Una difesa cattolica di Kant: non negò mai la conoscibilità di Dio

kant cattolico

Immanuel Kant si opponeva alla possibilità di conoscere Dio? Per il filosofo Pietro Calore, negava che si potesse dimostrarne l’esistenza, così come disse il Concilio Vaticano I.


 

di
Pietro Calore*
 
 
*Filosofo e scrittore

 
 

Da filosofo cristiano, continua la mia lotta (a suon di argomenti) per dimostrare le significative assonanze tra il pensiero di Immanuel Kant e notevoli aspetti della dottrina cattolica.

In questo secondo articolo, mostrerò come sia falsa l’accusa che gli viene rivolta di negare la (solo presunta) verità di fede per cui l’esistenza di Dio sarebbe “dimostrabile”.

 

La ragione pura e i suoi limiti

Secondo Kant, la ragione umana è la facoltà di inferire logicamente1I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. I, sezione II, p. 387.

In prima istanza, la ragione ha un’attività puramente conoscitiva (“teoretica”): inferire a partire dalla conoscenza sensibile del mondo esterno; tale “ragione teoretica” viene definita da Kant anche “ragione pura”.

Sollecitato dalle obiezioni scettiche dei filosofi empiristi suoi contemporanei, Kant diede come scopo alla propria indagine filosofica di delimitare le possibilità della ragione umana, per provare a rispondere almeno a tre domande2I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dottrina del metodo”, lib. I, cap. II, sez. II, p. 785 che – a sua detta – assillano da sempre l’umanità:

1. Cosa possiamo sapere?
2. Cosa dobbiamo fare?
3. Cosa abbiamo diritto di sperare?

Tale ricerca è detta da Kant “critica (trascendentale)”, da cui il titolo della sua prima opera sistematica: “Critica della Ragione Pura” (1781).

 

Kant e l’indimostrabilità di Dio

Qui Kant prova a rispondere alla prima domanda e giunge a una conclusione.

Solo in ambito matematico, geometrico e fisico l’essere umano può giungere a conoscenze dimostrabili. Arrivato alla fisica, Kant constata come la ragione pura tenda innatamente a cercare di dimostrare un fondamento metafisico incondizionato per ogni nostra esperienza fisica sempre condizionata3I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. I, sez. III, pp. 389-393.

Alla base delle nostre esperienze interne, cioè i nostri pensieri, la ragione pura tende da sempre a porre l’idea di “anima” come “totalità dei nostri pensieri”; alla base di quelle esterne, cioè i fenomeni naturali, l’dea di “mondo” come “totalità dei fenomeni esterni”; infine l’idea di “Dio” come “totalità di tutti i fenomeni”, cui attribuisce una serie di proprietà logicamente conseguenti4I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. I, cap. III, sez. III, pp. 608-609.

Ora, tutta la critica che Kant rivolge a queste “idee della ragione”5I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. I, sezione II, pp. 380; 385 ss non è di essere delle fandonie, affatto!

Il punto è che, semmai, sono idee tanto ragionevoli quanto intrinsecamente prive di alcun riscontro empirico possibile, sicché la ragione pura inevitabilmente non riesce a dimostrarne l’esistenza né la verità delle loro proprietà, e quando ci prova, giunge a esiti contrastanti6I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. II, cap. I, pp. 427-431; cap. II pp. 467-519; cap. III, sezz. III-VII pp. 617-657.

Da ciò il vortice di contraddizioni che è l’«arena»7I. Kant, “Critica della ragion pura”, intr. trad. e note di G. Colli, Milano 2014, “Dialettica trascendentale”, lib. II, cap. II, sez. II, p. 481 della storia della metafisica: tra chi pensa che l’anima esista o no, che il mondo sia infinito o meno e che Dio esista o no.

 

Kant non contraddice il Concilio Vaticano I

A detta di molti, queste conclusioni di Kant confliggerebbero con l’affermazione dogmatica del Concilio Vaticano I (d’ora in poi CVI) per cui:

«Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema»8Concilio Vaticano I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, Canone II, § 1.

Ora, se fosse vero che l’autentica interpretazione di queste righe è che l’esistenza di Dio sarebbe “dimostrabile” dalla ragione umana, per cui Kant ne verrebbe condannato, non si comprende come lo stesso CVI possa sancire poche righe dopo:

«Se qualcuno dirà che l’assenso alla fede cristiana non è libero, ma che si produce necessariamente dagli argomenti della ragione umana; ovvero che la grazia di Dio è necessaria alla sola fede viva che opera per la carità: sia anatema».

Se, a fronte di una “conoscenza certa” dell’esistenza di Dio procurata dalla ragione, l’assenso alla fede cristiana deve – a detta dello stesso CVI – continuare a essere considerato libero e non necessitato dalla ragione stessa, è evidente che il CVI non può intendere tale “conoscenza certa” di Dio nei termini di una sua “dimostrazione”.

Parola che, infatti, non usa, dimostrando di comprenderne l’estraneità all’ambito teologico e la giusta collocazione nell’ambito matematico, geometrico e fisico, in cui, per definizione, indica una prova inoppugnabile della verità o dell’esistenza di qualcosa, verso cui la ragione correttamente può esigere un assenso necessario.

Con ogni evidenza, per il CVI, Dio non è “dimostrabile” a partire dal mondo fisico ma è conoscibile in modo tale da poterne trarre informazioni rigorose pur lasciando margine alla libertà umana di scegliere a favore o contro la sua esistenza e la loro verità.

 

Nulla in conflitto con Kant, lo abbiamo visto. Anzi, pura filosofia kantiana, ma lo vedremo nel prossimo articolo.

Kant vs detrattori: 2-0.

 


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Autore

Pietro Calore

5 commenti a Una difesa cattolica di Kant: non negò mai la conoscibilità di Dio

  • Giuseppe ha detto:

    Bisogna distinguere le due cose: il primo dogma ci dice appunto che chiunque può arrivare tramite l’uso della ragione alla conoscenza di Dio. Il secondo parla di assenso alla fede cristiana, quindi dobbiamo credere che Cristo è figlio di Dio, vero uomo e vero Dio, seconda persona della Santissima Trinità. Va da sé che queste verità, se non ci fossero state rivelate, non sarebbero alla nostra portata, da qui deriva la necessità del nostro assenso.

    • Pietro Calore ha risposto a Giuseppe:

      Mi sembra che questa obiezione non tenga ben conto delle parole del documento conciliare.
      Il primo anatema NON dice che chiunque può arrivare tramite l’uso della ragione alla conoscenza solo “di Dio” (come dici), quasi che il CVI intenda qui un Dio generico non per forza interno alla fede cristiana. Piuttosto, il primo anatema parla della conoscenza de “l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore”.
      Ora, quel che non ho potuto argomentare nel testo per motivi di spazio è la seguente cosa: a me sembra che questi attributi divini non siano puri e semplici “preamboli della fede” esterni alla fede cristiana e condivisibili da chiunque non condivida la nostra rivelazione; S. Tommaso, per esempio, nella q. II a. III della prima parte della Summa, arriva ad attribuire diversi attributi a Dio ma non quello di “unico” (di fatto le sue 5 vie potrebbero dimostrare 5 enti divini diversi, è un punto controverso ancora oggi) né di “Creatore” (a meno di forzare oltre i limiti dell’onesto i termini di “motore immobile” e di “causa efficiente prima”, che di fatto si potrebbero attribuire al Dio di Aristotele e al demiurgo platonico, entrambi co-eterni al mondo) né benché meno di “Signore”.

      Dunque, quel che il CVI di fatto dice è che anche alcune verità della fede cristiana – quelle più fondamentali mi viene da dire – sono conoscibili con certezza dalla ragione e sono quindi in armonia con essa: precisamente l’esistenza di un Dio unico, Creatore e Signore.
      Anzi mi sembra, anche alla luce del resto del documento, che quel che al CVI premeva dire fosse proprio questo: cioè l’armonia tra ragione e fede!
      Ne consegue che, nel momento in cui sempre il CVI afferma che l’assenso alla fede cristiana deve essere libero e non necessitato dalla ragione, lo deve intendere anche circa l’assenso all’esistenza di un Dio quale “unico, Creatore e Signore” benché si tratti (a differenza che di altre verità di fede, che tu citi) di verità anche conoscibili con certezza (poniamo per un principio di economia, p.es.) dalla sola ragione.
      Conclusione: questa “conoscenza certa” di Dio (unico ecc.), non potendo implicare un assenso necessario, non è una Sua “dimostrazione”.

      E Kant si trova del tutto d’accordo su questo: il Dio della fede cristiana (unico, creatore e Signore, lo vedremo nel prossimo articolo) è attingibile dalla ragione ma non dimostrabile, e prendere parte a favore della sua esistenza con questi attributi (non solo per il fatto di essere trino, avere un figlio che si è fatto uomo ecc.) resterà sempre oggetto di scelta libera.

  • Giuseppe ha detto:

    Affido il mio pensiero a chi è più titolato di me su questi argomenti, Padre Angelo Bello OP docente di teologia morale. Le sue parole mi sembrano molto chiare.

    Il Magistero della Chiesa è intervenuto con i dogmi riguardanti la possibilità di conoscere l’esistenza di Dio proprio quando è stata messa in discussione la capacità della nostra intelligenza di conoscere il reale. Kant non ha forse insegnato questo?
    Il pensiero di Kant esercitò un grande fascino nel secolo XIX, anche presso molti pastori e sacerdoti.

    3. Certamente vi sono filosofi fermamente convinti non solo della conciliabilità tra fede e ragione, ma anche e soprattutto della fecondità del reciproco rapporto, che giova sia alla fede, che diventa più credibile, sia della ragione, che porta alle soglie del mistero. Ma in genere i maîtres a penser sono di altro sentire.

    4. Non è necessaria la fede per giungere alla conclusione dell’esistenza di Dio e di alcune sue perfezioni.
    È necessaria la fede, e cioè la mozione interiore da parte di Dio, per aderire alla Rivelazione da lui data. I contenuti della Rivelazione sono di ordine soprannaturale e nessuno può giungervi con le sole risorse della ragione.
    Ad esempio: credere alla divinità di Cristo è un dato di ordine soprannaturale. Per aderire a questo è necessario che Dio illumini la mente, muova il cuore e che l’uomo non resista all’impulso della grazia.
    Per questo Gesù ha detto: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44).

    • Pietro Calore ha risposto a Giuseppe:

      Caro Giuseppe, il testo dell’ottimo Padre Angelo è una riproposizione del tuo precedente commento e mi spiace che, di fatto, sia l’ennesima riproposizione di un pregiudizio anti-kantiano (proprio quello che io lamento, d’altra parte, e per cui sto scrivendo questi articoli). Kant non ha banalmente messo “in discussione la capacità della nostra intelligenza di conoscere il reale”. E si potrebbe dire altro, ma ho già scritto a bastanza.
      Questo secondo commento non risponde ad alcuno dei punti da me sollevati nel mio articolo e nella mia risposta al primo commento: a tutti gli effetti è un ricorso all’autorità, purtroppo però poco calzante.

  • Giuseppe ha detto:

    Caro Pietro, ricorro all’autorità perché io non ho di fatto titoli per andare oltre quello che ho già detto. Il fatto che il Padre Angelo, del quale leggo costantemente le risposte, affermi quello che dico io mi fa piacere, perché vuol dire che il suo sforzo per la diffusione delle verità di fede non è vano.
    Voglio provare però a risponderti soprattutto su un argomento che hai posto, cioè che:”Il primo anatema NON dice che chiunque può arrivare tramite l’uso della ragione alla conoscenza solo “di Dio” (come dici), quasi che il CVI intenda qui un Dio generico non per forza interno alla fede cristiana”
    Secondo me non è corretto quello che dici sostanzialmente per un motivo: una volta che l’intelletto ha raggiunto la consapevolezza che esiste un unico Dio, il Dio creatore di tutte le cose che possiede tutte le perfezioni, questo Dio, non può essere un Dio generico, ma può essere solo il Vero Dio, quello che adorano le tre grandi religioni monoteiste. Affermare quello che dici tu significa dire che gli ebrei non conoscono il vero Dio in quanto non aderiscono al cristianesimo, ma piuttosto conoscono un Dio generico, ma quello che insegna la Chiesa Cattolica non è questo sulla conoscenza di Dio da parte del popolo ebraico. Con la sola forza della ragione non possiamo arrivare a un Dio che sta all’interno della religione cristiana, perché per quello serve la rivelazione ed il nostro atto di assenso ad essa.
    Detto questo, io non ci vedo niente di male nel ricorrere alle parole autorevoli di chi ne sa più di me, e purtroppo constato che tu non sei disposto ad accettare questa autorità di un padre che appartiene al glorioso ordine Domenicano. Implicitamente stai accusando il padre di usare preconcetti su Kant, come se egli non lo avesse studiato e si fosse fatto una propria opinione, mi sembra un’argomentazione che manca dell’adeguata umiltà. Io ti invito a pensare bene prima di interpretare un dogma della Chiesa a tuo piacimento, i dogmi sono materia non soggetta a disputa teologica e se la Chiesa ha proclamato quel dogma è proprio perché c’erano filosofi come Kant che affermavano che la conoscenza del vero Dio non era possibile solo tramite la ragione.

    Un saluto fraterno