Esistevano altre storie sul sepolcro vuoto nell’antichità?

sepolcro vuoto

Un’analisi del tentativo di studiosi scettici di screditare la storia del sepolcro vuoto di Gesù creando parallelismi forzati con storie e romanzi della letteratura greca e pagana.


 

Fare storia non per il piacere e la passione di farla, ma per smentire verità scomode.

E’ questo l’obbiettivo di vari studiosi scettici del cristianesimo, guidati dall’agnostico Bart D. Ehrman, docente dell’Università della Carolina del Nord.

I racconti della resurrezione di Gesù non si armonizzano con la sua visione esistenziale e da anni prova a confutarne la premessa più diretta: la sepoltura. E’ infatti convinto che il Nazareno sia stato gettato in una fossa comune, poco importa che sia in perfetta solitudine nel mondo accademico.

Ma questo non è un articolo sulla sepoltura ma sul ritrovamento del sepolcro vuoto. Il tentativo è ammiccare al fatto che non sarebbe stato un racconto originale degli evangelisti, ma vi sarebbero altre storie simili da cui potrebbero essersi inspirati.

Non lo ha detto in prima persona Ehrman, ma ha ospitato sul suo canale YouTube una sua collega, ovvero Robyn Walsh, associata di Nuovo Testamento e Cristianesimo Antico presso l’Università di Miami.

 

Il parallelismo pagano sul sepolcro vuoto

Nel video che commentiamo, Walsh ha domandato: il racconto sul sepolcro vuoto «è qualcosa di esclusivo del cristianesimo? La risposta è no, e posso farvi qualche esempio».

In realtà ne farà uno solo, mentre gli altri li citerà più per riempire il tempo restante al realizzare un video superiore ai 10 minuti.

Walsh usa come possibile parallelismo ai racconti evangelici un brano intitolato “Le avventure di Cherea e Calliroe”, romanzo scritto da Caritone di Afrodisia in epoca ellenistica, nel quale si descrivono le gesta di due giovani innamorati siracusani.

E già con queste poche informazioni si potrebbe terminare l’articolo in quanto è davvero coraggiosa l’ipotesi che i quattro autori ebrei, in maniera indipendente tra loro, si siano fatti improvvisamente inspirare da una storia della narrativa romantica pagana, e solo per quanto riguarda il sepolcro vuoto.

Se però scegliamo di proseguire ad ascoltare Robyn Walsh, noteremo subito una sua omissione significativa mentre racconta il passaggio chiave de “Le avventure di Cherea e Calliroe”: «Succede che Calliroe muore e il suo potenziale fidanzato ne viene a conoscenza. E naturalmente vuole recarsi sulla sua tomba per renderle omaggio».

No, Caritone di Afrodisia non scrive esattamente questo.

All’inizio del romanzo, il giovane Cherea ha un raptus di gelosia e prende a calci selvaggiamente la promessa sposa Calliroe ammazzandola, almeno apparentemente. Evidentemente Walsh omette questa parte per non rendere ancora più surreale l’idea che gli evangelisti abbiano potuto inspirarsi a una storia del genere.

 

Il problema della datazione

Caritone prosegue raccontando che dopo un faraonico funerale, Calliroe viene sepolta assieme a grandi tesori. Nella notte, però, dei tombaroli entrano e saccheggiano la tomba e in quel momento la giovane si risveglia in quanto non era realmente morta.

I tombaroli decidono allora di portare via Calliroe assieme al tesoro e quando il marito Cherea giunge al sepolcro, intenzionato a suicidarsi, trova la tomba aperta e vuota. Non riuscendo a capire che fine avesse fatto il corpo della moglie, il giovane si rivolge agli dei chiedendo loro chi fosse «il suo rivale in amore che ha rapito Calliroe e ora la tiene con sé contro la sua volontà, costretta da un destino più potente? Sembra che io abbia una dea per moglie senza saperlo».

Citando queste parole, la studiosa americana Robyn Walsh interpreta il racconto con l’idea di un’ascensione corporea e il cambio di status da umano a divino che la tomba vuota ha rappresentato per Cherea.

Walsh è intellettualmente onesta dall’affermare che «i romanzi greci risalgono attorno all’inizio del II secolo». Effettivamente è quanto sostenuto anche dalla celebre papirologa italiana Orsolina Montevecchi1O. Montevecchi, La papirologia, Vita e Pensiero 1988, p. 392, che datò il testo tra la fine del I e l’inizio del II secolo.

Alcuni invece fanno risalire il testo addirittura alla metà del I secolo2E.P. Cueva, “Plutarch’s Ariadne in Chariton’s Chaereas and Callirhoe”. American Journal of Philology 1996, pp. 473–484 3B.P. Reardon, Collected Ancient Greek Novels, University of California Press 2019, pp. 17, 18.

In realtà è poco importante se “Le avventure di Cherea e Calliroe” siano databili al II secolo o a metà del I. I racconti sulla sepoltura di Gesù, sul ritrovamento della tomba vuota e sulla resurrezione, fanno parte di tradizioni orali e scritte che circolarono già a partire dalla metà degli anni Trenta, quindi perlomeno 20 anni prima che Caritone di Afrodisia scrisse il suo romanzo. Furono infatti riprese da Paolo nella sua Prima lettera ai Corinzi, datata generalmente nel 50-55 d.C.

Tra l’altro lo riconosce perfino B.D. Ehrman quando scrive:

«Paolo deve aver incontrato Cefa e Giacomo tre anni dopo la sua conversione, ricevendo le tradizioni che riportò nelle sue lettere, verso la metà degli anni Trenta, diciamo nel 35 o nel 36 d.C Le tradizioni che ereditò erano, ovviamente, più vecchie e risalivano probabilmente a 2 anni dopo, circa, la morte di Gesù»4B.D. Ehrman, “Did Jesus Exist?”, HarperCollins Publishers 2012, pp. 132, 166.

Ne abbiamo parlato dettagliatamente nel nostro dossier sulle 10 prove storiche a favore della resurrezione.

 

Caritone conosceva il sepolcro vuoto di Gesù

Chi si è occupato approfonditamente dei parallelismi tra i racconti evangelici e il testo di Cartone di Afrodisia è Daniel A. Smith, professore di Teologia del Nuovo Testamento alla Huron University.

Analizzando il romanzo greco, lo studioso annota: «Il lettore di Cherea e Calliroe non confonderebbe la rianimazione (resuscitation) di Calliroe con qualcosa di simile alla resurrezione (resurrection), quindi ciò che le accade non è affatto un parallelo adatto a ciò che i Vangeli affermano sia accaduto a Gesù».

Tuttavia, alcune similitudini sono innegabili, tra cui la visita alla tomba nelle prime ore del mattino, una pietra spostata dall’ingresso, una reazione di paura, una ricerca infruttuosa del corpo e una spiegazione data per la sua assenza.

Ma, anche considerando la datazione successiva ai testi neotestamentari del brano pagano, ciò che lo studioso conclude è che «è possibile, come alcuni hanno suggerito, che queste somiglianze derivino dalla conoscenza di Caritone di storie o voci sulla tomba vuota di Gesù, anche se è difficile dire esattamente quando scrisse il romanzo o quanto ampiamente tali storie o voci fossero diffuse a quel tempo».

Quindi se proprio si vuole vedere un parallelismo, è l’autore greco che si ispira ai testi cristiani e non il contrario.

Oltretutto, aggiunge Smith, mentre i Greci ritenevano possibile che una persona morta venisse divinizzata dagli dèi, gli Ebrei (compresi gli evangelisti) «consideravano l’assunzione come il modo in cui Dio salvava alcuni individui straordinariamente fedeli dall’esperienza della morte. Perciò quasi sempre si trattava di una persona viva che veniva benedetta da Dio».

 

Il Satyricon di Petronio una parodia cristiana?

Gli altri esempi che la studiosa Robyn Walsh usa sono da lei stessa definiti «un po’ meno chiari», arrivando a citarne soltanto uno: la “La matrona di Efeso” di Petronio, contenuta nel “Satyricon”.

Nel brano di Petronio una vedova si reca al sepolcro del marito morto e viene consolata da un soldato romano, con il quale intrattiene una relazione sessuale per tre notti all’interno della tomba. Alla terza notte, appesero il corpo del marito defunto su una croce e la gente, l’indomani, si domandò perché la tomba fosse vuota e come l’uomo fosse salito sulla croce.

Non si capisce bene perché Walsh abbia citato questo episodio in cui nemmeno lei vede alcuna correlazione.

Tra l’altro è opinione abbastanza condivisa che Petronio possa aver realizzato una beffarda parodia del Vangelo di Marco con il suo Satyricon, teoria in cui l’Italia ha avuto un ruolo importante grazie ai lavori di Ilaria Ramelli5I. Ramelli, “Petronio e i Cristiani: allusioni al Vangelo di Marco nel Satyricon?”, in “Aevum” LXX, 1996, pp. 75-80 e Marta Sordi6M. Sordi, Il Vangelo di Marco a Roma. Considerazioni sul Satyricon di Petronio, Centro Culturale di Milano 23/09/1996.

 

Esistevano altre storie di sepolcri vuoti nell’antichità simili a quella nei racconti evangelici? No, non esistono paralleli possibili se non forzature di un episodio tratto dalla narrativa greca scritto successivamente alle tradizioni cristiane.

Piuttosto che spiegare l’origine della fede ricorrendo a romanzi d’amore o a satire grottesche, sarebbe forse più onesto mettersi il cuore in pace e riconoscere la validità della testimonianza cristiana, così precocemente attestata e così profondamente trasformativa nella storia dell’umanità.

Del resto, quando si è troppo impegnati a cercare parallelismi per sminuire l’originalità di un evento, forse è proprio perché quell’evento continua, ostinatamente, a interpellarci.

Autore

La Redazione

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