L’evoluzione umana e la teologia, due parole con Chris T. Baglow
- Interviste
- 18 Lug 2025

La nostra intervista al teologo Christopher T. Baglow su evoluzione umana e teologia, monogenismo biblico e poligenismo scientifico. Uno dei cattolici più esperti su questi argomenti ci spiega come interpretare i nuovi dati scientifici.
Il mese scorso a Washington si è svolta la conferenza della Society of Catholic Scientists (SCS), per l’occasione abbiamo intervistato il co-fondatore, Stephen M. Barr (University of Delaware).
Uno degli interventi più apprezzati è stato quello di Christopher T. Baglow, tra gli intellettuali cattolici più esperti al mondo del rapporto tra scienza, evoluzione umana e teologia.
E’ docente di Teologia e direttore della Science and Religion Initiative presso l’Università di Notre Dame. Abbiamo parlato di evoluzione umana e teologia, del rapporto tra monogenismo biblico e poligenismo scientifico, del peccato originale e dei Neanderthal.
Temi sui quali, almeno in Italia, manca ancora adeguato approfondimento. Baglow conosce bene la nostra realtà e spiega che il suo lavoro è stato inspirato da don Giuseppe Tanzella-Nitti, guarda anche con stima i gesuiti della Specola Vaticana, esclamando: «Viva la fede e la scienza in Italia!».
Intervista a Chris T. Baglow: evoluzione umana e teologia
DOMANDA – Sei da decenni un “mediatore” tra scienza e teologia: quali cambiamenti hai osservato negli studenti in questo lungo periodo?
RISPOSTA – Insegno corsi su fede e scienza a studenti universitari dal 2007, nel pieno dell’influenza del “New Ahteism”, e da sette anni lavoro presso l’Università di Notre Dame.
Un dato costante è che le domande che gli studenti portano con sé all’inizio del corso sono rimaste le stesse, presuppongono un conflitto: “Come possono alcune persone restare accecate dalla fede ignorando le prove concrete a sostegno dell’evoluzione?”, “Come si concilia la scienza moderna e la salvezza?”, “Esistono prove scientifiche a sostegno della salvezza cattolica?”
Ma — ed ecco un cambiamento incoraggiante! — già alla fine della prima parte del Corso, molte di queste domande perdono forza e rilevanza per loro, mentre affrontiamo l’approccio dell’“unità relazionale” proposto da San Giovanni Paolo II, le pretese infondate del conflitto tra scienza e religione e gli studi più seri del “caso Galileo”.
Penso che i giovani di oggi siano piuttosto stanchi delle affermazioni esagerate e totalizzanti sul conflitto tra fede e scienza, dato che i media, la politica e la loro stessa vita ne sono ormai saturi.
DOMANDA – Ci sarà però un tema che rimane conflittuale…
L’idea secondo cui “la scienza è verità e la fede è opinione” resta una delle principali questioni su cui gli studenti devono riflettere e maturare. Fin dal primo giorno del mio Corso leggiamo e discutiamo un breve e meraviglioso discorso chiamato “Fede e teologia”, pronunciato nel 2000 dall’allora card. Joseph Ratzinger, che spiega come fede e scienza siano entrambe fonti di conoscenza sulla realtà.
Questo li aiuta a comprendere che anche la speculazione teologica che affrontiamo nel Corso è un’impresa intellettuale seria, anche se non tutti accettano l’affermazione cristiana secondo cui Dio si è rivelato all’umanità.
La nostalgia per i “Nuovi Atei”
DOMANDA – Hai parlato dei “nuovi atei”, avrai assistito al loro declino dopo aver infestato per decenni il discorso pubblico su fede, religione e scienza. Quale spiegazione ti sei dato per questo fallimento?
RISPOSTA – Sì. Ho notato il loro declino, e stranamente, mi mancano.
All’inizio del mio lavoro sul rapporto tra fede e scienza, potevo contare su di loro per animare il pubblico con domande sprezzanti e affermazioni assurde. Nella prima edizione del mio manuale, non mi sono nemmeno preso la briga di nominarli, tanto erano noti. All’epoca bastava spiegare agli studenti e agli altri uditori che la divinità che loro respingevano era esattamente la stessa che anche il cristianesimo respinge.
Il dio di Hitchens e Dawkins non avrebbe mai potuto diventare pienamente umano ed essere anche pienamente divino, era un dio racchiuso nel tempo e nello spazio, che rimbalzava nell’universo come un supereroe o un bullo da periferia.
I “nuovi atei” non hanno mai sferrato un colpo davvero efficace contro l’unico vero Dio, ma sono riusciti a rendere il Suo universo un luogo orribile e brutale, il che mi ha sempre fatto chiedere perché fossero così interessati alla scienza, in primo luogo.
Oggi sono finiti i tempi in cui si poteva contare sulle battute del compianto Stephen Hawking (uno scienziato brillante, ma un metafisico poco riflessivo, che possa riposare in pace) in televisione: “La teologia è stata resa irrilevante dalla fisica” o “il tempo non esisteva prima del Big Bang, quindi non c’era tempo perché Dio creasse l’universo”.
DOMANDA – Quali conseguenze negative ha lasciato il “New Atheism”?
I Nuovi Atei hanno inferto qualche colpo dannoso, uno di questi è stato quello di confondere e mandare fuori strada fin troppi apologeti e studiosi cattolici. Troppi di loro cercano di combattere il fuoco con il fuoco, abbracciando il creazionismo della Terra giovane o vecchia, radunandosi attorno al movimento dell’Intelligent Design, un creazionismo mascherato da un’etichetta molto fuorviante.
Alle domande poco intelligenti ispirate da Hawking si sono ora sostituite le accuse secondo cui i teologi che si occupano di questi temi tradirebbero l’ortodossia cattolica. Questo contro-movimento sta in realtà scandalizzando molti giovani cattolici amanti della scienza: ne conosco diversi che si preoccupano inutilmente per queste cose.
Ironia della sorte, l’influenza dei Nuovi Atei continua a vivere proprio attraverso questi religiosi mal guidati.
La Society of Catholic Scientists e i creazionisti
DOMANDA – Sei membro della Society of Catholic Scientists (SCS) e abbiamo intervistato il fondatore poco tempo fa. Qual è la tua valutazione dopo nove anni dalla sua fondazione? Che impatto ha avuto negli Stati Uniti?
RISPOSTA – La SCS è un raggio di luce, e la sua continua espansione oltre i confini degli Stati Uniti è molto entusiasmante, con sezioni che stanno nascendo in Polonia e in Spagna.
Il suo più grande contributo si vede nel modo in cui sta aumentando il numero di scienziati capaci di parlare non solo delle proprie discipline, ma anche della propria fede cattolica con sicurezza, del rapporto tra scienza e teologia, e di come il loro lavoro rafforzi, anziché indebolire, la loro fede.
Prima della SCS, potevo contare sulle dita di una mano il numero di scienziati cattolici che conoscevo e che avevano quella fede e quella capacità. Ma nel marzo 2025 siamo riusciti a invitarne 16 a intervenire davanti ai quasi 500 partecipanti al nostro evento annuale per insegnanti e studenti delle scuole superiori, tenutosi alla Bellarmine University in Kentucky.
A 100 km dal “Creation Museum”, che promuove posizioni anti-scientifiche, centinaia di studenti apprendevano l’evoluzione, il Big Bang, la scienza sulle origini umane, da membri della SCS. È stato un trionfo!
I Neanderthal e le capacità pre-razionali
DOMANDA – Alla recente conferenza annuale della Society of Catholic Scientists (SCS) hai esplorato il tema della “personalità” dell’Homo neanderthalensis. Ci riassumi quello che hai detto?
RISPOSTA – I Neanderthal mi affascinano fin dall’infanzia, creature che compivano molte delle stesse azioni degli antichi Homo sapiens — e che anche noi compiamo tuttora — come, ad esempio, seppellire i propri morti. La maggior parte dei paleoantropologi ritiene che fossero capaci di pensiero razionale, espresso attraverso il simbolismo. Non sono certo se abbiano ragione o torto.
La mia proposta — che riconosco essere speculativa — è questa: tenendo conto del riconoscimento di Tommaso d’Aquino dell’immaginazione come facoltà corporea, delle numerose osservazioni empiriche sui sogni negli animali, e del fatto che l’immaginazione inconscia che sperimentiamo nei sogni ci aiuta in modi in cui l’intelletto attivo non riesce a fare, allora alcune attività dei Neanderthal — come l’ornamentazione personale e perfino certe immagini nelle caverne — potrebbero non essere state espressione di una razionalità attiva, ma piuttosto di una fase pre-razionale.
DOMANDA – La teologia come potrebbe interpretare questa teoria?
RISPOSTA – Dal punto di vista della teologia, ciò rifletterebbe la Provvidenza divina all’opera nell’evoluzione delle nostre capacità neurologiche nei nostri antenati.
C.S. Lewis una volta scrisse che, prima di Cristo, Dio donò agli uomini dei “buoni sogni”. Potrebbe aver fornito — attraverso cause naturali — ai nostri antenati pre-umani i rudimenti del pensiero, intrecciati nel tessuto di immagini e attività necessarie a ciò che rende l’umano diverso? Un dono speciale da parte di Colui che, prima di formarci nel grembo, già ci conosceva e conosceva i nostri bisogni.
Si trattava di ominini che vivevano ancora in un ambiente non ancora percepito come “cosmo”, ma che stava lentamente informandosi con impressioni pittoriche. Ominini che vivevano a stretto contatto con altri, anche in modi che sembrano chiaramente sacrificali, ma ancora privi di un senso trascendente dell’amore, della responsabilità morale. E nel frattempo, il cervello veniva lentamente plasmato, accuratamente preparato per la grande transizione in cui la carne sarebbe divenuta parola, la consapevolezza riflessione su di sé, e il piacere per la simmetria si sarebbe trasformato in apprezzamento per la bellezza.
DOMANDA – Dicevi però che i Neanderthal condivisero con i Sapiens anche capacità tipicamente associate alla persona, come l’arte, i rituali funebri o la fabbricazione complessa di utensili..
RISPOSTA – Sì possedevano molte capacità simili alle nostre, ma non sono ancora convinto che abbiano superato la soglia della razionalità.
Prima dell’esplosione dell’arte rupestre, delle sculture di fertilità, delle figurine animali e persino dei flauti ricavati da ossa di uccello, tutti databili a circa 40-50 mila anni fa, credo che nulla possa essere considerato prova indiscutibile di un salto ontologico.
Tra monogenismo poligenismo e peccato originale
DOMANDA – Una sfida importante per la teologia è comunicare al grande pubblico il rapporto tra monogenismo biblico e il poligenismo scientifico. Per la maggioranza delle persone, anche tra i cattolici, sono idee fondamentalmente contraddittorie. Cosa ne pensi?
RISPOSTA – C’è una percezione errata secondo cui i racconti della creazione esistono per “fornire dettagli sul passato” e “ampliare la nostra conoscenza della storia fino alla preistoria”, come disse Joseph Ratzinger, cosa che egli negò. Se cerchiamo la paleoantropologia nelle pagine della Bibbia, non la troveremo, né dovremmo aspettarcelo.
Dopotutto, la parola ebraica ādām (Adamo) significa “umanità”, e la parola ebraica ava (Eva) significa “vita”, “dare la vita”. E quando si ha un racconto in cui l’umanità sposa la vita, che dà alla luce tutti i viventi, si ha a che fare con qualcosa di molto più importante della scienza, ha a che fare con il significato più profondo delle cose.
DOMANDA – Qualcuno ti risponderebbe però che Pio XII si è opposto al poligenismo
RISPSOTA – Molti cattolici pensano erroneamente che Pio XII abbia dichiarato eretico il poligenismo, cioè l’idea che ci siano stati più di due primi esseri umani, forse addirittura molti.
Questa è una falsa interpretazione della Humani generis (HG), sia per quanto riguarda il suo scopo che il suo insegnamento reale. La sua natura le conferisce un certo carattere provvisorio: si tratta di quello che viene chiamato un “intervento prudenziale del Magistero”, in cui il papa mette in guardia i fedeli da nuove idee che potrebbero mettere in pericolo la fede se non affrontate con la dovuta cautela e riflessione.
Che questa sia la classificazione corretta è evidente già dal sottotitolo: “Circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica”.
Come ha osservato la Congregazione per la Dottrina della Fede, simili interventi sono legati a un contesto storico specifico e, nelle parole di Ratzinger, «non possono essere la parola definitiva su una determinata materia in quanto tale ma, nonostante il valore permanente dei loro principi, rappresentano soprattutto un segnale di prudenza pastorale, una sorta di politica provvisoria. Il loro nucleo rimane valido, ma i particolari determinati dalle circostanze possono necessitare di correzione».
È stato notato da molti teologi che Pio XII fu molto cauto nella formulazione. Scrisse che “non appare” come il poligenismo possa conciliarsi con la dottrina del peccato originale. Avrebbe potuto dire che “non può essere conciliato” con l’insegnamento cattolico definitivo, ma non lo fece. Chiaramente, stava lasciando aperta la possibilità a future scoperte scientifiche che potessero generare una teoria del poligenismo compatibile con ciò che sappiamo per fede: che il peccato originale si trasmette a tutti gli esseri umani a causa di un peccato umano reale, compiuto all’alba della storia umana.
DOMANDA – E cosa dicono le scoperte più recenti sulla possibilità di una coppia primordiale?
RISPOSTA – Dicono che non sembra affatto azzardato considerare Adamo ed Eva come simbolo di una comunità, la prima comunità ad aver compiuto il salto verso la razionalità e la libertà.
Forse i cambiamenti genetici e neurologici che ci hanno resi capaci di essere animali razionali rimasero latenti per un certo tempo, diffondendosi nella popolazione prima che quei poteri unicamente umani venissero effettivamente attualizzati. È possibile che i primi tra noi a passare dal potenziale all’effettivo nel pensiero simbolico, nel linguaggio e nella ragione si siano anche allontanati subito dalla bontà offerta da Dio, in modo simile a quanto immaginato da san Massimo il Confessore, trascinando poi gli altri in una modalità dell’essere umano segnata dal “danno relazionale”, in una comunità caratterizzata dal peccato.
Vorrei sottolineare che ciò che sto mettendo in discussione non è la realtà di un peccato originale che ha alterato radicalmente il modo in cui tutti gli esseri umani vivono e sperimentano la propria umanità, trovandosi bisognosi di un salvatore e redentore divino. Piuttosto, ciò che viene riconsiderato alla luce del progresso della scienza moderna è il modo in cui dobbiamo interpretare il contesto in cui questo peccato originale ha avuto luogo.
Come ha osservato lo stesso Ratzinger tempo fa: «Che la prima decisione dell’umanità sia stata caratterizzata da un “no” è essenziale. Se questo inizio sia stato determinato da uno o più individui non è così importante». La sostanza della fede non è ciò che è in discussione, ma solo il nostro modo di comprenderla e articolarla nel modo più ragionevole e responsabile possibile.
In ogni caso, il peccato è entrato nel mondo e, indipendentemente da quanti siano stati i primi genitori coinvolti, è certo che ha colpito l’intera umanità in modo universale. Più importante del modo in cui il peccato è entrato nel mondo, e del numero di esseri umani coinvolti, è comprendere come possa essere vinto il suo potere distruttivo.
Gesù Cristo ha spostato la linea che separa il bene dal male al di fuori del cuore umano. E concludo: “Cuore Sacro di Gesù, abbi pietà di noi!”.










7 commenti a L’evoluzione umana e la teologia, due parole con Chris T. Baglow
A mio parere il vero significato del racconto di Adamo ed Eva è che ciò che distingue l’uomo dagli altri animali è la conoscenza del bene e del male. Che l’albero proibito si chiami “albero della conoscenza del bene e del male” (cosa che tanti neppure sanno) non è un dettaglio, è il punto chiave della storia. Nel momento stesso in cui abbiamo acquisito questa conoscenza il peccato è entrato nel mondo, nel senso che è diventato qualcosa con cui dobbiamo fare i conti. Gli animali non conoscono il peccato, noi sì. Perché il peccato è fare volontariamente il male, quindi se uno non sa cosa è bene e cosa è male non può peccare. Il “peccato originale” non vuol dire che i nostri progenitori hanno commesso una colpa e noi ce la portiamo dietro, vuol dire che il peccato fa parte della nostra natura, tutti noi dobbiamo affrontare ogni giorno la scelta tra fare il bene o il male, e nessuno è capace con le sole proprie forze di scegliere sempre il bene. Quello di Adamo ed Eva è un racconto allegorico, non è necessario pensare che siano esistiti veramente e non è neanche necessario cercare di conciliare il racconto biblico con la scienza con una spiegazione del tipo “non erano in due ma a parte questo è successo davvero”.
Queste interviste sono qualcosa di fantastico, ogni venerdì aspetto di scoprire chi intervistate….temo sia quasi una dipendenza ahahaha
FORSE sarebbe stato opportuna una parola anche sulla cosiddetta “Eva mitocondriale” (cioè – a quanto ho capito – la teoria che, dagli studi sul DNA dei mitocondri, conclude che tutta l’umanità attualmente vivente discenderebbe da una donna vissuta in Etiopia/Corno d’Africa ca. 200 mila anni fa)
Scrivilo alla redazione vedrai che aggiungeranno la domanda, anche a me sembra interessante!
Intervista illuminante!
Nel suo messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze (22 ottobre 1996), san Giovanni Paolo II affermò:
“Oggi, quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’enciclica [HumaniGeneris], nuove conoscenze ci portano a riconoscere nella teoria dell’evoluzione più di una semplice ipotesi. … La convergenza, né ricercata né fabbricata, dei risultati di lavori svolti indipendentemente l’uno dall’altro costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria”.
Affermò poi una distinzione teologica fondamentale:
“Se il corpo umano ha la sua origine nella materia vivente che gli preesiste, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio”.
E aggiunse questa cautela:
“Le teorie dell’evoluzione che… considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia vivente o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità sull’uomo”.
Inoltre, ha sottolineato l’apertura epistemologica della teoria:
“La validità di una teoria dipende dalla sua verificabilità; viene costantemente messa alla prova rispetto ai fatti; quando non riesce più a spiegarli, mostra i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve quindi essere ripensata”.
Papa Benedetto XVI sull’evoluzione
Sebbene Benedetto XVI non abbia rilasciato una dichiarazione formale come san Giovanni Paolo II, la sua conferenza del 2006 “Creazione ed Evoluzione” e altri interventi hanno trasmesso una costante cautela:
Ha descritto l’evoluzione come “in gran parte indimostrabile sperimentalmente” perché, ad esempio, “non possiamo introdurre 10.000 generazioni in un laboratorio”.
Ha insistito sul fatto che l’evoluzione solleva questioni metafisiche:
“Ritengo importante sottolineare che la teoria dell’evoluzione implica questioni che devono essere attribuite alla filosofia e che a loro volta vanno oltre l’ambito della scienza”.
Nell’omelia della Veglia Pasquale del 2011, proclamò:
“L’uomo non è il prodotto casuale dell’evoluzione, ma dell’Amore creativo e redentore di Dio, che dà senso alla vita”.
Da medico sono convinto che l’evoluzione contraddice due assiomi fondamentali della termodinamica, inoltre non ha nessuna riproducibilità, mancando dell’anello di congiunzione delle specie, quindi manca del carisma metodologico galileiano. Infine, contraddice tutte le scoperte della genetica medica e della biologia molecolare: non esiste la possibilità che individui con anomalie cromosomiche maggiori (macromutanti) siano vitali, o perlomeno fecondi.
Mi rendo conto che la redazione (e il teologo intervistato) adotta una posizione favorevole all’evoluzione, cercando una sintesi teologica con il dato scientifico. Tuttavia, credo che rimanga tuttora spazio — sia scientifico che teologico — per un confronto serio e rispettoso.
Dal punto di vista metodologico, l’evoluzionismo, così come oggi proposto, appare più come una narrazione coerente che una scienza galileiana: manca di riproducibilità sperimentale, non ha formalizzazione matematica robusta, e si basa su dinamiche che sembrano contraddire i princìpi fondamentali della termodinamica e della genetica molecolare. Ricordo che vent’anni fa, in un contesto accademico, presentai queste obiezioni a un professore di genetica, il quale mi rispose: «forse la scienza ci dirà qualcosa, in futuro» — una risposta che mi è sembrata eloquente riguardo ai limiti attuali del paradigma.
Inoltre, la lettura simbolica di Adamo ed Eva — intesi come “una comunità” — richiama molto da vicino l’ermeneutica modernista di area protestante, che tende a reinterpretare simbolicamente anche altre verità teologiche fondamentali. Seppure comprendo l’intento ecumenico e prudente di approcci come quello di padre Tanzella-Nitti — che stimo e rispetto profondamente per rigore e ampiezza di visione — non posso non notare che una simile lettura rischia di compromettere la dimensione personale e storica del peccato originale, come delineata chiaramente in Humani generis e nel Catechismo.
Infine, noto con qualche preoccupazione una certa riluttanza, anche nelle università cattoliche, a proporre una riflessione critica sull’evoluzionismo, forse per timore di opporsi al mainstream scientifico internazionale, spesso agnostico o ateo. È un atteggiamento che mi ricorda, per certi versi, quello dei primi astronomi pontifici di fronte alla svolta scientista dell’umanesimo: discrezione, competenza, ma anche una certa ritirata dal dibattito teologico pubblico.
Il dialogo tra fede e scienza è essenziale, ma dev’essere autentico: e ciò significa anche saper porre domande difficili, senza rinunciare al criterio della verità.