India, se converti un indù ora rischi l’ergastolo

indu conversione

Duro inasprimento di leggi in India per chi converte un indù. Si parla di conversioni forzate ma i sacerdoti cattolici temono anche per la semplice messa domenicale.


 

La libertà religiosa sembra valere solo negli Stati di origine cristiana.

Da anni si registra in India un inasprimento delle leggi contro la conversione religiosa, in particolare in questo momento storico.

Quanto sta avvenendo nello stato dell’Uttarakhand ne è un esempio emblematico.

 

Ergastolo e multe a chi converte un indù

Il 13 agosto 2025 il governo locale ha approvato una proposta di legge che prevede pene detentive da tre anni all’ergastolo e multe fino a 10 lakh di rupie (circa 12.000 euro) per chiunque sia ritenuto colpevole di conversioni forzate.

In casi particolarmente gravi, la pena può durare quindi tutta la vita, con la possibilità di confisca dei beni e arresto senza mandato. Il testo andrà approvata dall’Assemblea dello Stato, sessione prevista per il 19 agosto.

Questa legge si inserisce in un contesto più ampio di legislazioni simili adottate in altri stati indiani, come Uttar Pradesh e Madhya Pradesh, che hanno introdotto pene severe per chiunque tenti di convertire soprattutto donne, bambini e membri delle caste più basse.

Soltanto alcune settimane fa due suore cattoliche, Preeti Mary e suor Vandana Francis delle Green Garden Sisters, sono state incarcerate nello stato di Uttar Pradesh con l’accusa di conversione forzata. Dopo essere state tratte in arresto a seguito di una denuncia infondata -suscitando indignazione tra le comunità religiose e le organizzazioni per i diritti umani-, le religiose sono state rilasciate su cauzione.

 

Divieto anche sui social e la messa è a rischio

Particolarmente sconcertante è il divieto previsto dal partito induista nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) anche per l’evangelizzazione attraverso i social media, le app di messaggistica e qualsiasi mezzo online, che «saranno ora vietati e punibili».

Padre Jinto Arimbookaram, della diocesi di Bijnor, ha chiesto molta attenzione alla comunità in quanto perfino «la nostra normale messa domenicale e le funzioni religiose, o qualsiasi altra funzione della Chiesa, possono essere etichettate come attività di conversione religiosa».

Gli esperti fanno comunque presente che la Corte Suprema difficilmente approverà una simile legge in palese violazione con il diritto fondamentale alla religione garantito dall’articolo 25 della Costituzione.

 

Di cosa hanno paura?

Ovviamente è più che legittimo proteggere le persone da conversioni forzate, soprattutto se indotte da qualche incentivo, ma nessuno è così ingenuo da pensare che leggi di questo tipo non servano semplicemente ad ostacolare le conversioni indù al cristianesimo.

Che cosa temono questi induisti?

Non tanto il cristianesimo in sé, quanto l’idea di libertà che esso rappresenta e incarna: la possibilità per ciascuno di scegliere la propria fede, allontanandosi anche da quella socialmente imposta.

La stessa libertà che viene loro garantita quando si recano nei Paesi culturalmente cristiani, dove è considerata un diritto fondamentale.

Autore

La Redazione

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