I credenti vogliono insegnare come vivere o morire?

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L’editorialista Michele Serra accusa i credenti di voler imporre la loro visione sul suicidio assistito, insegnando agli altri come vivere o morire. Un’accusa contraddittoria visto che, lui stesso, cerca di fare (legittimamente) lo stesso pur fingendo di rimanere neutrale.


 

Nel suo editoriale di ieri, Michele Serra attacca i credenti che vogliono “imporre” agli altri le loro idee.

Né lo Stato, né la Chiesa, né i comitati etici, dice, hanno il diritto di “sindacare” sulla scelta privata di una persona che vuole morire.

Serra, su “Repubblica” interviene a seguito del primo caso in Toscana di suicidio assistito dopo l’approvazione della legge regionale e del disegno di legge attualmente in discussione al Senato.

Un editoriale, quello di Michele Serra, che tradisce molte delle contraddizioni dei favorevoli alla morte assistita.

 

Il suicidio di Stato non è una scelta privata

Innanzitutto emerge la confusione tra “scelta privata” e “richiesta pubblica”.

Serra afferma infatti che non vorrebbe essere al posto di chi dovrà decidere, scrive, e pensa che «nessuno abbia il diritto di sindacare, o di moraleggiare, su una decisione così strettamente privata».

Qualunque posizione contraria al suicidio, trapela dal pensiero di Serra, sarebbe «un’intromissione indebita».

Qui iniziano i primi problemi perché se fosse davvero una questione esclusivamente privata allora nessuno chiederebbe allo Stato, ai medici, al servizio sanitario nazionale di intervenire attivamente e “pubblicamente” per procurare la morte.

Come osserviamo nel nostro dossier sulle ragioni “laiche” contrarie al suicidio assistito, se ognuno ha il diritto di vivere e morire con dignità non esiste giuridicamente alcun diritto di pretendere che qualcuno (i medici, lo Stato o altri) siano complici del proprio suicidio.

Questo è un passaggio fondamentale su cui cadono in tanti: ogni volta che si chiede allo Stato di “aprire” al suicidio assistito si dimostra che non si tratta più di un gesto intimo, ma di un atto sociale, istituzionale. E lo Stato e i governi hanno il dovere — etico e giuridico — di valutare ciò che autorizzano o rifiutano, soprattutto se coinvolge la vita e la morte.

 

I “Soldati della Fede” vogliono plasmare la società?

A Michele Serra inoltre invece infastidiscono tremendamente i «vari Soldati della Fede che vogliono plasmare la società, dunque la vita degli individui», che l’attuale governo avrebbe come consulenti.

Senza accorgersene, lui stesso rientra tra questi Soldati della (non) Fede in quanto vorrebbe plasmare la società, dunque la vita degli individui, con una legge sul suicidio assistito che impone a tutti, favorevoli o contrari, un’ideologia che cambia la cultura (Lex creat mores), il linguaggio, le aspettative della società e induce nei più fragili il concetto del “dovere di morire” per non sentirsi un peso.

Lo ha spiegato nei giorni scorsi un intellettuale laico francese, Alain Minc, giusto per sottolineare un altro errore di Michele Serra nel ridurre l’opposizione al suicidio a una visione esclusivamente confessionale.

 

La finta neutralità di Michele Serra sul suicidio assistito

Infine, l’editorialista Serra pone la nota domanda retorica: «Perché i non credenti non pretendono di insegnare ai credenti come vivere e morire, e i credenti sì?».

Innanzitutto, credenti e non credenti che si oppongono al suicidio legale non vogliono imporre scelte spirituali ma che lo Stato in cui vivono non si trasformi in dispensatore di morte legale.

E’ certamente una richiesta pubblica, che vale per tutti, per proteggere i fragili, i depressi e i soli da una cultura subdola che sussurra: “Puoi farla finita, basta che ti convinci”. E’ nostro diritto concorrere al bene comune con gli strumenti democratici che lo Stato ci consente.

Ma lo stesso fa Michele Serra, assieme ai credenti e non credenti favorevoli al suicidio assistito, in quanto non si limitano a “scegliere per sé” ma pretendono che la società metta a disposizione strumenti legali, medici e culturali per la morte volontaria.

Lo stesso Serra, inoltre, da anni cerca di imporre (legittimamente) la sua visione del mondo e insegnare come vivere e morire, ad esempio contrastando il diritto all’obiezione di coscienza (nell’ambito dell’aborto), pretendendo che i medici partecipino ad atti contrari alla propria etica o trattando ogni posizione contraria come fanatismo religioso.

Vuole indossare il vestito della neutralità ma non è affatto neutrale, è solo la maschera di un’ideologia che vuole imporsi pubblicamente.

La verità è che nessuna visione dell’uomo è neutra: ogni scelta legislativa, educativa, sanitaria esprime una certa antropologia. Noi lo ammettiamo apertamente, i vari Michele Serra, invece, fingono di essere neutrali.

E questa è la più sottile delle ipocrisie.

Autore

La Redazione

6 commenti a I credenti vogliono insegnare come vivere o morire?

  • Paolo Giosuè ha detto:

    Michele Serra accusa i credenti di voler imporre la propria visione morale sul suicidio assistito. Ma non si accorge che sta facendo esattamente lo stesso: pretende di insegnare agli altri come dovrebbero vivere o morire, pur fingendo neutralità.

    Questa è la contraddizione tipica del relativismo morale. Se non esiste uno standard oggettivo di moralità – come quello fornito dalla metafisica classica aristotelico-tomista – allora nessuno può realmente essere “giudicante”. Perché tutti i valori diventano soggettivi: personali, privati, o al massimo frutto di consenso. Ma cos’è il consenso, se non la volontà della maggioranza? In quel caso, la legge diventa semplicemente l’imposizione dei valori di alcuni (legislatori, governanti, media) su altri.

    Paradossalmente, proprio chi rifiuta l’idea di una morale oggettiva finisce per imporre con forza la propria soggettività, presentandola come “laica”, “tollerante”, “neutrale”.

    Non è solo una cattiva filosofia. È cattiva moralità. È ipocrisia.

    • Laura ha risposto a Paolo Giosuè:

      Assolutamente d’accordo Paolo!

      • Paolo Giosuè ha risposto a Laura:

        Cara Laura,

        grazie della tua approvazione. Allora, permettimi un secondo colpo di martello — spero non troppo sopra le righe.

        Quello che Serra e i suoi epigoni propongono, con la maschera sorridente del “non imporre”, è in realtà l’imposizione assoluta: la tirannia dell’arbitrio umano elevato a misura del bene e del male. È la vecchia menzogna vestita da novità: che il consenso crea la verità, che la legge della maggioranza fonda la giustizia, che la libertà consista nel fare ciò che si vuole, purché non disturbi il vicino (e chi decide cosa sia “disturbare”?).

        E così — come notavi anche tu — chi crede nella legge naturale, cioè in un criterio oggettivo radicato nella natura umana e nel Dio creatore, viene accusato di essere autoritarista. Ma guarda un po’. I veri “autoritaristi” sono quelli che, negata ogni verità oggettiva, non hanno altra via per governare se non la forza del numero o il potere del più influente. È il rovesciamento perfetto: accusano i credenti di ciò di cui sono colpevoli loro stessi.

        Oggi, chi proclama che la verità è oggettiva viene trattato come un pericolo pubblico; e chi grida che tutto è relativo, che niente è sacro, che ogni valore è negoziabile — viene premiato con l’applauso, la cattedra, la legge. Ma questa è logica o stregoneria?

        E allora sì, lo dico con tutta la gravità del caso: l’impero del relativismo morale non è solo una brutta filosofia. È un’ipocrisia sistemica. È disonestà elevata a metodo. È Truman Show, non realtà. È Pottersville, non Bedford Falls.

        Se togliamo Dio e la natura umana dal discorso pubblico, allora resta solo la volontà del più forte, del più numeroso, o del più mediaticamente abile. Altro che laicità. Questo è il cesarismo delle anime. E il prezzo lo paghiamo tutti: famiglie sfasciate, chiese vuote, giovani che non trovano più il nord.

        Per questo, non basta più il sermone bonario per dissuadere il bambino che brandisce un martello sopra un ornamento di cristallo. Serve il coraggio — non solo di dire la verità, ma di smascherare la menzogna. Con parole vere, limpide e perfino pericolose.

  • Michele ha detto:

    A 70 anni Serra scopre che c’è qualcuno che vuole “plasmare la società”. Alla buon’ora! Viene da chiedergli per quale altro scopo esisterebbero allora i partiti politici, le ideologie, ecc. Ogni scelta politica è azione sulla società, e dunque sugli individui, con buona pace dei liberali, che sono secoli che cercano di trovare un criterio dirimente tra privato e pubblico senza riuscirci.
    Naturalmente lui si tira fuori, no, non ha alcuna intenzione di influenzare la vita degli individui. Anche qua sarebbe interessante conoscere la sua posizione su ddl Zan, “educazione all’affettività” oppure sulle scuole parentali. Certamente dimostrerà la sua vena libertaria.
    Se intromettersi in questioni strettamente private significa non riconoscere giuridicamente certe condotte ci dica Serra se è favorevole alla bigamia oppure all’allargamento ad libitum della liceità del suicidio. Senz’altro di fronte ad un tentativo di suicidio di qualche amico/parente dobbiamo ritenere che si ritrarrà dall’intervenire.
    Su un solo punto non concordo con l’articolo: Michele Serra non è ipocrita, semplicemente non è in grado di trarre facili deduzioni dalle sue premesse perché non ha mai letto altro che se stesso o la sua bolla, ritenendo altre idee non degne del suo interesse.

    • Laura ha risposto a Michele:

      Se intromettersi in questioni strettamente private significa non riconoscere giuridicamente certe condotte ci dica Serra se è favorevole alla bigamia

      Concordo Michele! Non si accorgono delle contraddizioni in cui incappano purtroppo

  • Michele ha detto:

    Se vogliamo trovare un fondo teoretico al commento di Serra, esso è l’individualismo, ben espresso dalle parole “Perché i non credenti non pretendono di insegnare ai credenti come vivere e morire”. Secondo questa prospettiva, compito dello stato è far sì che gli arbitrii individuali possano espandersi il più possibile senza scontrarsi.
    Non esiste nulla di comune ai singoli, non formano una comunità, non esiste un bene comune (e tale perché fondato sulla natura umana). Per ciascun uomo gli altri hanno rilievo come strumenti o ostacoli della sua volontà. Anche la pietà è un sentimento privato, che uno prova perché si è messo con la sua immaginazione in una situazione dolorosa.
    In questo senso Serra ha ragione: i laicisti non pretendono di insegnare nulla a nessuno (che nei fatti sia il contrario è un altro discorso), per il semplice fatto che concepiscono la società come un insieme di individui irrelati che occasionalmente entrano in rapporto per soddisfare esigenze del tutto personali.
    Veda lui se è il caso di vantarsene.