social che da anni è un diluvio quotidiano contro di lui ma non si accorge che più si accalora per smentire qualunque virgola lui dica o che riguardi lui e più fa comprendere certe cose.
Avete perso la testa
Ma chi? Perché? Ah ecco…ho cercato il tuo nome sul web, tu sei una di quelle convinte che è stato lo zio Meneguzzi. Certo! E la zia Anna figlia di Pio XII giusto?
Ma in che senso è stato lo zio Meneguzzi???
Sai che si può anche argomentare oltre che lasciare dichiarazioni così perentorie e, di fatto, inutili se non per sfogarsi?