I valori morali oggettivi e l’esistenza di Dio

Nei Paesi anglosassoni si usa pubblicare sui quotidiani, in modo abbastanza costante, riflessioni filosofiche sull’esistenza di Dio. A volte sono argomenti abbastanza banali, altre volte invece sembrano essere più interessanti. Tra questi ultimi quello apparso su Enterprisenews.com, dove è stato affrontato il cosiddetto “argomento morale”, da cui prenderemo spunto per questo articolo. Avevamo parlato dello stesso argomento, molto più approfonditamente, in un post precedente a cui invitiamo a fare riferimento.

 

“L’argomento morale” recita questo:
1) Se Dio non esiste, i valori morali oggettivi non esistono.
2) I valori morali oggettivi esistono.
3) Pertanto, Dio esiste.

Non ci interesserà più di tanto arrivare a “dimostrare” l’esistenza di Dio in questo modo (né in nessun altro), che rimane sempre una questione legata alla libertà dell’uomo, ma piuttosto vorremmo soffermarci maggiormente sulle implicazioni che emergeranno dalle due premesse. Poi, chi vorrà, passerà al terzo passaggio. Resta il fatto che, se questo terzo punto non piace, bisognerà adoperarsi per confutare una delle due premesse, che però sembrano resistere a sufficienza.

Partiamo dalla seconda premessa: “i valori morali oggettivi esistono”.
Affermare che “l’omicidio è sempre sbagliato” (l’omicidio non è l’auto-difesa, un incidente, una guerra necessaria ecc.), “lo stupro è sempre sbagliato”, “torturare i figli è sempre sbagliato” ecc., significa esporre valori morali oggettivi, cioè verità che si ritengono indiscutibili, non negoziabili. Anche il nazismo e l’Olocausto sono ritenuti degli “sbagli” oggettivi, nessuno risponderebbe “è una tua opinione personale”, perché non si tratta evidentemente di una differenza di vedute sulle storia.

I valori morali oggettivi dunque esistono, la domanda che si pone ora è: perché i nazisti si sbagliavano? In base a cosa possiamo dire che certamente l’Olocausto è stato un male? Perché sappiamo senza dubbio che si sono sbagliati, senza correre il rischio di imporre una nostra opinione? Perché l’omicidio, lo stupro, la tortura, ecc, sono sbagliati a prescindere dal parere di chi commette questi atti? Ricordiamo che affermare il contrario significa assumere una posizione relativista, ovvero sostituire il “sempre” (le certezze tanto odiate dagli scettici di professione) con il “dipende”: “la pedofilia non è sempre sbagliata, dipende da…”, afferma il relativista o lo scettico (ovvero il cultore del dubbio).

Per rispondere a questa fastidiosa domanda, occorre necessariamente introdurre la prima premessa: “i valori morali oggettivi non possono esistere senza Dio”. Attenzione: questo non significa che chi non crede in Dio non può vivere una vita etica o morale, ma che senza Dio non ci può essere un valido fondamento logico su cui basare i valori morali oggettivi. La questione è che se non ci appelliamo a qualcosa – o Qualcuno – al di fuori di noi stessi, allora le nostre non possono essere altro che semplici opinioni personali. Chi determina, infatti, ciò che è giusto o sbagliato? Senza Dio, ciò che è morale lo decide la maggioranza di persone che la pensa in modo simile, cioè il potere in quel momento. Dunque parlare di “sempre sbagliato”, senza credere a Dio, è un errore perché tutto “dipende” inevitabilmente dal bias degli appartenenti ad una data società. Anche chi considera la morale come un adattamento evolutivo, sta affermando che dunque si tratta una mera illusione, lasciando irrisolto il problema del “sempre sbagliato o sempre giusto”. Facendo un esempio: se la maggioranza di opinioni personali ritiene che cannibalismo/pedofilia/eutanasia/tortura/stupro/aborto siano un bene per la società, allora queste pratiche diverranno tali (in quella società). Per dirla con lo scrittore non credente Samuel Butler: «La moralità è il costume del proprio paese e l’attuale sensazione dei propri coetanei. Il cannibalismo è morale in un “paese cannibilista”». Se non c’è nessun Altro a cui fare appello, allora non esiste nulla di giusto o sbagliato in modo oggettivo e l’abuso di bambini, dunque, non può essere sbagliato in modo definitivo, ma dipenderà sempre dall’opinione della società.

Non a caso Joel Marks, professore emerito di filosofia presso l’University of New Haven, in un articolo del 2010 dal titolo “An Amoral Manifesto” ha scritto: «ho rinunciato del tutto alla moralità […] da tempo lavoro su un presupposto non verificato, e cioè che esiste una cosa come giusto e sbagliato. Io ora credo che non ci sia […].  Mi sono convinto che l’ateismo implica l’amoralità, e poiché io sono un ateo, devo quindi abbracciare l’amoralità […]. Ho fatto la sconvolgente scoperta che i fondamentalisti religiosi hanno ragione: senza Dio, non c’è moralità. Ma essi non sono corretti, credo ancora infatti che non vi sia un Dio. Quindi, credo, non c’è moralità». Eppure quanti sottoscriverebbero davvero l’amoralità? Il relativismo morale? Quanti sarebbero disposti ad affermare: “legalizzare la tortura verso i figli non è sempre sbagliato, dipende da cosa ne pensa la società”? Nessuno si spera, perché la moralità oggettiva esiste nell’essere umano, ma per avere un solido fondamento logico deve andare “oltre sé” (oltre al prodotto casuale dell’evoluzione biologica), deve appellarsi a Chi ha introdotto tali leggi morali nell’uomo (bianco, nero o giallo che sia, siamo tutti uguali). Chi non lo fa, ma ribadisce comunque l’esistenza di qualcosa di “sempre giusto o sempre sbagliato”, allora è semplicemente irrazionale. Il grande laico Norberto Bobbio non a caso affermava«La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole».

Entrambe le premesse sono state dimostrate, dunque: i valori morali oggettivi esistono e per avere un fondamento logico bisogna appellarsi a Dio. Le conclusioni possono essere diverse: i valori morali oggettivi esistono e dunque deve esistere Dio, chi non crede in Dio non ha un fondamento logico per i suoi valori morali (e questo, ripetiamo, non significa che non ne possiede!), il relativismo non può veramente esistere in una società civile, ecc..

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Mario Mieli, icona gay tra pedofilia e coprofagia

Chi fu davvero l’icona gay che fondò il movimento Lgbt in Italia? Le perversioni di Mario Mieli vengono ricordate e celebrate sul quotidiano comunista Liberazione.

 
 
 

Chi è stato il fondatore del movimento omosessuale italiano?

Il suo nome è Mario Mieli, scrittore e autore nel 1977 del celebre Elementi di critica omosessuale che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia.

Nel suo libro si esibì in un approccio psicologico e antropologico dell’omosessualità (con quali competenze?), ritenuto oggi una «pietra miliare per un’intera generazione di militanti gay».

Mieli in gioventù usava vestire quasi sempre con abiti femminili, andava truccato a scuola, saliva sugli autobus nudo sotto una pelliccia, indossava i gioielli di famiglia.

Il professor Zapparoli, lo psichiatra che lo aveva in cura, aveva diagnosticato una sindrome maniaco-depressiva con connotazioni schizoidi. Frequentò esponenti del movimento gay inglese e fondò nel 1971 la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, chiamata FUORI! (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano).

Si staccò da essa nel 1974 perché l’associazione si fece inglobare dal Partito Radicale, lui invece non era convinto che si dovesse passare dalla politica per cambiare il mondo (e su questo aveva ragione).

 

Mario Mieli e la coprofagia, voleva scandalizzare i bigotti.

Ma la caratteristica per cui è spesso ricordato è la coprofagia, ovvero la devianza sessuale di mangiare i propri escrementi.

E’ famosa, ad esempio, la sua esibizione pubblica all’Ompo’s, durante la quale si esercitò in questi atti (anche con gli escrementi del suo cane). Il poeta gay Dario Bellezza (morto di AIDS nel 1996) ironizzò così: «A Mario è rimasto altro che mangiar la m…, per far parlare di sé».

Mieli morì suicida nella sua abitazione di Milano nel 1983 a soli 30 anni, dopo l’ennesimo periodo di depressione.

A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, sorto a Roma nello stesso anno della sua morte.

Il circolo Mario Mieli lo ricorda con queste parole: «Si esibì più volte gustando m… e bevendo il proprio p… pubblicamente come a fornire un supporto umano e pesante ai prodotti più nascosti e più inumani dell’uomo; come a farsi forte di quella m… con cui una società bigotta, borghese e clericale aveva tentato di coprirlo».

Mieli era notoriamente anche necrofilo.

 

Dalla Norma eterosessuale al suicidio.

Il quotidiano ufficiale del Partito Comunista Italiano, Liberazione, lo ha celebrato più volte.

L’11 marzo 2008ha riassunto così la sua biografia: «Vestiti da donna, teatro d’avanguardia, teoria, militanza, droga, coprofagia. Venticinque anni fa, il 12 marzo 1983, usciva volontariamente di scena, suicida a 31 anni, il più grande intellettuale queer italiano».

L’articolo è scritto da un suo ammiratore, che ha onorato le gesta di una «dimensione esemplare e quasi mitica, sfaccettature di una coraggiosa e coerente complessità». Il suicidio di Mieli viene definito un «capolavoro di estremo narcisismo o esempio di masochismo che può sublimare, se usato politicamente, l’istinto di morte della Norma eterosessuale».

La Norma eterosessuale significava per Mieli -probabilmente segnato dall’esperienza dell’ospedale psichiatrico e dall’effetto di droghe di cui abusava-, la rimozione dell’omosessualità e della femminilità da ogni uomo, perché «la dimensione di una transessualità originaria e profonda, costituisce la cifra essenziale dell’Eros di ciascun individuo». Lui ha introdotto il concetto per cui la «la Norma eterosessuale castra il desiderio attraverso l’educazione, producendo una società di adulti “monosessuali”, repressi, intrinsecamente omofobi e per questo votati alla guerra».

In poche parole, per l’icona gay italiana, «ogni uomo si trova a dover fare i conti con il frocio e con la donna repressi dentro di lui, che Mieli invita ad accettare, accogliere e liberare».

“Fissarsi” su «un singolo oggetto sessuale» (cioè, per oggetto si intende solo l’uomo o solo la donna) è -secondo Mieli- «un limite, un sintomo di repressione, di rimozione della naturale disposizione transessuale». Bisognerebbe aprirsi sessualmente ad ogni “oggetto”, dagli uomini agli animali e, perché no, fino ai propri escrementi. Solo così non si sarebbe repressi e omofobi.

«Una posizione, questa, che scandalizza ancora oggi», si lamenta il suo ammiratore su Liberazione. Le perversioni più assurde, servono proprio per «restituire agli individui la condizione originaria di transessualità, ovvero la libera e gioiosa espressione della pluralità delle tendenze dell’Eros». Esse, secondo lo slogan da lui coniato, “Mens sana in corpore perverso” (sbagliando pure il latino), «sono tappe inevitabili, lungo il cammino dell’Eros e dell’emancipazione per la rottura di ogni tabù».

Ed ecco la crisi mistica dell’ammiratore di Mieli: «Elogio della m… come grimaldello che apre le porte dell’armonia, come supremo vessillo della liberazione, come fonte di ricchezza accessibile a chiunque, come comunione sublime per un’iniziazione scandalosa, per una conoscenza schizofrenica e divergente. Il Mieli “alchemico” dell’ultima parte della sua vita narra un’esperienza magico-erotica che lo vede protagonista insieme al suo fidanzato: la celebrazione di un rito di “nozze alchemiche”, con la preparazione e l’assunzione di un pane “fatto in casa”, un dolce nel cui impasto confluivano non solo m…, sangue e sperma, ma anche ogni altra secrezione corporale, dalle lacrime al cerume. Perché? “L’abbiamo mangiato – dice Mieli – e da allora siamo uniti per la pelle. Pochi giorni dopo le “nozze”, in una magica visione abbiamo scoperto l’Unità della vita. Era come se non fossimo due esseri disgiunti, ma Uno; avevamo raggiunto uno stato che definirei di comunione”».

 

Mario Mieli e la pedofilia: “Liberiamo i bambini”.

Anche in Mieli ritorna il pensiero della pedofilia, come nel movimento omosessuale americano Nambla in voga in quegli anni.

Si legge nell’articolo di Liberazione: «Il bambino è, secondo Mieli, l’espressione più pura della transessualità profonda cui ciascun individuo è votato. È l’essere sessuale più libero, fino a quando il suo desiderio non viene irregimentato dalla Norma eterosessuale, che inibisce le potenzialità infinite dell’Eros».

Secondo l’articolista del quotidiano comunista, questo è un «discorso eversivo e scomodo oggi più che mai, in una società attanagliata dal tabù che investe senza appello il binomio sessualità-infanzia, ossessione quasi patologica che trasforma il timore della pedofilia in una vera e propria caccia alle streghe».

Anche i bambini dovrebbero fare sesso, secondo Mieli, perché l’Eros, «se lasciato libero di esprimersi, può fondare una società diversa da quella in cui viviamo. Sicuramente più libera». L’adozione gay, invece, potrebbe «inculcare nel bambino i valori di una sessualità più vicina al potenziale transessuale originario?», ci si domanda su Liberazione.

I valori cristiani e quelli familiari naturali, secondo Mieli sono «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di «trasformare il bambino in adulto eterosessuale».

I pedofili invece possono “liberare” i bambini: «noi checche rivoluzionarie», ha scritto l’icona gay italiana, «sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero. Noi, si, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega» (da “Elementi di critica omosessuale”, 1977).

 


La redazione

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