Dietro il mito di Ipazia: cosa non dice Silvia Ronchey

ipazia Silvia Ronchey

La leggenda su Ipazia d’Alessandria. La bizantinista (femminista) Silvia Ronchey parla della “martire laica”, ne esalta la scienza, l’uccisione in nome del cristianesimo e le colpe del vescovo Cirillo. Tutto falso.


 

Sono anni che Silvia Ronchey ci parla di Ipazia d’Alessandria. O, più precisamente, del mito di Ipazia.

Nel suo ultimo articolo su “Repubblica” (anche qui), la nota bizantinista e docente all’Università di Roma Tre, rilancia una tesi suggestiva ma priva di solide fondamenta: l’identificazione di santa Caterina d’Alessandria come una sorta di trasfigurazione cristiana della filosofa pagana Ipazia.

Seguendo l’interpretazione di Anna Jameson — autodidatta, scrittrice ottocentesca di storia dell’arte e pioniera dei female studies — Ronchey presenta Caterina come una “santa-fantasma” e Ipazia d’Alessandria come la consueta martire del razionalismo, vittima della brutalità cristiana.

Ma dietro questa narrazione si celano forzature storiografiche e un uso disinvolto delle fonti, che meritano di essere esaminati.

 

Santa Caterina modellata su Ipazia?

La tesi del “trasfert agiografico” tra Caterina e Ipazia è nota: nacque appunto con la Jameson, che rilesse molte figure storiche e leggendarie in chiave proto-femminista.

Certamente, le problematiche relative alla storicità di santa Caterina sono note — basti ricordare la sua temporanea esclusione dal calendario liturgico nel 1969, poi reintegrata nel 2002 per il suo valore simbolico. Alcuni studiosi moderni hanno ipotizzato affinità tra le due figure, basandosi su tratti narrativi comuni: cultura, verginità, morte violenta.

Christine Walsh, tuttavia, pur riconoscendo alcuni parallelismi, conclude che non vi siano prove sufficienti per sostenere che Caterina sia una creazione basata su Ipazia1C. Walsh, The Cult of St Katherine of Alexandria in Early Medieval Europe, Aldershot 2007, p. 143.

 

Ronchey ripropone il mito di Ipazia

Il lungo sforzo di Ronchey — da sempre sensibile al tema del femminismo — su Ipazia si basa su un’immagine distorta degli eventi. Orgogliosamente trasformata in una proto-femminista e, già che ci siamo, in una “santa laica”, martire del pensiero scientifico e perseguitata dal cristianesimo.

Ronchey scrive che Ipazia, figlia di Teone, «un celebre matematico», studiò filosofia e scienza fin da bambina, dirigendo presto una delle principali scuole di Alessandria.

La descrive come esperta di Platone, Euclide e Apollonio di Pergamo, autrice di «libri scientifici», bellissima (poteva mai essere brutta?!), pura e disinteressata alla vanità. Fu anche risoluta, ci dice Silvia Ronchey, a «proclamarsi cristiana» ed era amica del governatore di Alessandria, Oreste.

Così, continua la studiosa, «un manipolo di quei fanatici sciagurati» la assassinarono «con rivoltante barbarie». Una «santa laica, e vergine e martire laica», precisa Ronchey, massacrata non dall’imperatore ma «dal “faraone” del monofisismo egizio, Cirillo», cioè il vescovo della città.

La polpetta leggendaria di Ipazia d’Alessandria è cucinata ancora una volta, senza pudore.

Fortunatamente la studiosa italiana evita alcuni dei classici dettagli usati per enfatizzare ulteriormente il mito di Ipazia: le false citazioni, le invenzioni scientifiche (astrolabio, eliocentrismo, ecc.) e il famigerato raschiamento delle ossa con gusci d’ostrica (vedi Edward Gibbon).

Resta però un fatto: ciò che Ronchey scrive è, nella migliore delle ipotesi, selettivo e impreciso. Non siamo ai livelli del film Agora (2009) di Alejandro Amenábar, ma poco ci manca.

 

Ipazia, una celebre scienziata?

Cominciamo dal mito della “scienziata”, magari pure razionalista.

È vero che fu avviata agli studi dal padre Teone, ma Ronchey omette che quest’ultimo scrisse ampiamente di divinazione e presagi leggibili dal comportamento degli uccelli. Non proprio tematiche distintive di un irreprensibile razionalista.

Ipazia stessa non inventò nulla e non lasciò opere originali: si limitò a commentare autori precedenti. Secondo Wilbur Knorr, storico della matematica a Stanford, il suo lavoro sull’Arithmetica di Diofanto è di un «così basso livello da non richiedere alcuna vera comprensione matematica»2W. Knorr, “Textual Studies in Ancient and Medieval Geometry”, Birkhauser 1990.

L’esagerata enfatizzazione della “visione scientifica” di Ipazia ha evidentemente l’unico scopo di accreditare ancor di più il mito storico della “martire della scienza uccisa dall’ignoranza religiosa”.

 

Ipazia, l’astrologia e gli Oracoli caldei

Secondo le fonti, Ipazia fu invece un’ottima insegnante — qualità trascurata da Ronchey — che impartiva lezioni nella propria casa a un gruppo selezionato di allievi.

Filosoficamente aderì al neoplatonismo di Plotino, con la sua visione metafisica dell’Uno, dell’Intelletto e dell’Anima: un sistema ben più vicino al pensiero cristiano di quanto si pensi. Plotino stesso fu allievo del cristiano Ammonio Sacca e influenzò pensatori cristiani come Origene, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno.

Un altro dettaglio rimosso è la presenza tra i suoi studenti di cristiani come Sinesio di Cirene, futuro vescovo.

Ipazia, seguendo le orme del padre, discusse anche degli Oracoli caldei legati alla sapienza egizia, ed è noto un commentario su Almagesto di Tolomeo, dove si affronta quel che oggi chiameremmo astrologia. Come i neoplatonisti di allora, credeva in un gran numero di divinità ed esseri angelici e i moderni troverebbero alquanto bizzarri i suoi insegnamenti.

Questo è anche il motivo per cui Silvia Ronchey non fa alcun accenno di tutto ciò.

 

La disarmante bellezza della giovane Ipazia

Quanto alla sua esuberante bellezza, l’unica fonte che ne parla è Damascio, autore della Vita di Isidoro (opera perduta e citata nel X secolo).

Peccato che Damascio non abbia mai visto Ipazia, essendo nato mezzo secolo dopo la sua morte. È sempre lui a definirla vergine, informazione non attestata da fonti più antiche, come quella di Socrate Scolastico, anche se compatibile con l’etica neoplatonica.

Non ci sarebbe nulla di male nella bellezza di Ipazia, ma non si considera che all’epoca della sua morte, la donna aveva probabilmente circa 65-70 anni. Una circostanza poco compatibile con il mito della giovane bellissima martire.

 

Ipazia d’Alessandria, martire del cristianesimo?

Infine, il suo assassinio.

Fu effettivamente un delitto barbaro, compiuto da fanatici cristiani noti come parabalani. Ma Ronchey ne fraintende il movente: non fu un rifiuto del cristianesimo a causare la morte, bensì il tragico epilogo di un tumultuoso scontro politico, tipico della città di Alessandria.

Non c’era alcuna rivalità tra il pensiero di Ipazia e quello dei cristiani di Alessandria, i vari studenti cristiani che si recavano da lei ne sono una prova. Sinesio di Cirene rimase in contatto con lei anche dopo la sua elezione a vescovo.

Il già citato Socrate Scolastico, unica fonte vicina ai fatti, parla chiaramente di una «gelosia politica» come causa dell’omicidio e, pur essendo favorevole al governatore Oreste e contrario al vescovo Cirillo, non accusa quest’ultimo, ma un gruppo guidato da «il lettore Pietro». Se avesse avuto prove contro Cirillo, le avrebbe certamente scritte.

Per tutti gli approfondimenti e per conoscere la bibliografia a supporto di quanto scritto inviamo al dettagliato dossier che abbiamo dedicato a Ipazia d’Alessandria e alla sua tragica morte.

 

Ipazia merita rispetto

Dispiace che una studiosa del calibro di Silvia Ronchey, nota per la sua erudizione, ceda alla mitologia quando si parla di Ipazia. Lo ha fatto più volte, anche nei suoi libri.

E dispiace anche che non dedichi mai la stessa attenzione a casi analoghi, come le vergini cristiane di Eliopoli, spogliate, squartate e uccise durante il regno dell’imperatore pagano Giuliano per essersi rifiutate di praticare la prostituzione sacra.

Forse le martiri cristiane valgono meno?

La figura di Ipazia merita rispetto, non manipolazione. Trasformarla in una “santa laica, atea e razionalista” uccisa dal cristianesimo è un’operazione ideologica. Tali sforzi si basano su ricostruzioni che non reggono al vaglio della storiografia.

Il vero “phantasma“, a ben vedere, non è la biografia di santa Caterina, ma l’immagine idealizzata — e profondamente falsata — di Ipazia.

 


Leggi il dossier UCCR:

“Il falso mito di Ipazia, la morte e il vescovo Cirillo”

Autore

La Redazione

6 commenti a Dietro il mito di Ipazia: cosa non dice Silvia Ronchey

  • LambertoXVI ha detto:

    E’ un po’ che mi chiedevo infatti perché Socrate Scolastico non fosse mai citato dai revisionisti della storia, quando è la fonte più vicina ai fatti. Si parla solo di Damascio o addirittura di Giovanni di Nikiu che vissero parecchio tempo dopo. Tra l’altro Socrate non era nemmeno filo-cirilliano quindi è anche una fonte più che attendibile. Chissà se Silvia Ronchey vorrà intervenire come è itnervenuto l’altro giorno Cicero Moraes (quello della Sindone creata con una scultura!)

  • Paolo ha detto:

    Ottimo articolo con puntualità approfondimenti di alto livello storico.

  • Roberto DiSostanza ha detto:

    Ipazia era una scienziata e fu uccisa dai cristiani, dov’è l’errore? Perché si dovrebbe parlare delle “vergini cristiane” quando si sta parlando di un altro argomento?

    • Otto ha risposto a Roberto DiSostanza:

      Ipazia era una scienziata

      Racconta, racconta che mi interessa. Dimmi tutto quello che sai e citami le fonti storiche

  • Roberto DiSostanza ha detto:

    Mi sembra abbastanza per dimostrare la violenza e l’ignoranza dei cristiani:

    In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici.
    Il governatore della città l’onorò esageratamente perché lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche

    Tratto della Cronaca di Giovanni di Nikiu, un vescovo cristiano attivo ad Alessandria nel VII secolo, dove si ritiene che l’omicidio di Ipazia fosse stato un grande merito del vescovo Cirillo.

    • Otto ha risposto a Roberto DiSostanza:

      Tratto della Cronaca di Giovanni di Nikiu

      Ma guarda un po’, sei andato a pescare una fonte che scrive 280 anni dopo la morte di Ipazia.

      Domanda facile facile: come mai non hai preferito la fonte di Socrate Scolastico, che scrisse 25 anni dopo la morte di Ipazia? Sai perché? Perché Socrate Scolastico è l’unica fonte coeva ai fatti e riporta le cose come stanno: Ipazia fu uccisa da una folla di fanatici per questioni politiche, non religiose.

      Si casca sempre sul più bello