La coscienza resta un mistero: le neuroscienze si arrendono?

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Uno studio testa le principali teorie sulla coscienza, lasciando intatto il mistero. I risultati sono stati deludenti, spingendo alla domanda se la coscienza cederà mai alle neuroscienze. E se si guardasse finalmente come segno della dimensione spirituale?


 

Il mistero della coscienza continua a disturbare la scienza contemporanea.

Cosa diavolo è la coscienza? La domanda pulsa sempre più forte nell’ambito delle neuroscienze, dove la sua natura rimane prettamente elusiva.

Recentemente, un’importante collaborazione scientifica ha messo alla prova due delle teorie più influenti sulla coscienza: la “Global Neuronal Workspace Theory” (GNWT) e la “Integrated Information Theory” (IIT).

Nonostante le grandi attese e le speranze, i risultati non hanno confermato in modo definitivo nessuna delle due.

Ne ha parlato dettagliatamente il filosofo Tim Brayne su PsyPost, in un articolo intitolato: “La coscienza rimane un mistero dopo la grande resa dei conti delle teorie”.

 

L’esperimento sulle principali teorie sulla coscienza

Ma quali sono le due teorie citate, oggetto di un importante studio apparso il mese scorso sulla rivista Nature?

La GNWT propone che la coscienza emerga quando le informazioni vengono globalmente condivise tra diverse aree del cervello, in particolare la corteccia prefrontale. Secondo questa teoria, la coscienza è associata a un’attivazione diffusa e coordinata delle reti neurali.

La IIT, invece, suggerisce che la coscienza sia il risultato dell’integrazione di informazioni all’interno di un sistema. Questa teoria attribuisce un ruolo centrale alla corteccia posteriore, sostenendo che la coscienza dipenda dalla complessità e dall’interconnessione delle informazioni elaborate.

Per testare queste teorie è stato condotto un esperimento su larga scala, coinvolgendo team di ricerca indipendenti. L’obiettivo era verificare le previsioni specifiche di ciascuna teoria riguardo ai correlati neurali della coscienza.

Le previsioni dell’IIT includevano una sincronizzazione sostenuta nella corteccia posteriore durante la percezione cosciente, mentre la GNWT prevedeva un’“accensione neurale” all’inizio e alla fine di uno stimolo, con la possibilità di decodificare il contenuto cosciente dalla corteccia prefrontale.

 

Risultati deludenti, resta intatto il mistero della coscienza

I risultati dell’esperimento sono stati ambigui, per non dire deludenti.

Non è stata osservata la sincronizzazione prevista dall’“Integrated Information Theory” (IIT) nella corteccia posteriore. Allo stesso modo, la “Global Neuronal Workspace Theory” (GNWT) è stata messa in discussione dalla difficoltà di decodificare i contenuti coscienti dalla corteccia prefrontale e dalla mancanza di evidenza dell’“accensione neurale” prevista.

Il responso non invalida naturalmente le due teorie, ma evidenzia piuttosto la complessità del (misterioso) fenomeno della coscienza.

Come osserva Tim Bayne, «la coscienza è un osso duro. Non sappiamo ancora se cederà agli attuali metodi della scienza della coscienza o se richiederà una rivoluzione nei nostri concetti o nei nostri metodi (o forse entrambe le cose)».

 

Il mistero della coscienza e l’apertura della ragione

Lungi da noi dal sostenere un qualsivoglia argomento teologico “delle lacune” (o “God of the gaps”) e ben vengano tutti gli studi scientifici possibili!

Ci limitiamo però a osservare che non sarebbe male se il persistere del mistero della coscienza aiutasse ad “aprire le ragione”, suggerendo che alcuni aspetti della realtà umana trascendono la comprensione empirica.

La coscienza, con la sua ricchezza e complessità, potrebbe finalmente essere vista come un segno della dimensione spirituale dell’essere umano, che va oltre le (deboli) spiegazioni puramente materialistiche.

Autore

La Redazione

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